Un bacio, collega compagno.

 

da MONDOCANE FUORILINEA

Fulvio Grimaldi

Un bacio, collega compagno.
Abbiamo battuto le stesse terre, abbiamo frequentato le stesse facce, le stesse voci, abbiamo percorso gli stessi marciapiedi sfasciati da embarghi e bombe, ci siamo incisi dentro gli stessi bimbetti squarciati, abbiamo nuotato nello stesso sangue, abbiamo gridato sul muso agli stessi delinquenti, abbiamo smerdato gli stessi ignavi, abbiamo detto e scritto cose impertinenti e gravissime, abbiamo stracciato tante cortine di bugie,
quasi da soli. Ma tu eri sempre un passo avanti. Sapevi il nome di quel vicolo di Basra, avevi sulla punta delle dita tutti i quartieri di Beirut, conoscevi le cento confessioni e sottoconfessioni, i grandi  e i miseri e i testi di cinquemila anni di imperi e migrazioni sotto i palmeti. Con un sorriso ti confondevi tra martiri, eroi e testimoni, con un ghigno inoppugnabile stendevi cialtroni e fasulli. Eri di casa dappertutto e c’era chi ti detestava e chi ti adorava, a te appeso come alla scheggia strappata al muro dei silenzi o degli inganni. Nessuno ti poteva ignorare.

Hai presente quell’alza bandiera su Iwo Jima. Era una finta. Noi abbiamo presente un’alzabandiera che non c’è, ma vero: quello delle bandiere degli arabi perduti e redivivi, dunque dei popoli del mondo, che tu continuavi ad innalzare da palchi e nelle piazze, in colonne di piombo e in marce di verità e di lotta. Oggi, mi devo guardare attorno, nella trincea siamo rimasti in pochi. Manca la tromba dell’assalto.

Ma stai allegro, quelli che stavano con te oggi ti piangono, ma, se guardi bene, li vedrai ancora tutti lì, a ricordarti, a riascoltarti, a cantarti, a portarti appresso in prima fila. Come il Che. Ti sembra un accostamento azzardato? Non lo è.

Un bacio, compagno di strada e di trincea. (Chiedo scusa a chi l’ha già ricevuto, ma questo è il mio saluto a Stefano che "il
manifesto" non ha inteso pubblicare. C’era già quello di Veltroni.)

 
"Non rompere il cazzo!"

Non rompere il cazzo! Così, secco come la fiondata di un Tanzim, Stefano Chiarini, un paio di anni fa in un presidio in Piazza San Marco a Roma, rispose all’ intimazione di una morgantiniana "donna in nero" di smettere di gridare Sharon assassino all’indirizzo di una turba di "sinistri per Israele" che, con picchiatori fascisti in testa, si muoveva dal Campidoglio veltroniano verso la sinagoga. Non conosceva mezze misure, Stefano, in un mondo massacrato da mezze misure tipo Va bene l’Afghanistan, ma riduciamo il
danno con un po’ di fiancheggiatori Ong; passi il Molin 2 purché ci
assicurino che bombarderanno piano; offriamo il culo a Olmert, ma ribadiamo che siamo equivicini; aumentiamo le spese per missioni di genocidio, ma fateci mangiare nella cooperazione; votiamo il culo-e-camicia sionista Veltroni, ma in piazza gridiamo "Palestina Libera" (ovviamente redarguendo gli smanierati che bruciano fantocci di guerra).

