Uno sguardo su Gerusalemme (al-Quds)

In occasione della Giornata internazionale di Gerusalemme, Yawm al-Quds, riceviamo e pubblichiamo.

 

Uno sguardo su Gerusalemme (al-Quds)

 

Introduzione

 

Da anni la regione del Medio Oriente deve affrontare diversi problemi e viene considerata una delle regione più critiche del mondo.

La radice del più importante problema e della crisi del Medio Oriente è nascosta nella questione della Palestina, e nella la guerra costante del falso regime di Israele contro il popolo della Palestina e alcuni paesi limitrofi come il Libano. Dal 1948, anno in cui Israele ha proclamato la sua esistenza, si susseguono attacchi continui contro il popolo della Palestina. Milioni di profughi o espulsi dalla loro patria, migliaia di prigionieri e ostaggi, migliaia di martiri e decine di migliaia di feriti sono il risultato degli attacchi del regime sionista contro la Palestina. A causa del regime sionista la regione del Medio oriente è diventata la regione più critica, insicura e agitata. Negli ultimi mesi il regime ha incrementato la sua attività terroristica contro il popolo Palestinese per dimostrare che la sua politica disumana non ha subito variazioni. Da una parte continua ininterrottamente gli attacchi contro i palestinesi e le loro case e a massacrare questo popolo, e dall’altra parte sta facendo pressioni su altri paesi affinché le elezioni popolari in Palestina non vengano prese in considerazione, e con il sostegno degli Stati Uniti vorrebbe costringere i paesi arabi ad accettare l‘istituzione di un altro governo nella Palestina di suo gradimento.

Israele continua costantamente a distruggere il territorio palestinese, incrementa la distruzione dell’infrastrutture economiche del paese e crea un’atmosfera insicura per la popolazione. Ci si chiede come mai tutto il mondo riesce a essere indifferente nei confronti di questa catastrofe?

Hanno tenuto migliaia dei palestinesi per un lungo periodo in pessime condizioni nelle prigioni del regime. Ogni giorno arrivano notizie di palestinesi massacrati o uccisi con azioni barbariche dei militari o con gli aerei da caccia del regime sionista. Perche Israele detiene armi nucleari e bombe atomiche in Medio Oriente? Israele con le sue bombe atomiche quale paese ha intenzione di attaccare? I palestinesi perché da sempre devono essere circondati? Perché non devono avere una relazione normale con il mondo? Perché Israele si permette di imprigionare tutti i palestinesi costruendo il muro di recinzione attorno a tutta la Palestina? Perche la comunità internazionale ha assunto la posizione di silenzio e ha chiuso gli occhi sulle azioni criminali del regime? Perché quelli che sostengono Israele e difendono la violenza israeliana contro la Palestina definiscono la resistenza popolare palestinese come azione terroristica e non vedono la differenza tra occupanti e occupati? Forse vogliono giustificare l’occupazione di questo paese da parte di Israele? Perché i paesi che difendono questo popolo vengono definiti sostenitori del terrorismo?

La Palestina è l’unico paese al mondo dove i diritti umani vengono calpestati continuamente da parte del regime sionista per cui i paesi cosiddetti porta-bandiera dei diritti umani hanno assunto la posizione del silenzio. Può però anche la popolazione restare indifferente?

Adesso che non esiste nessun ente di riferimento nel mondo e nel sistema internazionale che riesca a far valere i diritti del popolo palestinese, calpestati da parte il regime sionista, ci si trova davanti ad una domanda: qual è il mezzo migliore per poter comunicare l’insoddisfazione e placare la rabbia della comunità internazionale per l’azione criminale dell’Israele?

La domanda principale che si pone il popolo oppresso del mondo è questa: se istituire la pace e la sicurezza tra le nazioni è il compito delle Nazione Unite, allora perché questa organizzazione 50 anni dopo la sua fondazione ancora non è riuscita a diventare una potenza indiscutibile per la pace e la sicurezza del mondo a causa dei paesi oppressori che hanno diritto di veto? Perché tutte le risoluzioni approvate dalle Nazione Unite relative alla liberazione dei territori occupati vengono cestinate senza il minimo timore della reazione delle Nazione Unite? Perché Israele, nonostante la presenza di più di 200 bombe atomiche nel suo arsenale, non ha firmato nessun trattato contro le armi nucleari e non è diventato un membro del NPT?

Il motivo è che gli Stati Uniti sostengono a 360 gradi Israele, e questo paese è diventato una grande base per gli Stati Uniti nella regione.

 

La posizione geografica della Palestina

La Palestina è un paese arabo-islamico con una superficie di 27.024 kilometri quadrati che ha il Mare Mediterraneo a ovest, il Libano a nord, la Siria e il fiume Giordano a est e il mare Rosso e la Penisola del Sinai a sud e sud-ovest. Il suo nome antico è Canaan.

Si tratta di un territorio fertile e con il clima mite, terra di grandi profeti come Gesù e Mosè, e dove ha vissuto Abramo. Dal punto di vista strategico è come un ponte che collega i paesi arabi e islamici dell’Asia al continente africano.

La sua posizione geografica nel corso della storia ha fatto diventare la Palestina un punto d’incontro per diversi popoli e civiltà, fino a diventare, insieme ad altri paesi arabi, un paese con una identità arabo-islamica.

La vecchia città di Quds (Gerusalemme), sita su una collina circondata dal Monte Sion a ovest e Monte degli Ulivi a est, è la città più importante della Palestina.

L’attuale Palestina è divisa in tre parti:

1 – Territorio occupato dal 1948, che ha come popolazione 1.100.000 palestinesi.

2 – La Cisgiordania, che una superficie di 5650 Km2 e comprende la città di Quds, e la cui popolazione palestinese è stimata a 1.500.000.

3 – La Striscia di Gaza, con una superficie di 350 Km2, la cui popolazione palestinese è di un 1.300.000.

Inoltre ci sono tra i 4 e i 5 milioni di profughi palestinesi in seguito alla occupazione sionista, che vivono in Giordania, Siria e Libano.

La Palestina, a causa della sua posizione strategica, del fertile territorio e dell’importanza religiosa che la città santa ha avuto nella sua storia, è stata sempre un campo di battaglia di diversi imperi, e la sua popolazione da sempre ha dovuto organizzare una resistenza per fronteggiare gli invasori.

 

La presenza dell’Ebraismo in Palestina

Il Profeta Abramo (saluto di Dio su di lui) nel 1900 A.C. è migrato insieme Lot (figlio di suo fratello) dall’Iraq in Palestina, e ha invitato la popolazione di questa regione al richiamo di Dio. Dopodiché le tribù ebraiche, alla ricerca di acqua e cibo, migrarono verso questa area e cominciarono  a vivere tra le popolazioni già residenti in questa regione, che le accettarono grazie alla loro ospitalità. Però dopo che il loro numero iniziò a salire cominciarono a combattere controle popolazioni ospitanti e cercarono di impadronirsi di una parte del territorio. Il culmine della loro potenza fu raggiunto durante l’era del profeta Salomone, in un momento in cui avevano sotto controllo buona parte del territorio. A causa della loro natura egoistica tra di loro iniziarono dei dissidi che portarono alla divisione del loro regno che alla fine venne distrutto, dopo la morte di Salomone, dal babilonese Nabopolassar. La maggior parte degli ebrei venne ridotta in schiavitù ma Ciro il Grande li liberò permettendo loro di far ritorno in Palestina.

Nella Bibbia ci sono diverse storie che raccontano la battaglia tra i palestinesi e gli ebrei invasori. Dopo che i Romani distrussero il Tempio, uccidendo gran parte degli ebrei ponendo fine alla loro presenza nella regione, questi si dispersero in varie parti del mondo (Diaspora).

 

Conoscere la storia della Palestina

I Canaaniti furono la prima tribù che migrò dalla penisola arabica alla Palestina, vissuto con gli Amorriti e costituirono un regno nel 2500 anni A.C. che è rimasto in piedi per 15 secoli. La storia della Palestina inizia con i nomi dei profeti. Il nome di Giacobbe era Israele. Le Dodici tribù di Israele discendevano dai figli di Giacobbe che governarono il territorio nel 1300 A.C. La popolazione di Israele subì un incremento prima del arrivo del Profeta Mosè nel regno di Faraone, e circa 430 anni dopo l’arrivo di Giacobbe in Egitto, il Profeta Mosè fece migrare le Dodici tribù di Israele dall’Egitto verso la Terra Promessa. Il viaggio durò 40 anni duranti i quali il profeta Mosè non smise mai di condurre la sua popolazione verso la retta via. Le Dodici tribù di Israele, però, si ribellarono contro il Profeta Mosè diverse volte.

