Una preghiera per Lydd: mappe e ricordi che la Nakba non potrà mai cancellare

MEE. Di Hebh Jamal. L’assalto di Israele alla nostra terra e al nostro popolo non ha cancellato l’identità della mia famiglia. Oggi, le nostre storie mantengono viva la nostra storia a Lydd

Nella provincia di Lydd (o Lod), Palestina, la mia famiglia ancestrale ha vissuto per generazioni nel villaggio di Jimzu. Fu ripulita etnicamente dalle forze israeliane nel 1948, in un’offensiva militare chiamata Operazione Danny.

Il comandante dell’esercito, Moshe Dayan, che in seguito divenne ministro della difesa di Israele, diede l’ordine di conquistare Lydd, Ramle e tutti gli altri villaggi della regione. L’obiettivo era la pulizia etnica e lo spopolamento di Jimzu e dei villaggi circostanti, “dando fuoco a tutto ciò che può essere bruciato”.

La maggior parte dei palestinesi di Lydd non potè salvare alcun oggetto personale. Le nostre case furono distrutte, insieme a quasi tutte le prove fisiche della nostra esistenza, a Jimzu, per secoli. La pulizia etnica di Israele, tuttavia, non impedì alle nostre storie orali di diventare il punto focale della nostra identità. Le nostre storie hanno mantenuto viva la nostra storia a Lydd.

La mia bisnonna, Maryam Naseef, gestiva la colonia di api del villaggio, producendo galloni di miele, ogni anno, per sostenere la sua famiglia. Ieri, mi sono seduto a tavola con i suoi nipoti qui a New York, mentre ricordavano che Umm Hussein (la madre di Hussein) era la donna palestinese più dura che la nostra famiglia conoscesse.

Diceva che anche quando fosse stata sotto terra sarebbe stata ancora “la donna di casa, la donna che comandava”. I suoi documenti rilasciati a Gerico dopo la Naksa mostrarono che era nata a Lydd nel 1912.

(Nella foto: il nonno dell’autore, Mohammed Issa al-Jamal).

Mio nonno, Mohammed Issa al-Jamal, studiò nelle scuole di Gerusalemme. Fu uno dei primi educatori del villaggio e insegnò a Ramle. Aprì anche un capitolo dei Boy Scout che era chiamato al-Najjada, che mirava a unire i giovani e a rafforzare la loro coscienza palestinese. Ispirato dal movimento scout paramilitare palestinese, al-Najjada fu fondato a Jaffa intorno al 1945. Il ramo di Jimzu era, secondo le mie note di famiglia, più di un movimento di resistenza pacifico e non si occupava di alcuna attività militare.

Mio nonno, uno dei primi attivisti della mia famiglia, comprese i pericoli del progetto coloniale sionista e si assicurò di educare il suo villaggio per mantenere viva la nostra esistenza. In molti modi, al-Najjada divenne un’organizzazione di resistenza contro il colonialismo sionista. Il professore palestinese Reja-e Busailah ha scritto che da un certo punto in poi “il popolo di Lydd adottò esteriormente, invariabilmente, un atteggiamento e una strategia di difesa”.

Mio nonno portò l’idea di al-Najjada nel villaggio, insieme ai festival annuali, ai quali venivano invitate le città circostanti, per raccogliere sostegno alla resistenza. In un’occasione, il festival fu interrotto da un raid dell’esercito britannico contro Jimzu. Volevano schiacciare qualsiasi supporto alla resistenza, specialmente la resistenza armata. Il mio prozio, Ahmed Issa Ibrahim al-Jamal, ha ricordato nelle sue memorie che c’erano circa 14 fucili tra i cittadini.

I fucili furono raccolti in fretta e il mio prozio li nascose velocemente nei campi dietro casa. L’esercito britannico entrò in città, fermò tutti e perquisì i presenti alla ricerca di armi. Ovviamente non ne trovarono e alla fine se ne andarono.

Il mio prozio ha ricordato che il festival riprese, il cibo uscì, furono fatti discorsi e furono raccolte reclute e contributi – nonostante la rabbia ribollente dei cittadini verso la persona che aveva informato gli inglesi dell’evento.

“Poteva solo piangere”.

Il mio prozio era il capo della città di Jimzu. Accompagnò suo padre (il mio bisnonno) a fare un censimento della popolazione di Jimzu. Conosceva ogni residente e ogni famiglia.

(Foto: un documento di possesso di terra rilasciato a un residente di Jimzu dal governo locale il 25 agosto 1943 (fornito).

Ma il 9 luglio 1948, il mio prozio e il resto della famiglia furono costretti ad andarsene, mentre la brigata sionista Yiftach avanzava e occupava Jimzu. Quando la mia famiglia e il resto dei residenti del villaggio furono espulsi, le milizie sioniste spararono contro di loro mentre fuggivano. Dieci furono uccisi.

Il mio prozio ha ricordato nelle sue memorie di aver visto una madre, Nazeera, allattare il suo bambino mentre erano costretti a lasciarsi alle spalle la vita. Un soldato sionista sparò alla madre e il bambino continuò a nutrirsi del suo corpo senza vita.