 
La sagra della santocchieria

Chissà cosa di analogo avrebbe esclamato Stefano a vedere che sul
"manifesto" l’apertura della pagina di ricordi veniva aperta con un triplo salto mortale etico dal sindaco con la kippà incorporata, Walter Veltroni: Vi mancherà una parte di voi. Chissà. Una parte che non mancherà a Veltroni, questo è certo: visto che lo aveva mille volte sbertucciato per il suo unilateralismo sinistrosionista. Chissà la sua smorfia a vedere che nel riquadro d’eccellenza del paginone si esibiva Abu Mazen con la promessa che il popolo palestinese rimarrà fedele alla memoria del nostro amico. Fatta da chi si protegge dal suo popolo con una guardia pretoriana Usa e con armi israeliane, la frase suona vagamente minacciosa. Chissà il suo sghignazzo a vedere che poi seguiva uno stitico equilibrista Bertinotti con: Una persona
con cui abbiamo fatto molto cammino insieme, convergendo e anche divergendo.
Le convergenze, io che ho frequentato da vicino entrambi, non le ricordo proprio. Monumentali, invece, le divergenze quando il Bertisconi dava del "terrorista" al partigiano palestinese o iracheno e intimava al suo partito di sabotare le manifestazioni del chiariniano "Comitato per ricordare Sabra e Shatila". Non si conciliavano con quel suo, tanto esilarante quanto vomitevole, "Sharon, uomo di pace". A seguire il capo, con la salvietta sul braccio, Russo Spena, parlamentare cronico, inamovibile dai tempi di De Pretis: Non sempre siamo stati d’accordo. E come si fa, da capogruppo di una
carovana di migranti che partono dalla rivoluzione e finiscono alla buvette con atlanto-sionisti come Bonino e Mastella, a essere d’accordo con chi non si è mai prestato a dare del "terrorista" ai combattenti di Baghdad, Gaza, Bint Jbeil, Belfast, come le chiaviche della truffa 11 settembre hanno ordinato a compari e pali?  Quando, al funerale di Stefano, ho potuto dire due parole, mi è parso giusto ricordare a coloro che si salvavano il posto nel coro ricordando le liti e ribadendo il  dissenso dalla sua "cocciutaggine", che quando Stefano si scontrava con qualcuno sui popoli in lotta era inesorabilmente lui che aveva ragione e gli altri che avevano torto. Lo posso dire con prove alla mano perché con lui ho attraversato i momenti e luoghi stellari dell’umanità sofferente, insofferente e ribelle, dall’Irlanda dell’oppressione colonial-fascista, alla Palestina delle intifade da incondizionatamente amare e sostenere, dall’Iraq, cui prima e
dopo l’invasione i predatori genocidi e i loro portaborse hanno riservato il record assoluto della diffamazione, al Libano tornato in piedi e perciò da dilaniare con la scure dell’ipocrisia Onu. Come Stefano ne riferiva era semplicemente inoppugnabile e imponeva agli onesti – e questo faceva accapponare la pelle ai misirizzi dell’"intervento di pace" – di schierarsi senza quei ributtanti se e ma che costituiscono i pioli della scalata ai quattrini e agli strapuntini del potere.
 
Dopo Stefano il diluvio? La stransustanzazione del "manifesto"

Gli ha dedicato un coccodrillo anche Giuliana Sgrena. Gli succederà al desk del Medio Oriente? Non si offenda la sopravvissuta a Calipari, i dissensi sono pur sempre legittimi, anche se da una parte c’è conoscenza, coscienza, verità e, dall’altra, stereotipi, pregiudizi, bigottismi, fobie ammantate di pietismo, subalternità alle menzogne che fanno egemonia. Non si offenda se ora mi si rizzano i capelli all’idea che il posto di Stefano possa essere preso da chi vede nel velo islamico un orrore peggiore di Padre Pio e ci ha inondato per anni di cliché calunniosi e bugiardi, tra "integralismi islamici" e "terroristi Al Qaida" (laddove Al Qaida serviva agli Usa per diffamare e stroncare una resistenza di popolo), tra "primavere berbere" di borghesie filofrancesi revansciste, e complici assunzioni di mascalzonate
propagandistiche catto-atlantiche sui regimi che al colonialismo di ritorno si permettevano di non offrire quaquaraquismi prodian-berlusconiani. E’ stata dura la vita di Stefano, perfino al "manifesto". Amara soprattutto al "manifesto", dato che è da lì che doveva puntare il fucile, visto che tutt’intorno c’erano perlopiù, se andava bene, lanciatori di micette e il fucile, semmai, lo puntavano su di lui che non si acconciava a realistiche "mediazioni". Ma quali ediazioni! Quelle che stanno facendo scappare dal "manifesto" tutti coloro che non si riconoscono più nella testatina sulle sottoscrizioni: "Siamo tutti del manifesto"? Quelle dell’infatuazione bertinottista che stende un velo perfino sulla fellonia dei consanguinei "dissidenti" del PRC? Dissidenti obbedienti, ossimorici felloni al punto da blaterare contro la guerra e per Vicenza e poi accucciarsi, a fini di poltrona-pensione, ai piedi di ogni spedizioniere bellico purché abbia nel taschino una Ong raccomandata da Patrizia Sentinelli. O le "mediazioni" del
direttore del bollettino marcosiano "Carta", che continua a imperversare sul "manifesto" con proposte di fiancheggiamento buonista al capitalismo (quel "bilancio partecipativo" – in effetti meramente consultivo allo 0 virgola qualcosa per cento – che ha sacralizzato la carriera, "dal basso", dell’imperialfinanziato patron Cassen) e ora, insieme ad altri avvoltoi, si va precipitando sulla rivolta dei vicentini e degli antimperialisti veri per trarne, sull’esempio dell’affabulatore parassita pseudochapaneco, consolanti
indicazioni nonviolente e anti-potere. Almeno Barenghi, l’agnelliano che quando, stupefacentemente per quanto il giornale virasse verso il
catto-radical-chic, era ancora al "manifesto", preferiva i "marines ai
tagliatori di teste", al funerale non si è fatto vedere. Un respiro di
sollievo nella bara. Conosco i velenosi cilici che questa gente ha stretto attorno alla vita professionale del migliore giornalista mediorientalista di sempre.  Ha detto bene Luciana Castellina: C’era chi diceva che era un po’ estremista. Ma quando uno ha visto tutte le cose che ha visto Stefano è difficile non essere estremi. Io che le cose di Stefano le ho viste, spesso assieme a lui e con occhi diversi dalle compiangenti Sgrena e Gruber (Giovanna Botteri del Tg3, con un residuo di pudicizia, si è astenuta dall’intervenire), con gli occhi dei fellahin della sabbia e delle palme, dei guerriglieri di Falluja e di Jenin, di Bobby Sands, poeta come lui, e dei Provos nelle case-scatole-di-cerini di Derry, io lo posso confermare. E’ lotta di classe, dappertutto, altro che fanfaluche su integralismi e terrorismi sparate dal covo terrorista e integralista cristiano. E, nella lotta di classe, o sei "estremista", o stai dall’altra parte, che tu lo sappia o no.

Una tromba muta

Nei giorni attorno alla morte di Stefano, primo violino nello sparuto e stonato coro degli antagonisti della menzogna – ma perché non gli hanno fatto l’autopsia? Ne succedono di cose… -, abbiamo vissuto episodi sui quali avremmo voluto sentirti suonare la tua tromba-mitraglia-enciclopedia, nostro grande compagno, amico e modello. Questo Ratzinger che arrota tiritere su pace e fame e non nomina mai chi guerreggia e affama. Anzi, con il suo per niente teologico invasamento sulla "famiglia matrimoniale", cattolicamente fornisce un rancido supporto domestico-dinastico alla repressione di Stato e, insieme, alla liquidazione capitalista, per ormai evidenti fini di guerra, delle residue briciole di welfare. Altro che piagnistei sulla fame nel mondo. Del resto, Stefano, ricordi come noi e tutti i nostri amici in Libano avevamo ben compreso il messaggio del panzerpapa quando, nascondendosi dietro a un imperatore bizantino, diede man
forte all’islamofobia dei Cheney, Magdi Allam e Amato? Eravamo lì che con i guerriglieri hezbollah – scusa la violenza, Sgrena – per l’ennesima volta, tutto merito tuo, facevamo risorgere i martiri di Sabra e Shatila da quella fossa comune in cui li avevano lasciati marcire i governanti "legittimi", cari a Prodi e D’Alema, e che tu avevi trasformato in un giardino di ulivi.
C’eri ancora quando un capo dello Stato, che non perde proprio nessuna occasione per stare zitto e sempre se la tira da inconfutabile bipartisan mentre la tira forsennatamente a destra, sull’onda della "giornata della memoria", giornata dell’oblìo per tutte le vittime di olocausti non funzionali a coprire i crimini di Israele,  pronunciò l’anatema: chi è antisionista è antisemita. Tra l’altro facendo sghignazzare amaramente 200 milioni di semiti arabi. Meno male che a queste non innocenti scempiaggini jabotinskiste hanno risposto a tono chiariniano gli Ebrei contro l’Occupazione, prima italiani, poi europei e infine britannici. Giubilo, invece, tra i  fascisti doc e soft: visto che si tratta del loro Stato guida.  Silenzio dai democratici, mica perché convinti: qui o si governa con il benestare del rottweiler israeliano, o si finisce fuori, magari a pezzi.

