Un anno fa, l’attacco alla Freedom Flotilla, il massacro e il carcere. Ricordare per continuare a testimoniare la verità

Di Angela Lano, da Istanbul.

E' passato un anno da quando, alle 4,30 del mattino, il nostro capitano, Theodoros, ci svegliò dal breve sonno per farci salire sul ponte della nostra barca, la Sfendoni – 8000.

Eravamo in acque internazionali, a circa 75 miglia dalla costa israeliana, diretti a Gaza, la méta del nostro viaggio e la missione della nostra pacifica flottiglia umanitaria.

Quello che vedemmo, tutto intorno a noi, fu uno spettacolo raccapricciante: gommoni d'assalto con all'interno ombre scure che emettevano il loro mostruoso urlo di guerra. Soldati armati di tutto punto all'arrembaggio delle nostre sei navi. Elicotteri Apache che ronzavano minacciosamente sulle nostre teste. E poi, l'aggressione: gli spari, le bombe acustiche, la violenza, la loro rabbia.

Fino all'ultimo avevamo sperato di arrivare a Gaza a portare aiuti umani e solidarietà. Noi giornalisti, a bordo delle barche della Freedom Flotilla, avremmo immortalato lo storico evento, raccontandolo a lettori e spettatori di tutto il mondo.

Ma la storicità di quel momento non scaturì dal raggiungimento dell'obiettivo della missione – una piccola flotta di navi che entrava nelle acque di Gaza e consegnava gli aiuti alle autorità e alla popolazione, rompendo finalmente un assedio illegale e disumano -, ma dalla ferocia dell'azione israeliana contro tutti noi, attivisti, giornalisti, medici, politici, musulmani, ebrei, cristiani, atei. Lo spettacolo della forza bruta contro una flotilla umanitaria, il massacro di nove civili inermi, il ferimento di altri 50, il rapimento e la prigionia di altri 700 cittadini del mondo colpevoli di aver osato sfidare il diktat illegale dello stato canaglia par excellence.

La crudeltà e la follia di quell'attacco compiuto di notte, come solo i criminali sanno fare, è rimasta impressa nella nostra mente, come una ferita che non può rimarginarsi. Sono esperienze che lasciano un segno indelebile nella memoria: sono le stesse scene di un reality di morte che Israele compie da 63 anni a questa parte contro i palestinesi.

E' una memoria severa e compassionevole al tempo stesso, perché ci stimola a continuare il nostro lavoro, chi in un ambito chi nell'altro. La maggior parte dei miei compagni e delle mie compagne di viaggio e di prigione, infatti, prosegue con determinazione e forza le attività di informazione, sensibilizzazione e sostegno alla Palestina, dando in questo modo una risposta ferma e inequivocabile alla prepotenza cieca di Israele.

Come quella che stiamo dando con InfoPal, questa piccola, scomoda, agenzia stampa specializzata sulla Palestina, che tanto dà fastidio alla Israel Lobby, ai suoi ascari in Italia (e non solo), ai giornali di destra e anche a qualcuno di “sinistra”, e a qualche “amico dei palestinesi” troppo equivicino a Israele per guardarci con simpatia e per non perdere alcuna occasione per contribuire ai tanti attacchi che riceviamo.

Da maggio dell'anno scorso, infatti, siamo sotto il fuoco incrociato di “destri” e di “sinistri”, equidistantemente vicini alla Israel Lobby. Contro costoro agiamo con le sole armi che abbiamo: la scrittura, l'informazione, la testimonianza e l'amore per la giustizia. E, quando è necessario, con le querele.

Essi hanno certamente dalla loro parte la forza della prepotenza e della manipolazione, noi abbiamo quella del coraggio della verità e della ragione.

(Foto nella home: attivisti davanti alla Mavi Marmara, Istanbul, 30 maggio 2011. Foto AL per InfoPal)

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