Un giovane detenuto palestinese scrive alla mamma del soldato israeliano Shalit.

Da: www.maannews.net/ar/index.php?opr=ShowDetails&ID=59129#

 

Il detenuto palestinese Ala’a Abdelkarim del campo profughi Al- Deheisheh (21 anni), rinchiuso in un carcere israeliano con l’accusa di essere un attività dell’Intifada e condannato a 14 anni, ha inviato una lettera all’agenzia Maan indirizzata alla madre del soldato israeliano Jilad Shalit.

 

La lettera di Abdul-Karim mostra una prospettiva umanitaria importante a dispetto della durezza del conflitto israelo-palestinese. Il giovane invita la signora Shalit a fargli visita nella prigione dove è rinchiuso e a sentire le storie dei carcerati palestinese, che lui spera vengano rilasciati grazie allo scambio di prigionieri. Sollecita anche le madri dei prigionieri israeliani e palestinesi a lavorare insieme per chiedere il rilascio dei detenuti.

 

Segue il testo della lettera:

 

signora Shalit,

un saluto,

spero che la mia lettera le possa arrivare prima possibile e attirare il suo interesse. Sono un detenuto palestinese e sento che il destino mi ha messo nella stessa situazione di suo figlio. Io e Jilad siamo detenuti a causa del conflitto tra i nostri popoli e nessuno di noi può abbandonare il proprio ruolo all’interno del conflitto stesso: siamo soldati che eseguono gli ordini, inviati da parte dei nostri due popoli e delle nostre dirigenze.

 

La sofferenza, la detenzione, il dolore accumunano me e suo figlio, anche se ognuno di noi ha obiettivi opposti a quelli dell’altro. Anche mia madre, che attende ed è preoccupata per me, vive la stessa tristezza e lo stesso dolore che vive ora anche lei; mia madre l’ha preceduta di tre anni e sa che non potrà vedermi prima di altri 14, a causa della condanna di Israele.

 

In questa mia lettera, vorrei farle qualche domanda sulla speranza e sul periodo delle feste vissute senza Jilad, sul documento che lei ha ricevuto in cui la informavano che lui è ancora vivo. Vorrei domandarle anche delle notti che passa senza di lui, lontano dalle sue braccia. Io capisco il suo dolore, ma voglio attirare la sua attenzione sui sentimenti di mia madre, che vive nelle sue stesse condizioni, nella sua stessa sofferenza, nella stessa lontananza, ma con la differenza che tutto il mondo ormai la conosce e conosce Jilad, mentre invece nessuno conosce me né mia madre.

 

Spero che a lei possano interessare i sentimenti di mia madre, a cui hanno portato via il figlio a 18 anni e che ora ne ha 21 anni. E’ da quel momento che lei conta i giorni e prega per il mio ritorno.

 

Jilad pensa a lei come io penso a mia madre, e si aspetta che lei faccia qualcosa per lui, come io me lo aspetto da mia madre. Lui le manda baci ogni secondo come faccio io, da qui e dalla stessa sofferenza e dallo stesso destino.

 

Perciò, da qui, dalla mia prigione la invito a venire a trovarmi e a sentire la mia storia, e quella dei detenuti che per essere liberati devono essere scambiati con Jilad.

Io propongo che le madri dei prigionieri di entrambe le parti formino una commissione per liberare i detenuti dei due popoi. Questa sarebbe un’immagine lontana dai sentimenti di inimicizia che ha portato noi e voi alla sofferenza. Io spero con tutta sincerità che Jilad possa tornare sano a casa e che anch’io e i tutti i prigionieri palestinesi possano fare ritorno alle proprie famiglie

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