 
Chiarini e Mastella

Chissà se non sia stato uno di questi episodi ad averti colpito alla
schiena, te, autentico San Sebastiano della fede giornalistica. Per esempio, quando l’irpino di risulta che recita da ministro della giustizia emise quel decreto che fece belare tutto intero il parlamento. Quello del negazionismo.
Mica perché tu fossi negazionista. Del resto non so come la pensassi, non ne abbiamo mai parlato, se non per dire che della Shoah veniva fatto un uso nefando, anti-israeliano e antiebraico, come ben detto nel libro di Norman Finkelstein (figlio di morti nei campi) "L’industria dell’Olocausto". Quanto a me, al di là di quanto hanno raccontato gli storici dei vittoriosi, so solo che c’ero quando, nel ’45, i tedeschi comuni vennero a sapere dei lager e tutti, proprio tutti, in città, compresi il panettiere, il lattaio, il professore, il capo della Hitlerjugend, il sindaco, il prefetto, il vicino, il fabbricante di sidro, il barcaiolo e perfino il maestro ebreo, Haas, che mi aveva fatto lezioni di inglese dal ’43 al ’45, rimasero attoniti e inorriditi. E di questo stupore e sgomento di fronte alle terrificanti rivelazioni sono stato testimone anche in infinite frequentazioni in anni successivi. Per cui mi ha sempre infastidito la brutale e arbitraria distribuzione al popolo tedesco (un milione di morti antinazisti) che alcuni
cantori dei campi, come certo antifascismo degli stereotipi, fanno delle colpe naziste. "Comprendere come milioni di esseri umani abbiano potuto essere sterminati con l’appoggio (tacito o attivo) di una larga maggioranza della popolazione. Ieri il buon cittadino tedesco era soggettivamente (sic) coinvolto nella campagna di odio contro gli ebrei e si rifiutava di voler sentire l’odore di carne bruciata dei forni crematori." ("I volti di Abele"). Chiuso: tedesco uguale nazista. E’ falso ed è identico a "musulmano uguale terrorista". E io ho ancora negli occhi la commozione di Herr Haas per come tutta la comunità  proteggeva e occultava lui e i suoi correligionari per evitargli insidie di qualsiasi genere. Dunque il vernacolare Mastella, poi raffinato da quella vetta del pensiero veltroniano che è Giovanna Melandri, fresca di Malindi  e di feromoni briatoniani, decreta: da tre a dodici anni per il reato connesso alla negazione di fatti storici e all’istigazione a comportamenti che potrebbero riprodurre crimini
contro l’umanità.  Beh, qualche anima bella ha obiettato, non a torto, che così si rischia di ammazzare la libertà d’espressione, la ricerca storica,
necessariamente spesso revisionista (pensate cosa hanno fatto a un
illuminato imperatore innovatore come Nerone, attribuendogli stragi di cristiani arrivati a Roma solo dieci anni dopo la sua morte!). Qualcuno si è meravigliato che si possa benissimo affermare che Napoleone non era sposato con Giuseppina, bensì con un ussaro alemanno, ma che non si possa discutere nemmeno sul numero dei morti da lager. Ma tu, Stefano dal ghigno micidiale, forse avresti salutato un provvedimento che punisce chi nega fatti storici e
chi istiga a riprodurre crimini contro l’umanità. E già, avresti gioito
all’idea che avrebbero trovato sacrosanto castigo coloro che, dai palazzi del governo di Tel Aviv, negavano l’esistenza del popolo palestinese, o che in Turchia negavano l’olocausto armeno (in proporzione numerica più cospicuo di quello ebraico); Giuliano Ferrara detto Cia, che approva la volontà di Israele di incenerire  l’Iran con una salva nucleare, Bush e criminalità organizzata varia che hanno istigato, su bufale megagalattiche, all’invasione di Afghanistan e Iraq, a uranizzare generazioni, a fosforizzare Fallujah; tutti i governanti israeliani che da 60 anni istigano alla pulizia etnica e ai crimini contro l’umanità; Magdi Allam, Adriano Sofri e Oriana Fallaci – e il Corriere ella Sera che se ne fa imbrattare -, i quali hanno eccelso nel convincere gli italiani che bisognava a tutti i costi andare a liquidare i cristiani di Serbia e tutti i musulmani del mondo. E se non basta, Mastella ha sicuramente pensato a costoro quando ha
decretato che si danno da 12 a 18 mesi di carcere a quelli che propagandano idee basate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico. Che pacchia, Stefano! E bravo Mastella: d’un botto ci potremo liberare della ciurmaglia razzista e islamofobica di mezzo mondo. E addirittura verrà sanzionato lo Stato canaglia fondato sulla monoetnicità e sulla pulizia etnica di tutti i non eletti. Rifiorirebbe finalmente come Stato unico israelopalestinese, laico, pluralista e solidale. In cambio, avremmo anche potuto chiudere un
occhio sui quattro anni inflitti a David Irving, negazionista quanto Golda Meir nei confronti dell’esistenza di un popolo palestinese, forse
addirittura meno perché fa questione di numeri.
 
