Un “ente benefico” israeliano non sta piantando alberi, sta sradicando i palestinesi

Thenational.ae. Di Jonathan Cook. Il Fondo Nazionale Ebraico (Jewish National Fund – JNF) ha ottenuto plausi per il suo impegno ambientalista, ma il suo programma è stato quello di sfrattare per conto dello Stato (Da InvictaPalestina.org). Il Fondo Nazionale Ebraico, istituito più di 100 anni fa, è forse la più venerabile delle organizzazioni sioniste internazionali. I suoi recenti patrocini onorari includono i primi ministri di Israele, inoltre fornisce consulenza alle conferenze delle Nazioni Unite su questioni forestali e di conservazione ambientale.

È anche riconosciuto come un ente di beneficenza in dozzine di stati occidentali. Generazioni di famiglie ebree, e molti altri, hanno contribuito ai suoi programmi di raccolta fondi, imparando da bambini a donare i risparmi mettendoli nelle sue distintive scatole blu per aiutare a piantare un albero.

Eppure il suo operato per molti decenni è stato guidato da un obiettivo principale: sfrattare i palestinesi dalla loro patria.

Un cippo che identificava la terra del villaggio di Al Louz fino al 1948, ora gestito dal Fondo nazionale ebraico. Per gentile concessione di Shabtai Gold

Il JNF è una fiorente reliquia del passato coloniale europeo, anche se oggi indossa la veste di ente benefico ambientalista.

La missione dell’organizzazione iniziò prima ancora che nascesse lo stato di Israele. Sotto la protezione britannica, il JNF acquistò tratti di terra fertile in quella che allora era la Palestina storica. In genere usava la forza per espropriare i mezzadri palestinesi le cui famiglie avevano coltivato quella terra per secoli.

Ma le attività di espulsione del JNF non finirono nel 1948, quando Israele fu istituito, attraverso una sanguinosa guerra, sulle rovine della patria dei palestinesi, un evento che i palestinesi chiamano Nakba o catastrofe.

Israele demolì sommariamente più di 500 villaggi palestinesi epurati, e al JNF fu affidato il compito di impedire il ritorno di circa 750.000 rifugiati. Lo ha fatto piantando alberi su ogni casa abbatuta, rendendo impossibile ricostruirle e sulle terre dei villaggi per impedirne la coltivazione.

Queste forestazioni furono il modo in cui il JNF si guadagnò la sua reputazione internazionale. Le sue operazioni forestali sono state elogiate per aver fermato l’erosione del suolo, recuperando terreni e affrontando la crisi climatica.

Ma anche questa competenza era immeritata. Gli ambientalisti sostengono che le scure cime degli alberi che ha piantato in regioni aride come il Negev, nel sud di Israele, trattengono il calore a differenza del terreno non boschivo e di colore chiaro. A corto d’acqua, gli alberi a crescita lenta assorbono poco carbonio. Nel frattempo, le specie autoctone di piante e animali sono state danneggiate.

Queste foreste di pini, in cui il JNF ha piantato circa 250 milioni di alberi, si sono trasformate in un grave pericolo di incendio. La maggior parte degli anni scoppiano centinaia di incendi dopo le siccità estive aggravate dai cambiamenti climatici.

Un uomo beduino si prende cura delle sue pecore e capre vicino a Betlemme. Nel corso degli anni, le capre furono massacrate per costringere i beduini ad abbandonare il loro stile di vita pastorale. Reuters

All’inizio, la vulnerabilità degli alberelli del JNF fu usata come pretesto per bandire l’allevamento di capre nere autoctone. Recentemente le capre, che eliminano il sottobosco, hanno dovuto essere reintrodotte per prevenire gli incendi. Ma il massacro delle capre aveva già servito al suo scopo, costringendo i palestinesi beduini ad abbandonare il loro stile di vita pastorizio. Nonostante sopravvissero alla Nakba, migliaia di beduini nel Negev furono espulsi segretamente in Egitto o in Cisgiordania nei primi anni di vita del nuovo stato di Israele.

Sarebbe sbagliato, tuttavia, immaginare che l’inquietante ruolo del JNF negli sfratti fosse esclusivamente di interesse storico. L’associazione benefica, il più grande proprietario terriero privato di Israele, sta ancora oggi espellendo attivamente i palestinesi.

