Un’analisi: l’Europa dovrebbe espiare le proprie colpe

IMG-20140514-WA0008Di John V. Whitbeck (*). Ora che il “processo di pace” monopolizzato dagli Stati Uniti è tramontato, l’Europa dovrebbe prendere l’iniziativa e provare a fare qualcosa di utile per gli Israeliani, i Palestinesi e la pace.

Se gli stati europei ritengono ancora concepibile una dignitosa “soluzione dei due stati”, ci sono una serie di vantaggiose alternative immediatamente disponibili. Potrebbero sostenere e rinforzare l’attuale legittimità dei due stati unendosi ai 134 che hanno già esteso il riconoscimento diplomatico allo Stato di Palestina. Potrebbero anche esigere dagli israeliani che richiedono un visto per visitare paesi europei una documentazione che dimostri che non risiedono nei Territori Occupati della Palestina.

Sarebbe ancora più costruttivo imporre sanzioni economiche a Israele e intensificarle finché non rispetti la legge internazionale e le relative risoluzioni ONU mettendo così fine a 47 anni di occupazione.

Se gli stati europei non hanno intenzione prendere tali iniziative o se hanno concluso, non irragionevolmente, che una dignitosa “soluzione dei due stati” non è più concepibile e che ora l’unica questione è se l’attuale realtà di un solo stato continui ad essere una situazione di apartheid o possa essere trasformata in una democratica, dovrebbero riflettere sul loro proprio passato e sulle loro responsabilità per individuare il percorso più vantaggioso per andare avanti.

La dura realtà è che il sionismo è, e lo è sempre stato, il sogno di un antisemita diventato realtà, dando la speranza che gli ebrei del proprio paese potessero essere spinti ad abbandonarlo e a trasferirsi altrove.

Il politico britannico Arthur J. Balfour, che diede il nome alla disastrosa dichiarazione, fu un convinto sostenitore dell’Alien Act del 1905 il cui obiettivo principale era quello di arginare il flusso di ebrei che fuggivano dalle persecuzioni della Russia zarista verso la Gran Bretagna.

Di conseguenza, all’indomani dell’Olocausto, un abominio che coinvolse l’intera Europa, i governi europei, così come quelli di Stati Uniti, Canada e Australia, ignorarono vergognosamente le richieste degli arabi per discutere il ricollocamento degli ebrei che si erano spostati, considerandolo un dovere e obbligo per il mondo intero. Si rifiutarono, però, di ammorbidire le loro restrizioni all’immigrazione, forzando così la maggior parte degli ebrei a cercare di costruirsi una nuova vita in Palestina, anche se molti avrebbero preferito stanziarsi altrove.

Invece di continuare a contrastare la giustizia, a violare la dignità umana e la legge internazionale, sostenendo in modo incondizionato un esperimento etnico, religioso, coloniale e suprematista, gli stati europei, che ormai non sono più antisemiti, potrebbero e dovrebbero aprire le porte a tutti gli israeliani che avessero intenzione di crearsi una nuova e migliore vita per se stessi e i propri figli, con meno ingiustizia e più sicurezza, ritornando nei loro paesi di origine o emigrando in altri a loro scelta, potrebbero offrire loro permessi di residenza immediati, un generoso sostegno per insediarsi e un rapido accesso alla cittadinanza (se ancora non l’avessero).

Una “legge del ritorno” così genuina sarebbe profondamente filo-semitica, pro-ebraica e sicuramente anti-sionista. Sarebbe il simbolo dell’ammissione morale e etica, ma che non impedisce di pensare ai propri interessi, del fatto che il Sionismo, come alcuni altri famosi “ismi” del XX secolo che un tempo catturarono l’immaginazione di milioni di persone, fu una idea tragicamente pessima – non solo per quegli innocenti catturati e calpestati lungo la strada ma anche per quelli che abbracciarono tale ideologia – che, anche se è sostenibile con il supporto dell’Occidente, non se lo merita e che ha già causato e, se perpetuata, continuerà a causare gravi problemi al mondo occidentale e alle sue relazioni con il resto del mondo.

Gli stati occidentali amano fare appello agli Israeliani, Palestinesi e gli altri paesi arabi affinché elaborino “misure per rinforzare la fiducia” senza però offrirne nessuna loro stessi. Un’iniziativa multinazionale con il fine di far espiare all’Europa le proprie colpe del passato contro gli ebrei, invitandoli a ristabilirsi negli stati europei, costituirebbe una enorme misura per rinforzare la fiducia a cui si opporrebbero logicamente solo coloro che sono anti-semiti o sionisti, o entrambe le cose.

Nella terra che, fino al 1948, si chiamava Palestina, democrazia e pari diritti in uno stato unitario, abbinati alla libertà di scelta e l’attraente alternativa di ristabilirsi altrove per coloro che preferissero non vivere in uno Stato del genere, dovrebbero offrire una più realistica speranza per una pace giusta in qualche misura di quanto possa fare il continuo riciclare un “processo di pace” basato sulla spartizione, che è stato ampiamente riconosciuto come un cinico passatempo e che, anche se “riuscito”, semplicemente legittimerebbe, ricompenserebbe e immortalerebbe pulizia etnica, razzismo e apartheid e difficilmente sarebbe una ricetta per una pace duratura, per non parlare della totale assenza di giustizia.

Le vecchie convinzioni, incluso l’irreversibile successo dell’esperimento sionista, dovrebbero adesso essere messe in discussione. Dovrebbero adesso essere considerate idee un tempo ritenute eretiche, inclusa la rinuncia all’esperimento sionista – almeno nella sua attuale forma violentemente esclusivistica di uno “stato-nazione del popolo ebraico” – e la sua sostituzione da parte di una democrazia attraverso un percorso di scelta volontaria e personale piuttosto che con la violenza.

Se i politici occidentali si interessassero di più del benessere e della felicità degli ebrei in quanto esseri umani che del denaro e della capacità di danneggiarli di pochi ricchi e potenti sionisti, molti dei quali vivono comodamente e al sicuro lontano dal Medio Oriente, democrazia, pari diritti e libertà di scelta, tutti principi a cui gli stati occidentali sono devoti, potrebbero, forse, arrivare in “Terra Santa”.

Per incoraggiare gli stati europei ad agire, i governi degli stati musulmani, da cui i cittadini ebrei emigrarono verso Israele, potrebbero e dovrebbero emettere una nuova dichiarazione post-Balfour secondo la quale gli ebrei che un tempo erano tanto loro cittadini quanto loro discendenti sarebbero benvenuti a tornare nei loro paesi di origine. Questo sarebbe un pubblico invito per gli stati europei a seguire il loro esempio.

 

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Ma’an News Agency.

(*) John V. Whitbeck è un avvocato internazionale che ha consigliato il gruppo negoziatore palestinese nelle negoziazioni con Israele.

Traduzione di Marta Vertechi