Un anno di genocidio a Gaza. Le interviste: Hamza Piccardo

InfoPal. Di Angela Lano. Il genocidio israeliano nella Striscia di Gaza è in atto da un anno, il numero delle vittime, tra morti, feriti e dispersi, si aggira intorno alle 150.000. Interi gruppi familiari sono stati annientati e quartieri e cittadine sono state spazzate vie. Il progetto israeliano è il colonialismo di insediamento, cioè genocidio e pulizia etnica dei nativi, e loro sostituzione con i coloni sionisti. Le organizzazione internazionali denunciano i crimini israeliani, ma non agiscono per fermarli, ostaggio di se stesse e del veto USA. La débâcle occidentale, con tutti i suoi disvalori, doppi standard e due pesi-due misure, wokismo e Agende transumane 2025-2030-2050, ecc., è sotto gli occhi del mondo intero. Il suprematismo razzista, arrogante e guerrafondaio dell’Occidente è palese, così come il suo colonialismo duro a morire. Il suo sostegno incondizionato ai colonizzatori genocidi israeliani, che ora hanno allargato la loro guerra anche al Libano, e hanno assassinato lo storico leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, sposta sempre di più l’asse della bilancia verso i BRICS e il mondo multipolare e civile portatore di un’altra visione delle relazioni tra i popoli. Abbiamo discusso di tutto questo con diversi interlocutori, in una serie di interviste. Quella di oggi è con Hamza Roberto Piccardo, editore, poeta, attivista ed esponente di rilievo della Comunità Islamica italiana.

Sono passati 12 mesi dall’Operazione del 7 ottobre 2023 e il genocidio israeliano della popolazione gazawi continua. Quali sono le prospettive?

    “In questi giorni stiamo vivendo il tempo dell’allagamento del conflitto dalla parte opposta a Gaza. L’occupazione sembra aver deciso di gestire in qualche modo l’irriducibile resistenza dei gazawi continuando a bombardare quel poco che resta in piedi nella Striscia e infatti le unità di elite che vi erano state dislocate sono partite per il Nord. In tutta evidenza l’Iran, che viene continuamente provocato, è l’obiettivo strategico. L’Occupazione spera che reagisca in una modalità tale da ‘supportare’, non voglio dire ‘giustificare’ un intervento vieppiù massiccio di USA ed UE. Se questa analisi è corretta credo che niente di nuovo o di buono ci sarà per la gente di Gaza, nel breve e medio periodo”.

    Il piano storico coloniale di Israele è la pulizia etnica della Striscia di Gaza, della Cisgiordania e di Gerusalemme, per costruire la “Grande Israele”.
    Che possibilità ha il regime di Tel Aviv di riuscire nel progetto?

    “Se prescindiamo, come è giusto fare nella prospettiva storica, dagli elementi escatologici che ci annunciano l’affluire di tutti gli ebrei sulla “sponda occidentale”, credo comunque che siamo ancora molto lontani dalla realizzazione di Eretz Israel (addirittura dall’Iraq al Nilo) e finanche dall’espulsione dei palestinesi da tutta la Palestina mandataria. E questo per due ragioni: la prima è che il popolo palestinese è sostanzialmente irriducibile, anche se alcuni di loro potrebbero cedere pur di avere una maggiore aspettativa di vita, la seconda è che né la Giordania né l’Egitto, e tantomeno il Libano e la Siria, potrebbero essere Paesi d’accoglienza per i sette milioni di palestinesi che ancora vivono sotto l’occupazione, compresi anche quelli con cittadinanza israeliana che in questo scenario non sarebbero più tollerati”.

    Mancanza di azione e doppio standard delle organizzazioni del diritto umanitario e internazionale: al di là delle tante dichiarazioni, non ci sono interventi concreti e risolutivi da parte dell’Occidente.
    Crede che il mondo multipolare dei BRICS+ possa produrre un cambiamento?

    “È tanto tempo che non credo più alle favole, nel senso che a fronte di un male assoluto e conclamato ci sia un bene puro e totale. Il drago è certamente orrido ma san Giorgio non è quel cavaliere senza macchia e senza paura che vuol sembrare. Mi spiego: certamente la multipolarità offre maggior possibilità di manovra per chi si trova sotto scacco ma è anche vero che nello scontro tra diversi soggetti può comunque risultare schiacciato, ossia sacrificato nel maggior interesse di una o di tutte le parti in gioco. Quanto alle organizzazioni del diritto umanitario e alle stesse Nazioni Unite,  stanno riproducendo l’assoluta inutilità che fu della Società delle Nazioni: su di loro pesano le spoglie mortali di 50 mila martiri e milioni di tonnellate di macerie”.

    Gli esperti di diritti umani delle Nazioni Unite hanno affermato che “è inevitabile che Israele diventi uno stato paria” per il suo genocidio a Gaza, e hanno suggerito che la sua appartenenza alle Nazioni Unite potrebbe essere messa in discussione. Non è la prima volta che se ne parla. Pensa che ora ci siano delle possibilità di degradare ufficialmente l’entità sionista allo status di paria, isolarla internazionalmente e sanzionarla?

    “Mi ricordo quando l’UNESCO, l’istituzione culturale delle Nazioni Unite, nel 2010 e poi nel 2016 si espresse a favore dei palestinesi, non ebbe nessun peso sulla realtà fattuale, anzi gli USA cessarono di versare il loro contributo annuale e l’agenzia fu depotenziata. Finché ci sarà il diritto di veto, che i cinque detentori si guardano bene da abolire, il Palazzo di Vetro continuerà ad essere la rappresentazione plastica di quello che è oggi il mondo: quando forte, ingiusto, quando debole, vile”.

    In questo caso, sarebbe la fine del sionismo, in quanto progetto coloniale, come afferma lo storico Ilan Pappé?

    “Sì, ragionando per pura ipotesi di studio, venuta meno la ‘legittimità’ che le deriva dalla risoluzione del 1947, Israele sarebbe nudo come l’imperatore della favola e sarebbe molto difficile per i suoi alleati e sponsor poter continuare a sostenerlo contro il resto del mondo”.

    E infine…Hamas finanziato da Israele: è il mantra di diversi analisti, anche famosi, e di attivisti filo-palestinesi. Ce ne vuole parlare?

    “Sì, anche se ripeto questa cosa da anni e non mi sottraggo. Ammesso che il movimento di resistenza islamico fondato da sh. Ahmad Yassin e Abdul Aziz al Rantissi abbia goduto, in una prima fase della sua esistenza, della tolleranza dell’Occupazione, per evidenti ragioni di ‘divide et impera’ in funzione anti OLP, è fuori dubbio che la sua storia, a partire dal martirio dei suoi stessi fondatori, è stata ben altra da quella che Israele avrebbe voluto fosse.

    “Nei conflitti non è importante dove si attingono le risorse, ma come si usano e, attenzione, questo non ha niente a che vedere con il contestato ‘fine che giustifica i mezzi’, perché il fine di Hamas dichiarato in principio e perseguito da sempre è la liberazione della Palestina mandataria tutta, dal fiume al mare”.