Un quarto di secolo da Oslo, il gioco è finito per i Palestinesi

MEE. Di Hossam ShakerLa “soluzione dei due stati” si è rivelata una bufala venduta da oltre due decenni ai Palestinesi.

L’amministrazione USA ha appoggiato la politica israeliana della costruzione di colonie nei Territori palestinesi occupati – considerate illegali dal diritto internazionale – nel tentativo di garantire ad esse legittimità.

Dopo decenni di condanne internazionali, il Segretario di Stato USA Mike Pompeo ha dichiarato il mese scorso che “la realizzazione di colonie civili israeliane in Cisgiordania non è, di per sé, incompatibile con il diritto internazionale”. Con questa dichiarazione di vasta portata, gli USA – il gestore ufficiale del “processo di pace” – ha eliminato le basi per la creazione di un qualsiasi tipo di stato palestinese, assicurando il suo sostegno al controllo sconfinato dell’occupazione sulla terra palestinese.

Scollegamento tra le comunità palestinesi. 

Si tratta della tragica fine del “processo di pace in Medio Oriente” e della “road-map per uno stato palestinese” dell’era Bush. Fin da allora, le cose sono continuate esattamente nella direzione opposta. Non soltanto l’occupazione israeliana ha esteso le sue colonie illegali, ma le ha anche dislocate strategicamente con lo scopo di disconnettere le comunità palestinesi che si vengono a trovare nel mezzo.

Dopo aver fatto la promessa idealista di uno stato futuro, ma non aver rispettato le condizioni necessarie per la sua fondazione, l’amministrazione Trump ha imposto lo status quo dichiarando Gerusalemme “capitale di Israele” – azione che nessun presidente USA in precedenza aveva mai osato intraprendere. In questo modo Washington ha eliminato qualsiasi speranza rimasta per il “processo di pace”.

Tali sviluppi hanno inferto un colpo mortale alla “soluzione dei due stati” – concetto che si era rivelato essere una bufala venduta ai Palestinesi per un quarto di secolo. Il quotidiano francese L’Humanité aveva scritto il 20 novembre: “Trump vuole rimuovere la Palestina dalla carta geografica”.

Il gioco è finito, ed ora i Palestinesi devono scegliere uno stile di vita sotto occupazione – possibilmente con una diversa etichetta, come “autonomia limitata”, fornendo l’impressione che una soluzione sia già stata raggiunta.

E’ importante ricordare che la “fase di transizione” seguente agli Accordi di Oslo doveva condurre ad un accordo completo entro il 1999. Invece, i Palestinesi si trovano ora sotto l’autorità di una amministrazione provvisoria con una bandiera palestinese, mentre restano sotto occupazione, e nella quale i servizi segreti palestinesi sono obbligati ad obbedire al sistema di sicurezza israeliano in base alla dicitura ingannevole di “coordinamento per la sicurezza”.

Alleviare la pressione dell’occupazione. 

Questa situazione sembra accontentare il governo di occupazione israeliano. Allevia le pressioni e, in molti modi, sopprime ogni possibile Intifada o atto di resistenza futuro – una conseguenza disastrosa per qualsiasi movimento di liberazione nazionale.

E comunque l’Autorità Palestinese non vuole un dibattito pubblico con la sua gente sulla realtà della situazione alla quale essa stessa ha contribuito. L’ANP ha dichiarato che i negoziati sono la sua unica opzione sulla quale, nel corso di un quarto di secolo, una élite politica, burocratica, di sicurezza e di supremazia economica si é cristallizzata. Il mantenimento di queste relazioni significa però anche la continuazione dei suoi privilegi particolari, che non vengono condivisi col resto della popolazione.

Coloro che hanno sottoscritto questi accordi disastrosi con l’occupante, sotto il patronato USA, mantengono ancora la posizione ufficiale palestinese, risalente al primo Accordo di Oslo del 1993. Il Presidente palestinese Mahmoud Abbas, l’”architetto” di Oslo, evita in tutti i modi, e fino ai giorni nostri, la responsabilità di questa pericolosa creazione e delle sue conseguenze e teme le elezioni presidenziali da quando il suo mandato costituzionale è terminato nel gennaio 2009.

Tutti i governi israeliani che si sono succeduti hanno trovato un’opportunità d’oro con questa leadership palestinese destabilizzata per mantenere lo status quo dell’occupazione, soprattutto dopo la misteriosa morte dell’iconico leader Yasser Arafat.

L’ANP è impegnata a garantire il proprio bilancio e a creare una dipendenza da “donatori internazionali”, senza cercare strategie finanziarie alternative.

Grandi promesse non mantenute. 

L’Europa ha giocato un ruolo essenziale nel vendere questa illusione ai Palestinesi, incatenandoli al pensiero di uno “stato palestinese realizzabile”. Nonostante le critiche europee a proposito del muro israeliano di separazione (annessione o apartheid, ndr), sull’aumento degli insediamenti e delle demolizioni di abitazioni palestinesi, nessuna pressione reale è stata esercitata sul governo israeliano, che continua a godere di accordi di cooperazione e relazioni positive con gli stati europei.

Ad un quarto di secolo da Oslo, è chiaro che gli USA hanno abbandonato il loro impegno per il “processo di pace”, mentre le possibilità di implementare una soluzione a due stati sono precipitate drasticamente.

Ciò che rimarrà in primo piano sarà l’”architetto” dell’accordo, impigliato nelle sue sconfitte locali e intento a distogliere l’attenzione pubblica dai gravi fallimenti della lotta per la liberazione nazionale.

Le grandi promesse non sono state mantenute mentre il mondo sta a guardare. Generazioni di Palestinesi arrabbiati riconoscono che ciò che è accaduto negli ultimi due decenni e mezzo è un lungo gioco che ha ingannato la loro leadership, attirandoli in una trappola e danneggiando inevitabilmente la loro causa.

Il gioco è finito, e il destino del “processo di pace” è segnato. Eppure nessuno di coloro che sono coinvolti si confronterà con il popolo palestinese riguardo a questo fallimento strategico, per paura di versare petrolio sul fuoco scatenando così un’ondata di rabbia palestinese.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi