Trump ha ricordato ai Palestinesi che erano sempre stati per la soluzione a-uno-Stato

qalandiya_wall_checkpoint_tamarfNazareth-Palestinechronicle.com. Di Jonathan Cook.

Per più di 15 anni, il processo di pacificazione del Medio Oriente, promosso dagli accordi di Oslo, è stato necessario per la sopravvivenza di quelle zone. Le settimana scorsa, il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump ha staccato la spina a questo processo, che l’abbia capito o no.

Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, è riuscito a fatica a soffocare un sorriso quando Trump ha fatto marcia indietro sulla soluzione a-due-stati. Infatti, sulla risoluzione del conflitto, ha affermato: “Sto guardando a due stati o a uno Stato… posso vivere con uno dei due”.

Data l’enorme asimmetria di potere, Israele ha ora una mano libera per consolidare la sua versione esistente di apartheid nella soluzione dello stato unico – Grande Israele – sui Palestinesi. Questa è la destinazione verso cui Netanyahu ha guidato il conflitto israelo-palestinese durante la sua intera carriera.

È emerso questa settimana che durante un summit segreto in Aqaba (Giordania) l’anno scorso – presenziato da Egitto e Giordania e sorvegliato dal segretario di Stato Americano John Kerry – venne offerto a Netanyahu un trattato di pace regionale che includeva pressoché tutto ciò che aveva sempre preteso dai Palestinesi. Tuttavia, ha rifiutato.

In precedenza, nel 2001, Netanyahu fu segretamente filmato mentre si vantava con i coloni di come, poco tempo prima, avesse fatto fallire l’accordo di Oslo, non mantenendo le promesse sul ritiro dai Territori palestinesi. Si scrollò di dosso il ruolo degli Americani come qualcosa che poteva facilmente indirizzare nella giusta direzione.

Ora è riuscito a posizionare la Casa Bianca esattamente dove la voleva.

Esprimendo ambivalenza sul numero finale degli Stati, Donald Trump potrebbe aver ipotizzato di aver lasciato entrambe le opzioni aperte per suo genero e presunto inviato di pace, Jared Kushner.

Ma le parole possono assumere significati di vita (o di morte), specialmente quando vengono pronunciate dal presidente della prima potenza mondiale.

Qualcuno crede che Trump, di fronte alle realtà regionale, tornerà presto alle strategie di Washington sui due Stati, con gli Stati Uniti che adotteranno ancora il finto ruolo di “onesti mediatori”. Altri sospettano che il suo interesse svanirà, permettendo ad Israele di intensificare gli insediamenti e il suo abuso dei Palestinesi.

Gli effetti più decisivi saranno, però, quelli a lungo termine. L’opzione a-uno-Stato discussa da Trump risuonerà sia dal lato palestinese che da quello israeliano poiché ricorda, ad entrambe le parti, le loro antiche ambizioni storiche.

La comunità internazionale ha ripetutamente parlato della chimera della soluzione a-due-Stati, ma per la maggior parte della storia entrambi gli schieramenti hanno sempre preferito la soluzione a-uno-Stato – per diverse ragioni.

Dal principio, il principale movimento Sionista voleva uno Stato esclusivamente Ebraico che fosse più grande di quando non fosse mai stato offerto. Qualcuno sognava addirittura la creazione dello Stato Biblico i cui confini andassero ad incorporare lembi di terra appartenenti ai vicini Stati Arabi.

Nel lontano 1947, la leadership sionista sostenne il piano di spartizione delle Nazioni Unite per motivi tattici, sapendo che i Palestinesi avrebbero rifiutato il trasferimento nella maggior parte della loro terra d’origine dei recenti immigrati europei.

Alcuni mesi dopo i Sionisti si impossessarono – durante la guerra- di più territori rispetto a quelli accordati con le Nazioni Unite, ma non erano ancora soddisfatti. La restante parte della Palestina fu affamata da motivazioni politiche e religiose. Shimon Peres era tra i leader che iniziarono la colonizzazione immediatamente dopo l’occupazione del 1967.

Le ambizioni territoriali vennero smorzate da Oslo, ma saranno nuovamente scatenate dall’indifferenza espressa dalle parole di Trump.

La storia palestinese indica una situazione analoga. Quando i Sionisti fecero la prima incursione in Palestina, i Palestinesi rifiutarono ogni compromesso con chi era visto come un colonizzatore europeo.

Negli anni ’50, dopo la creazione di Israele, la resistenza sotto Yasser Arafat sposò l’unico stato democratico laico nella storia della Palestina. Solo con il collasso dell’Unione Sovietica e il crescente isolazionismo a cui era sottoposta la Palestina nei primi anni ’90, Arafat accettò le pressioni dell’Europa e degli Stati Uniti d’America e firmò la partizione.

Ma per i Palestinesi, Oslo non solo ha significato una duratura e costante mala fede di Israele, ma ha anche creato un mezzo di auto-governo profondamente compromesso. L’autorità Palestinese ha diviso il suo popolo territorialmente – Fatah nella Cisgiordania e Hamas a Gaza – e ha richiesto un patto faustiano per sostenere la sicurezza israeliana, inclusi i coloni, a tutti i costi.

La verità, oscurata da Oslo, è che la soluzione a-uno-Stato ha sostenuto per più di un secolo le aspirazioni di Israeliani e Palestinesi. Essa non è venuta a galla perché entrambi avevano diverse aspettative.

Per gli Israeliani doveva essere una roccaforte da cui escludere la nativa popolazione palestinese.

Per i Palestinesi doveva essere il luogo della liberazione nazionale da un secolo di colonialismo. Solo dopo alcuni Palestinesi, specialmente si parla di gruppi come Hamas, iniziarono a rispecchiare l’idea sionista di uno Stato esclusivo – in questo caso, islamico.

L’auto-dichiarato distacco di Trump farà rivivere queste forze storiche. Il leader dei colonizzatori, Naftali Bennet, competerà con Netanyahu per avere il merito di aver accelerato l’annessione dei sempre più grandi territori della Cisgiordania, rifiutando ogni compromesso su Gerusalemme.

Nel frattempo, i Palestinesi, in particolare i più giovani, capiranno che la loro battaglia non è per dei confini illusori, ma per la liberazione dalla supremazia ebraica inerente al discorso sionista.

La lotta provocata dall’equivoco di Trump, però, deve prima essere messa in atto nelle politiche interne di Palestina e Israele. È un grande momento chiarificatore. Entrambe le parti devono definire per cosa vogliono lottare: una roccaforte per la propria tribù, o una patria condivisa che assicuri diritti e dignità per tutti.

(L’articolo è stato pubblicato sul National, Abu Dhabi).

Traduzione di Nicola Migliorati