Nelle ultime settimane, attivisti del Movimento di Solidarietà Palestinese hanno cercato disperatamente di impedire lo sfratto di una famiglia palestinese, i Sumarini, dalla loro casa nella Gerusalemme est occupata, per far posto ai coloni israeliani.

Il mese scorso i Sumarini hanno perso una battaglia legale, durata trent’anni, intrapresa dal JNF, che ha acquistato illegalmente la loro casa alla fine degli anni ’80 dallo Stato israeliano.

La proprietà della famiglia è stata sequestrata ai sensi di una legge iniqua del 1950 che dichiara “assenti” i rifugiati palestinesi della Nakba in modo che non potessero reclamare la loro terra all’interno del nuovo Stato di Israele.

I tribunali hanno decretato che la legge può essere applicata anche nella Gerusalemme occupata, in violazione del diritto internazionale. Nel caso dei Sumarini, sembra non importare che la famiglia non sia mai stata “assente”. Il JNF è autorizzato a sfrattare i 18 membri della famiglia il mese prossimo. Per aggiungere al danno la beffa, dovranno risarcire i danni al JNF.

Un ex membro del consiglio degli Stati Uniti, Seth Morrison, si è dimesso in segno di protesta nel 2011 per il ruolo del JNF in tali sfratti, accusandolo di essere colluso con gruppi di coloni estremisti. L’anno scorso il JNF ha espropriato una famiglia in circostanze simili vicino a Betlemme. Giorni dopo i coloni si trasferirono su quella terra.

Ir Amim, un gruppo israeliano per i diritti umani competente su Gerusalemme, ha avvertito che questi casi creano un pericoloso precedente giuridico se Israele mantiene la sua promessa di annettere il territorio della Cisgiordania. Potrebbe rapidamente incrementare il numero di palestinesi classificati come “assenti”.

Ma il JNF non ha mai perso la predilezione per l’umile albero come il più efficace, e velato, strumento di pulizia etnica. E ancora una volta usa le foreste come arma contro il quinto della popolazione israeliana, i palestinesi sopravvissuti alla Nakba.

All’inizio di quest’anno ha presentato il suo nuovo progetto “Relocation Israel 2040”. Il piano ha lo scopo di “determinare un profondo cambiamento demografico di un intero paese”, quello che una volta era sinistramente chiamata “giudaizzazione”. L’obiettivo è portare 1,5 milioni di ebrei in Israele, in particolare verso il Negev, nei prossimi 20 anni.

Come nei primi anni di vita di Israele, le foreste saranno essenziali per raggiungere l’obiettivo. Il JNF si sta preparando a piantare alberi su un’area di 40 km quadrati appartenente alle comunità beduine sopravvissute a precedenti espulsioni. Con il pretesto dell’ambientalismo, molte migliaia di beduini potrebbero essere considerati “abusivi”.

I beduini sono in disputa legale con lo stato israeliano da decenni sulla proprietà delle loro terre. Questo mese, in un’intervista al quotidiano Jerusalem Post, Daniel Atar, responsabile globale di JNF, ha invitato ancora una volta gli ebrei a finanziare l’organizzazione. Avvisando che gli ebrei potrebbero essere dissuasi dal trasferirsi nel Negev a causa della sua cattiva fama di ospitare “criminali agresti”, riferimento in codice per i beduini che hanno cercato di mantenere il loro stile di vita pastorizio.

Gli alberi promettono sia di rendere più verde la regione semi-arida sia di cacciare gli “sgradevoli” beduini dalle loro terre ancestrali. Usando il tradizionale linguaggio coloniale del JNF di “far fiorire il deserto”, Atar ha affermato che la sua organizzazione avrebbe: “portato la prosperità nel deserto”.

I beduini comprendono il destino che potrebbe aspettarli. In una protesta il mese scorso hanno esposto degli striscioni: “Nessuna espulsione, nessuno trasferimento”.

Dopotutto, i palestinesi hanno subito lo sfollamento forzato per mano del JNF per più di un secolo, mentre lo guardavano ricevere plausi da tutto il mondo per il suo impegno nel “progresso ambientale”.

Jonathan Cook è un giornalista freelance a Nazareth

Traduzione per Invictapalestina.org Beniamino Rocchetto.