Il Mastella col trucco

Stefano, ci siamo illusi. Vuoi che dove c’è un Mastella non ci sia il
trucco? Ecco qua: la pena è aumentata se l’istigazione a commettere crimini contro l’umanità o atti di discriminazione è stata commessa negando in tutto o in parte l’esistenza di genocidi o di crimini contro l’umanità, per i quali vi sia stata una sentenza definitiva di condanna da parte dell’autorità italiana o internazionale. Norimberga, ovviamente. Quando mai c’è stata una sentenza sul Churchill del gas sugli iracheni nel ’22 (altro che la balla su Saddam!) o di Dresda piena solo di profughi e di meraviglie barocche rasa al suolo, o sul Cia Posada Carriles a Cuba, o sulla totale
eliminazione dei pellerossa, o sui desparecidos, su Pinochet, su Kissinger, o sull’olocausto immane di palestinesi e iracheni? Siamo nel paese dove gli Andreotti baciano mafiosi e generali macellai.  Per questa gente c’è l’impunità che tu ogni volta che parlavi stigmatizzavi come causa dei nostri tempi criminali. E allora non è che, per istigazioni che più non si può, si sbatte davanti a un PM Magdi Allam, vicedirettore del satellite di Israele Paolo Mieli al Corriere della Sera, un copto che si atteggia a musulmano
meritevole della civiltà occidentale aizzando contro imam e moschee
bassifondi viscerali  e operatività repressive e assegnando Al Qaida (a
Langley si gongola) il dominio del pianeta da Giacarta a Casablanca. Lui, da extracomunitario senza una lira e filopalestinese, in vent’anni è assurto a vice del più grosso giornale italiano. La gemella in istigazioni a delinquere, Fallaci, viene insignita di medaglia d’oro da reggicoda di Israele annidati nel centrosinistra.

Ma i dirigenti dell’Ucoii, unione delle comunità islamiche, vengono accusati – e, anche se assolti, sputtanati – in base alle leggi sulla discriminazione e la violenza razziale per aver puntato il dito contro il governo di Israele per quello che fa ai civili
palestinesi e libanesi: "Israele sta disseminando di stragi e rovine il Vicino Oriente." E non è vero? E non dovremmo essere milioni ad autodenunciarci per lo stesso "delitto"?

Fucilato a prescindere

Ma poi non c’è neppure bisogno che qualcuno neghi o istighi, oggigiorno basta che quegli altri pensino o dicano che quel qualcuno, domani, magari negherà o istigherà. Chi meglio di te, Stefano, avrebbe potuto rispondere a quel presidente della Comunità ebraica di Torino, Tullio Levi, che, saputo di una mia presentazione del documentario "Gaza, Baghdad, Beirut: Delitto e Castigo" a Caselle, ha innescato un finimondo preventivo, giorni prima che mettessi piedi da quelle parti, scatenando sui giornali una canea tipo
"Scoppia il caso Grimaldi, tacciato di antisemitismo", "Serata sul Libano, scoppia la lite, la comunità ebraica contro Caselle", "Grimaldi dica di non essere antisemita", e via con le intimazioni e intimidazioni terroristiche: scomuniche a prescindere. Caselle e i compagni del Circolo Enrico Berlinguer hanno tenuto duro. Anzi, il compagno Dario ha saputo rispondere con parole che avrebbero potuto essere tue. Segno che hai lavorato bene. Il che non ha
impedito al Levi di intervenire a proiezione avvenuta per bollare di
fanatico antisemitismo il racconto della distruzione del Libano e del
serialkilleraggio di Gaza, per denunciare quei palestinesi incontinenti che non si sono accontentati nel ’48, essendo il 93% della popolazione, di quel 22% della loro Palestina, venendogli il resto sottratto a furia di massacri e incendi di villaggi ad opera dei terroristi di Haganà, banda Stern, Irgun e simili "irredentisti". Quegli arabi  che, semplicemente essendoci, si ostinano ad "assediare Israele" e dai quali Israele "non fa che difendersi", magari predicando, in un dossier ufficiale dell’82, che il mondo arabo andava frantumato in mille bantustan per linee confessionali, etniche e tribali. Del resto il buon Levi non faceva che rifare il verso alla circolare sionista che ha permesso a un "sinistro" come Furio Colombo di straripare su pagine di "L’Unità" con la stessa solfa dell’Israele "democratica" e assediata, senza trovare neanche un mezzo accenno al popolo scacciato e sterminato, alla terra rubata, ai coloni fascistizzanti, alle violazioni di ogni risoluzione Onu, allo scatenamento di guerra su guerra,
al razzismo anti-palestinesi di Israele, alle punizioni collettive, agli
infanticidi, ai furti dell’acqua, ai condizionamenti anti-arabi imposti
dalla lobby e dai suoi ricatti ai governi di mezzo mondo. Tutte cose alle quali nessuno come te avrebbe saputo opporre i rolling stones della verità.
 
Ebrei contro l’occupazione

Io, comunque, non avevo bisogno di rispondere. Per me avevano già risposto gli "Ebrei contro l’Occupazione" quando si sono rivolti al Napolitano del sionismo uguale antisemitismo: Le sue parole, signor Presidente, rischiano di portare acqua al mulino di chi, affamando i palestinesi, e costruendo il muro in Cisgiordania, lavora a una nuova pulizia etnica in nome della ‘sicurezza di Israele’. Ci aspettavamo che Lei, signor Presidente, rappresentando la nostra Repubblica nata dalla Resistenza contro il nazifascismo oppressore, affermasse il principio di non discriminare per ‘razza’, e religione senza le sottigliezze diplomatiche che dimostrano la sudditanza italiana ai potenti del mondo e il colpevole silenzio verso le terribili condizioni in cui vive oggi il popolo palestinese occupato. E così passò la "giornata della memoria". Dove, non ci fossero stati gli Ebrei
contro l’Occupazione, il passato avrebbe obliterato il presente, l’olocausto di ieri gli olocausti di intere nazioni oggi.
 
Ermeneutica errata dell’ontologia chiariniana

Per dirla alla maniera delle pagine culturali del "manifesto" per quattro gatti. Maurizio Matteuzzi, egregio giornalista del "manifesto", ti ha voluto commemorare con affetto e stima, caro Stefano, chiudendo però con un tonfo logico che avrebbe provocato quella tua solita, vetriolica ironia. Ha concluso compiangendoti teneramente come "innamorato delle cause perse". Che sia una causa persa continuare a lavorare per quel giornale senza più Stefano Chiarini è un dubbio legittimo. Che tu fossi dedito alle cause
perse, fa di te un romantico sentimentalone perso appresso alla luna. E anche questo è farti torto. Soprattutto far torto a coloro dei quali ci hai raccontato il dentro e il fuori e per i quali ti sei battuto con la Grande Armada delle buone ragioni. Quella palestinese, irlandese, irachena, libanese, araba, dei popoli aggrediti in tutto il mondo, non è una causa persa. E’ la Grande Causa del nostro tempo e del futuro. Non siamo perdenti né loro, né tu, né io, né noi. Siamo con quelli che sono gli araldi della vittoria, e non solo perché,  come ci ha insegnato l’imperfettibile Che, combattere è già vincere. La tua vittoria più grande? Non averli mai chiamati "terroristi". I partigiani nel mondo, di ieri e di oggi, te ne rendono grazie. I perdenti stanno tutti dall’altra parte. Quasi sei milioni di esseri umani  lo sanno. Lo sanno i delfini e gli orsi, le querce e i mandarini, le nuvole e il mare. Qualunque cosa accada, anche la fine del mondo.
Fulvio Grimaldi. 

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