Tra assedio e occupazione: l’intervista a due rappresentanti dei Palestinesi in Europa.

Infopal. Due eventi importanti si susseguono in queste giornate: sabato scorso, a Berlino, si è svolta l'VIII Conferenza dei palestinesi d'Europa,  con una vasta partecipazione di pubblico; da diversi porti europei sono in partenza (dall'Irlanda ne è già salpata) le navi della Flottiglia diretta a Gaza.

La nostra redazione ha intervistato due dei rappresentanti della comunità palestinese in Europa: Majed az-Zeer, presidente del PRC – Palestinian return centre – di Londra e tra gli organizzatori dell'VIII Conferenza; Arafat Maadi, presidente della European Campaign to end the siege on Gaza, l'organizzazione palestino-europea che sta lavorando, insieme ad altre sigle, alla Flotta per Gaza, la Freedom flotilla.  

In base alla  Dichiarazione finale di Berlino, e ai principi in essa contenuti, cosa vi aspettate dalla comunità internazionale, anche alla luce dell'ingresso d'Israele nell'Ocse?

Majed az-Zeer: Al momento, purtroppo, la comunità internazionale sta evitando di applicare le leggi a sostegno dei diritti del popolo palestinese. Lo stesso fatto che l'Ocse stia accogliendo Israele sta ad indicare un'abdicazione in suo favore, e un'accettazione delle sue violazioni ai danni dei palestinesi. Con questo gesto, la comunità internazionale ha assunto una determinata posizione, rendendo minime le speranze per i palestinesi, ad esempio sulla fine dell'assedio.

Per noi, questo è un momento molto triste, sebbene con la Conferenza abbiamo rinforzato i legami interni alla comunità dei palestinesi in Europa, che hanno dimostrato di essere buoni cittadini europei e allo stesso tempo di rimanere attaccati ai propri diritti in quanto popolo palestinese.

Quello che vogliamo dall'Unione Europea, dalla comunità internazionale e soprattutto da Israele è che riconoscano che siamo ancora una comunità, che parla ancora con una sola voce.

Gli ospiti presenti alla Conferenza  rappresentavano tutto lo spettro di posizioni politiche: basti pensare a al-Barghuthi, a Raed Salah, ai politici palestinesi provenienti dalla Siria, dalla Giordania, dal Libano… È tutto volto a mostrare come la nazione palestinese sia unita.

Arafat Madi: Abbiamo fatto pressioni contro l'ingresso d'Israele nell'Ocse, ma la decisione finale ci ha lasciati delusi, anche perché incoraggerà lo stato israeliano a ignorare la legge internazionale e le convenzioni Onu. Durante la Conferenza, diverse Ong hanno insistito sulla situazione attuale in Palestina, e gli organizzatori hanno chiesto alla comunità internazionale di prestare attenzione a quest'argomento, ma purtroppo ci si concentra sempre su Israele, che cerca d'influenzare le politiche della UE. Da questa, noi ci aspetteremmo che sospendesse le relazioni con lo stato israeliano finché questo non rispettasse i diritti umani e non ponesse fine alle politiche e ai massacri ai danni del popolo palestinese… 

Quante persone hanno assisitito alla Conferenza? È stato un successo?

M. A. Z.: Tenendo conto che in Europa vivono 300.000 palestinesi, i 10.000 presenti alla Conferenza rappresentano un numero statisticamente buono, dal momento che hanno speso tutti tempo e denaro per raggiungerci da tutti i paesi europei: è un risultato di cui andiamo fieri, sta a significare che i palestinesi mantengono la loro fede nella causa. 

A. M.: Negli ultimi anni, la Conferenza sta attraendo ogni volta migliaia di palestinesi, provenienti da 20-25 paesi europei, che vengono a dare il proprio sostegno ai diritti nazionali palestinesi, tutti come un solo popolo. Credo che il successo della Conferenza non dipenda dal numero, ma dalla varietà di persone che vi partecipa e dall'impatto del messaggio che lanciano. Ad ogni modo, la cifra registrata, superiore ai 10.000, è stata soddisfacente.

Dove si terrà la IX Conferenza?

M. A. Z.: Non è stato ancora deciso: come ogni anno, sarà certamente nel mese di maggio, il mese della Nakba. Dobbiamo verificare presso quale Paese possiamo trovare buone infrastrutture, e godiamo di buoni rapporti. Occorre inoltre che sia una sede facilmente raggiungibile per i palestinesi residenti nelle varie aree del continente.

A. M.: Probabilmente verrà annunciato nei prossimi mesi. 

Il signor Madi, l'organizzazione di cui lei è presidente sta organizzando la Flotta per Gaza. A che punto sono i preparativi? Per quando sono previsti la partenza e l'arrivo?

A. M.: La partenza e l'arrivo avverranno entro la fine del mese. Siamo ormai ai preparativi finali. Occorreranno tre giorni per arrivare a Gaza, e i partecipanti si tratterranno lì qualche giorno prima di ripartire.

Quante navi sono? Quante persone vi parteciperanno?

A. M.: Ci saranno circa 600 partecipanti e otto navi, per ora. Non sono sicuro che riusciremo a raggiungere le dieci imbarcazioni, ma otto è un buon numero, sufficiente a trasmettere il messaggio.

Sarà presente una delegazione di parlamentari? Da dove?

A. M.: Ci saranno 20 parlamentari provenienti dai quattro angoli del mondo, oltre a “vip”, attivisti, giornalisti, rappresentanti delle Ong, artisti e altre persone interessate alla situazione umanitaria di Gaza, che si riuniranno per ribadire che l'assedio è inaccettabile.

Quali sono le attività previste durante il soggiorno a Gaza?

A. M.: Il programma prevede la visita alle aree distrutte, ai campi e alle scuole, e l'incontro con alcuni politici, Ong e funzionari dell'Unrwa a Gaza. L'importante sarà far avere ai partecipanti una prima esperienza della situazione in quei luoghi.

Signor al-Zeer, il Prc non è tra gli organizzatori della Flotta, ma ci può dire, secondo lei, come palestinese impegnato per i diritti nazionali del suo popolo, che tipo di obiettivo politico si pone la spedizione, oltre alla rottura dell'embargo?

M. A. Z.: Quello umanitario. La popolazione di Gaza è in attesa di una speranza, di un aiuto, quindi il convoglio sarà lì soprattutto per portare speranza, mostrare che qualcuno si è ricordato di loro. Non sarà un aiuto di tipo economico: la situazione economica di Gaza non può essere risolta con gli aiuti del convoglio. È un gesto politico, non economico.

Non c'è l'intenzione di sostenere alcuna fazione politica. Alcuni di loro saranno lì anche per criticare il governo di Gaza: questo a dimostrazione che la spedizione si recherà sul posto per il bene dei palestinesi di Gaza, non per il governo. Gli organizzatori del convoglio non vogliono che qualcuno rovini la missione remando contro il suo obiettivo principale.

Secondo gli organizzatori, che obiettivi si pone la Flottiglia per Gaza?

A. M.: L'embargo è deleterio, la popolazione di Gaza non dovrebbe essere costretta a pagare il prezzo dell'occupazione: il messaggio che vogliamo mandare è di solidarietà. Non siamo affiliati con alcun partito politico, sosteniamo soltanto il popolo palestinese.

Che reazione vi aspettate da Israele? 

M. A. Z.: Israele sarebbe folle a impedire alle navi di giungere a destinazione: se vuole essere membro dell'Ocse, bisogna che eviti di farsi riprendere per motivi umanitari. Credo che qualsiasi politico sarebbe riluttante a intraprendere una strada simile.

A. M.: Tutto è possibile: l'anno scorso, Israele cercò di colpire le navi – una delle quali fu affondata – e arrestò alcune delle persone che vi erano a bordo. 

Come pensate di contrastare le sue minacce?

A. M.: Siamo decisi a rimanere fermi nella nostra missione, incuranti di ciò che farà.

I “vincoli umanitari” posto all'ingresso nell'Ocse costituiranno un deterrente sufficiente?

M. A. Z.: Sì, perché Israele è stata appena ammessa, e scegliere di opporsi al convoglio sarebbe come dire al mondo: “Io ho la mia politica, e sono libero di opprimere i palestinesi”. Non credo che alcun paese sosterrebbe una mossa del genere.

A. M.: Non saprei: i membri dell'Ocse hanno risolto di ammettere Israele all'unanimità! Spero che lo stato israeliano non la consideri una ricompensa per aver violato i diritti umani dei palestinesi.

L'appoggio della Turchia al convoglio può rappresentare una garanzia di successo per la Flotilla?

M. A. Z.: Vale quello che ho già detto prima, e cioè che Israele non si permetterà di andare contro l'Ocse. D'altra parte, la Turchia, membro dell'Ocse, non ha opposto alcun veto all'entrata dello stato israeliano, nonostante le frequenti critiche che Erdogan ha rivolto a Israele. Quest'ultima dovrà comunque riconsiderare la propria posizione, se non vuol essere lasciata da sola.

A. M.: Israele non ci lascerà passare solo perché la Turchia ci darà il suo appoggio. Il fatto che parlamentari di diverse parti del mondo saranno con noi rappresenterà un sostegno molto più forte.

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