Un capitolo nella dissoluzione delle rivoluzioni: parallelismi storici mediorientali

MemoStiamo assistendo alla dissoluzione della rivoluzione egiziana senza rendercene conto? Per farvi capire cosa intendo, torniamo con la memoria a cosa accadde alla rivoluzione condotta dal primo ministro Mohammad Mosaddegh con cui sfidò lo Scià di Persia nel 1951.

All’epoca Mosaddegh era a capo del Jebhe Melli”, il cui scopo era nazionalizzare il petrolio iraniano e liberare il Paese dal dominio britannico e americano. Non era nuovo al mondo della politica, essendo stato ministro, membro del Parlamento e un rispettato funzionario nazionale; fu eletto primo ministro nel 1951. Due giorni dopo essere stato eletto, nazionalizzò l’industria del petrolio; questo gesto fu una provocazione per i britannici, gli americani, lo Scià e la classe dirigente. Quando annunciò la sua determinazione ad attuare una riforma agricola e a stabilire la proprietà della terra, le istituzioni religiose lo abbandonarono, e alcuni esponenti religiosi lo denunciarono per essersi “opposto all’Islam e alle leggi islamiche”.

Il Regno Unito fece causa a Mosaddegh presso la Corte Internazionale di Giustizia rivendicando la violazione dei propri diritti petroliferi, così lui si recò di persona all’Aja per difendere la propria posizione. Descrisse il Regno Unito come un “Paese imperialista che rubava i mezzi di sussistenza all’indigente popolo iraniano”. Tornando in patria si fermò al Cairo, dove fu ricevuto con entusiasmo dal primo ministro Mustafa el-Nahhas Pasha e dal popolo egiziano.

Cercando di fermare le politiche rivoluzionarie di Mosaddegh, il Regno Unito impose un blocco internazionale sul petrolio iraniano col pretesto che il suo governo violava i diritti della British Petroleum Company. La pressione economica che ne conseguì contribuì al deterioramento degli standard di vita in Iran e rivoltò il popolo contro il governo di Mosaddegh. Gli Stati Uniti adottarono una diversa linea di condotta: inviarono due agenti della CIA a Teheran – un’importante base nella loro lotta contro l’Unione Sovietica – per fare quanto necessario per rovesciare il governo.

I due agenti, Kermit Roosevelt e Norma Schwarzkopf, pianificarono la segreta “Operazione Ajax”, che prevedeva di:

  • Danneggiare la reputazione di Mosaddegh facendo partire delle proteste contro di lui, promosse da organi di stampa internazionali e locali. Il New York Times lo descrisse come un dittatore e lo paragonò a Hitler e Stalin. Per il Times di Londra, ciò che aveva fatto Mosaddegh era considerato il peggior disastro che avesse colpito il mondo della libertà che rifiutava il comunismo.
  • Assoldare il più famoso thug di Teheran, Shaban Jafari, e incaricarlo di prendere il controllo delle maggiori strade della capitale. I suoi uomini furono portati lì con dei pullman da tutto il Paese e si radunarono nelle strade intonando slogan offensivi contro Mosaddegh.
  • Assassinare figure di spicco nazionali: 300 persone furono uccise nelle strade della capitale, in cui serpeggiavano panico e terrore.
  • Cospirare con alcuni ufficiali dell’esercito per bombardare la casa di Mosaddegh; l’operazione fu condotta dal Generale Fazlollah Zahedi, nominato primo ministro dallo Scià al posto di Mosaddegh prima che fuggisse da Teheran in Italia passando per l’Iraq.

La missione di Roosevelt fu un successo, in quanto terminò con l’arresto di Mosaddegh. Fu condannato a morte, sebbene la pena sia stata poi commutata in 3 anni di isolamento dallo Scià, che ne uscì vittorioso. Una volta scarcerato, Mosaddegh fu esiliato ad Ahmedabad, nell’Iran settentrionale, fino alla sua morte, avvenuta nel 1967.

Prima di accantonare questo sguardo sulla Storia, vorrei ricordarvi tre cose che spero terrete a mente mentre esaminiamo la situazione egiziana. 1° – La campagna per rovesciare Mosaddegh e stroncare sul nascere la sua rivoluzione iniziò con un blocco economico che mirava a limitare le persone e a convincerle che l’attuale situazione fosse peggiore di quella precedente. 2°- Gli agenti della “Operazione Ajax”, che venne creata dalla CIA, usarono tre elementi per raggiungere i propri scopi: i mass media, i thug e alcuni membri dell’esercito. 3° – L’operazione durò due anni, dal 1951 al 1953.

Mentre siamo in argomento di esperienze e lezioni, vorrei sottolineare che l’aborto delle rivoluzioni in Egitto, Tunisia e Libia non è più un segreto, eccetto per i dettagli. Gli studiosi occidentali li hanno già trasformati in materie universitarie, tenendo conferenze di Scienze politiche e fornendo agli studenti i retroscena e i motivi dei loro successi e fallimenti. Tali individui hanno ben presenti nomi quali Crane Brinton, Barrington Moore, Theda Skocpol e Jack Goldstone, tutti nell’élite dei teorici della rivoluzione. Insieme costituiscono elementi sufficienti da essere in grado di scoprire quali sono i fattori e gli indicatori per l’interruzione e la dissoluzione delle rivoluzioni.