Dopo il Profeta Mosè, Giosuè prese il suo posto e fece attraversare alle Dodici tribù di Israele il fiume Giordano, finché raggiunsero le città e cominciarono a massacrare la gente e a saccheggiare i villaggi che trovavano sul loro cammino. Però la Palestina era il paese che oppose resistenza e alla fine poté sconfiggere le Dodici tribù di Israele. Dopo ripetute guerre, le Dodici tribù di Israele riuscirono nuovamente a salire al potere e il Profeta Davide poté conquistare Gerusalemme e costruire Quds, o la moschea Santa. Questa moschea successivamente fu completata dal Profeta Salomone che governò il paese per 40 anni e poté restituire la pace al Quds, però dopo la sua morte iniziò nuovamente la violenza da parte delle Dodici tribù di Israele

Nel 730 a.C. circa Salmanassar invase Israele e prese in ostaggio gli israeliani e li sostituì con Babilonesi. Nell’anno 586 A.C. nel periodo di Nabopolassar, Israele venne attaccato dagli Assiri, e a causa di questo attacco le Dodici tribù di Israele vennero eliminate e prese in ostaggio. Alla fine Ciro il Grande, il re della Persia, conquistò Babilonia e liberò gli ebrei riportandoli in Palestina. La pace in questa regione continuò fino alla fine del regno di Dario III, quando Alessandro Magno, nel 323 a.C., attaccò la Persia, l’Egitto, la Siria, i Fenici e la Palestina, invasione che portò al massacro e alla distruzione di questi popoli.

Dopo Alessandro i suoi successori presero il dominio della Palestina, e nel 64 a.C. iniziò la dominazione dei Romani che, dopo ripetute guerre, invasero l’Armenia e la gran parte dell’Asia e Africa, e successivamente la Siria e la Palestina uccidendo più di 12 mila ebrei.

In questa situazione l’unica speranza di salvezza degli ebrei era Gesù Cristo, però l’autorità religiosa dell’ebraismo per gelosia aveva intenzione di eliminarlo e alla fine, su ordine del consiglio degli ebrei e a causa del complotto da loro ordito, il Profeta Gesù Cristo venne condannato a morte.

Nell’anno 70 d.C. Tito Flavio Vespasiano con i suoi ottantamila uomini circondò Gerusalemme e, dopo qualche mese di resistenza degli ebrei, poté conquistare la città e gli ebrei divennero quindi nuovamente profughi.

Cosroe II di Persia riuscì a sconfiggere i Romani con l’aiuto degli ebrei che collaboravano con lui e a conquistare Gerusalemme, però dopo la sua morte i cristiani presero nuovamente il controllo della città.

Il primo Califfo dell’Islam Abu Bakr inviò il suo esercito in Siria e Palestina e, dopo la sua morte, il secondo Califfo Omar riuscì a conquistare la Siria e Palestina e a sconfiggere i Bizantini. Gli abitanti delle città opposero una grande resistenza però la mancanza del cibo li costrinse a firmare un trattato di pace e dall’anno 636 la Palestina cadde quindi in mano ai musulmani.

Nell’anno 1095 iniziarono le Crociate contro i musulmani che durarono due secoli. Le cause che provocarono le Crociate furono molte però gli storici riconoscono la Palestina e la questione delle tasse che i cristiani dovevano pagare ai musulmani come una delle cause principali di queste guerre. I crociati dopo lunghe e dure battaglie riuscirono a penetrare nella Terra Santa e cominciarono a massacrare la popolazione e a saccheggiare i suoi beni.

Così i cristiani governarono la Palestina per 90 anni e alla fine della Seconda Crociata (1147-1149) Saladino sconfisse i crociati e riconquistò Gerusalemme, espellendoli dalla Siria e dall’Egitto.

Dopo la Settima Crociata e la morte dell’ultimo re della dinastia Ayyubide, i Mamelucchi presero il potere e lo mantennero per tre secoli. Governarono Gerusalemme e combatterono contro i Mongoli, sconfiggendoli, e eliminarono anche gli ultimi crociati ad Acri. Dall’altra parte, gli Ottomani con le loro guerre e conquiste contro i Mongoli e i Greci fondarono il loro impero.

Nell’era di Fatih Sultan Mehmet, conosciuto come Maometto II, e precisamente nel 1453, la città Costantinopoli, che era la città più importante per i crociati e la capitale dell’Impero romano d’Oriente, divenne la capitale dell’impero Ottomano e rimase tale per 500 anni.