Il mio prozio ha scritto una piccola poesia per lei: “Tu [l’ex leader israeliano Ariel Sharon e Dayan] attaccasti Jimzu con un enorme esercito. Un giorno, però, perderai. Cacciasti i residenti dal nostro villaggio e le loro famiglie. Li seguisti con mitragliatrici e carri armati. Uccidesti i vecchi e i loro figli. Li uccidesti senza motivo. Uccidesti un vecchio, un capo, un uomo troppo vecchio per scappare o nascondersi. Ma non era abbastanza quello che avevi fatto: dovetti uccidere Nazeera mentre il suo bambino allattava al seno.

“Creasti la morte ovunque e diventasti un esperto nell’ucciderci. Il piccolo innocente – cosa ha fatto per non meritare un padre? Una madre? Impedisti a un bambino di provare l’amore di una madre prima del tramonto. Il bambino piccolo tirò il seno di Nazeera. Poteva solo piangere”.

(Foto : i membri della famiglia al-Jamal arrivano in Brasile).

Da lì, il mio prozio dovette trovare una nuova casa. Nell’ottobre 1956 molti membri della mia famiglia divennero rifugiati e si stabilirono in Giordania. Alcuni dovettero trasferirsi negli Stati Uniti; altri trovarono rifugio in qualsiasi Paese che li potesse accogliere, come il Brasile.

Per la mia famiglia, ricordare la nostra casa era tutto. Il mio prozio disegnò la mappa di Jimzu più dettagliata che esista attualmente. Nessuna casa di famiglia, pozzo, campo, moschea o strada fu dimenticata. Mantenne vive le persone di Jimzu e le loro storie in virtù della sua memoria.

La mappa disegnata dal mio prozio fu esposta allo Spertus Institute for Jewish Learning di Chicago come parte della mostra “Imaginary Coordinates” – anche se non per molto tempo. Sotto l’intensa pressione dei mecenati sionisti arrabbiati, Spertus chiuse la mostra. Il pretesto avanzato dai critici era che “era chiaramente anti-israeliano” e che offuscava la reputazione di Israele. Erano “addolorati” dalla mappa di mio zio.

(Foto: il prozio dell’autore disegnò una mappa dettagliata di Jimzu, compresi i nomi di famiglie e strade).

Chiaramente, qualsiasi ricordo che i palestinesi vivevano nella loro terra fa arrabbiare i sostenitori di Israele. È un promemoria che il loro Stato fu costruito mediante la pulizia etnica e la distruzione di villaggi palestinesi, come la mia casa ancestrale di Jimzu. La mappa di mio zio ci ricorda in modo schiacciante che Israele è una potenza occupante che può esistere solo costringendo generazioni di famiglie palestinesi a lasciare le loro case.

I palestinesi sono tornati a Lydd e Jimzu dal loro esilio forzato nel 1948, ma come visitatori – e a volte non possono nemmeno farlo.

Libertà negata.

Provai a visitare Jimzu nel 2016. Vidi le foto delle rovine della mia terra ancestrale, inclusa l’unica tomba in piedi del mio prozio materno, Jamal Abdellatif Shehadeh, morto nel 1946. Volevo porgere i miei rispetti di persona.

Ma i coloni israeliani non mi permisero di entrare nel mio villaggio o di vedere la sua tomba di persona. La dolorosa consapevolezza che i palestinesi non possono nemmeno fermarsi a ricordare tutto ciò che hanno perso è ulteriormente cementata dalla realtà che i coloni israeliani ci stanno ancora cacciando dalle nostre case fino ad oggi.

(Foto: l’ultima tomba rimasta a Jimzu appartiene al prozio materno dell’autore, Jamal Abdellatif Shehadeh, morto nel 1946).

Sebbene la resistenza contro l’occupazione a Lydd sia stata repressa per decenni, negli ultimi giorni abbiamo assistito a un’ondata di proteste senza precedenti in Israele. I palestinesi stanno riaffermando la loro identità scendendo in piazza. La mia casa, Lydd, vuole che il mondo sappia che non saranno chiamati “arabi israeliani”.

Le proteste hanno mostrato solidarietà con le famiglie di Sheikh Jarrah, Gerusalemme nel suo insieme, e i palestinesi a Gaza che affrontano brutali bombardamenti israeliani e un assedio militare di 14 anni. I palestinesi di Lydd stanno dimostrando allo Stato coloniale che la loro politica di contenimento non funzionerà più finché l’apartheid continuerà.

La memoria è un potente strumento di resistenza che oggi alimenta il movimento di liberazione. Il diritto al ritorno è la parte più cruciale della lotta palestinese. La storia della mia famiglia e della loro vita a Jimzu non è unica; i palestinesi della diaspora ricordano di aver sentito parlare della bellezza dei nostri villaggi e dell’entusiasmo nelle voci dei nostri nonni mentre pregano per tornare a casa.

Non c’è libertà senza il nostro diritto al ritorno, dal fiume al mare.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Traduzione per InfoPal di L.P.