Non possiamo parlare dell’intervento straniero tramite azioni militari o questioni finanziarie perché gli Stati esteri hanno le proprie priorità e i propri interessi, sia legittimi sia illegittimi, ed è naturale per loro difendere tali interessi con ogni mezzo possibile. Così, se i loro interventi non sono accettabili, sono per lo meno comprensibili.

Il problema principale, quindi, non è la possibilità dell’intervento straniero, quanto la fragilità interna e la frammentazione che creano il potenziale per stroncare sul nascere la rivoluzione. Dovremmo prendere in considerazione situazioni simili in cui non ci sia stato bisogno dell’intervento straniero per soffocare una rivoluzione perché i fattori interni erano sufficienti.

Teorici e studiosi credono che la dissoluzione delle rivoluzioni sia raggiunta attraverso i seguenti fattori:

  • Il deterioramento della situazione economica tramite l’arresto della produzione, la chiusura delle strade e il blocco delle esportazioni, provocando la chiusura di alcune attività produttive e l’aumento della disoccupazione, generando una massa di gente pronta a intraprendere attività che minacciano la sicurezza dello Stato.
  • Destabilizzare l’industria del turismo, che rinvigorisce l’economia fornendo entrate veloci con impatto su molti settori diversi della società.
  • Creare instabilità nel Paese diffondendo il caos, incoraggiando gli scioperi e i sit-in, e convincendo il maggior numero di persone possibile che non sono al sicuro, non solo per quanto riguarda le fonti di reddito, ma anche perché la loro stessa vita è in pericolo. Inoltre, il ruolo dei thug è essenziale in questo processo, in quanto sono capaci di intimidire ogni livello della società.
  • Investire nei mezzi di comunicazione per diffondere il dubbio riguardo lo status quo e la paura per il futuro. A questo proposito, la televisione può avere un impatto pericoloso e quindi è considerata il miglior mezzo di comunicazione per farlo. Può rovinare la reputazione e umiliare le persone in pubblico su vasta scala.
  • L’incoraggiamento alla disobbedienza civile in tutta la società.
  • L’istigazione a conflitti di setta e di etnia che portano alla frammentazione della società e all’assenza di consenso nazionale.
  • Fornire una copertura politica alla violenza.
  • Accentuare la polarizzazione politica istigando il conflitto tra politici e ostacolando le risoluzioni di tali conflitti, spingendoli a tal punto da rendere impossibile la coesistenza.
  • Distruggere il rispetto per l’autorità.
  • Seminare zizzania tra le istituzioni statali, specialmente quelle che sono armate, cosicché per risolvere i dissensi si faccia ricorso alle armi.
  • Sabotare i piani per stabilire delle alternative al sistema.
  • Riabilitare il precedente regime, un tempo screditato, parlandone nostalgicamente quando le sue mancanze non sono più vivide nella mente del pubblico.

È chiaro che quanto dicono i teorici della rivoluzione è in effetti quello che ha fatto Kermit Roosevelt a Teheran quasi sessant’anni fa e che le loro conclusioni sono grosso modo identiche a ciò che sta accadendo in questo momento in Egitto. È come se avessero avuto in mente la situazione egiziana sotto il regime del presidente Mohamed Morsi quando concepirono queste idee.

Il rovesciamento di Mosaddegh in Iran ebbe luogo nell’arco di due anni e due anni sono passati dalla rivoluzione egiziana. È vero che il regime in Egitto sopravvive ancora, ma c’è una rivoluzione di idee in corso a cui dobbiamo prestare attenzione. La prova è che stiamo iniziando a sentire voci chiare che parlano apertamente dell’illegittimità di Morsi, che contano su un’altra rivoluzione, che richiedono il ritorno dei generali a governare il Paese, e che usano il Presidente espulso, assolto dalle Corti di giustizia, come leader per l’opposizione. La scarsa considerazione in cui è tenuto Morsi può essere vista nel fatto che è stato accusato di tradimento e che un giornale ha dichiarato che lui è una spia dei turchi.

Se la somiglianza tra gli eventi in Egitto e la formula per rovesciare un regime stilata dai teorici sia una coincidenza, o se sia stata pianificata da chi ha interesse reciproco nell’ottenere la caduta del governo, è da stabilire. Tuttavia siamo certi di una cosa: quanto sta succedendo nel Paese sta portando su quella strada.

So che la formula di questi teorici non è incisa nella pietra e che i risultati che prevedono non sono inevitabili. Pertanto, affermo che l’unica cosa che può salvare il Paese dalla sua rovina è nelle mani del Presidente Morsi. Le sue azioni, se svolte con saggezza e fermezza, possono minare il lavoro degli anti-rivoluzionari. Se non lo farà, ne dovrà sopportare le conseguenze. Stiamo aspettando.

Traduzione di Roberta Toppetta