Negli ultimi anni del XIX secolo sorsero delle rivolte in Palestina. La Gran Bretagna, che in quegli anni difendeva gli Ottomani, all’improvviso cambiò posizione e  durante la prima guerra schierò contro di loro, sostenendo i ribelli e spingendo Hossein, uomo ambizioso che oltre a essere il governatore della Mecca era anche rappresentante degli Ottomani nello Hejaz, a separarsi dagli Ottomani stessi. Vista la situazione, un gruppo di ebrei i quali avevano  elaborato a fine ‘800 il pensiero di uno stato per un unico popolo   cominciò a organizzare delle azioni preparative per fondare un paese indipendente, trovando in ciò anche il sostegno della Gran Bretagna.

Questo gruppo, aiutato economicamente da ebrei ricchi,   era il movimento sionista. Nel 1916 venne firmato l’accordo Sykes-Picot tra Russia, Francia e Inghilterra, con il quale questi paesi decisero di dividersi e gestire il territorio conquistato all’impero Ottomano.

L’Inghilterra a fine guerra  prese la Palestina sotto la sua gestione.

I Sionisti all’inizio del XX secolo, con il sostegno del dominio degli inglesi sulla Palestina, proposero per il problema dell’antisemitismo nel mondo la soluzione di istituire un paese ebraico.

Gli inglesi avevano bisogno di una base nella regione.  Nel corso della Prima Guerra mondiale i sionisti chiesero quindi agli inglesi e agli americani, nel caso in cui il governo ottomano fosse stato sconfitto, che, dopo la fine della guerra, la Palestina diventasse un paese ebraico, un progetto verso il quale il Ministro degli Affari Esteri del Regno Unito Lord Balfour espresse un parere positivo.

Finalmente nel 1920 gli alleati lasciarono ufficialmente la tutela della Palestina agli inglesi e si aprì quindi la strada all’istituzione dell’Unione Nazionale degli Ebrei e alla realizzazione della Dichiarazione Balfour.

Con il passaggio del potere agli inglesi gli ebrei iniziarono lo spostamento e l’immigrazione  verso la Palestina, che causò l’insurrezione degli arabi ivi residenti, mentre altri paesi arabi si limitavano a difendevano i palestinesi solo a parole. I musulmani e i cristiani palestinesi misero da parte le loro controversie e si unirono contro i sionisti, e nell’estate di 1929 scoppiò la prima guerra sanguinosa tra palestinesi e sionisti immigrati. In questa prima guerra i sionisti e i soldati inglesi uccisero 351 palestinesi. Dal 1920 al 1936 vi furono diverse insurrezioni armate guidate dallo Shaykh ʿIzz al-Dīn al-Qassām, che alla fine divenne martire con i suoi fedeli compagni in occasione di uno scontro con le forze mandatarie britanniche.

Nel 1937 Abd al-Qadir al-Husayni prese il posto dello Shaykh al-Qassām, ma anche lui insieme ai suoi compagni venne ucciso dalle forze sioniste e inglesi.

Nel 1944 Hasan Salama prese la guida della resistenza contro le forze sioniste e britanniche, però anche lui perse la propria vita in battaglia.

Dal 1940 la questione della Palestina divenne una questione araba e uno dei problemi internazionali più importanti. L’Inghilterra il 14 maggio 1948 mette fine al suo tutorato sulla Palestina e fa uscire i suoi militari. Nello stesso giorno il consiglio Nazionale per l’indipendenza Israeliana, guidato da David Ben-Gurion, dichiara la nascita del nuovo Stato ebraico.

Subito dopo questo annuncio Harry Truman, il presidente degli Stati Uniti, riconobbe ufficialmente il nuovo governo Israeliano, stato strumento dell’imperialismo inglese.

Comunque sia prima che dopo la dichiarazione del regime sionista, gli ebrei avevano incominciato a occupare città e villaggi e a espellere i palestinesi dalle loro case, e  si macchiarono di stragi di civili innocenti come quelle di Deir Yassin e di Kafr Qasim, nell’aprile del 1948. Questi massacri barbari terrorizzarono i palestinesi, che fuggirono dalle loro case lasciando spazio quindi all’occupazione della Palestina e all’istituzione del governo Israeliano. In tal modo il popolo palestinese divenne un popolo profugo che vive tuttora nei campi di profughi in diversi paesi arabi.

 

La guerra del 1948

Dopo l’annuncio di Ben-Gurion, la prima guerra dichiarata da parte il regime sionista contro la Palestina e i paesi Arabi fu chiamata la guerra di 1948. Nel corso di questa guerra i sionisti occuparono il 78% del territorio palestinese e un milione di palestinesi divennero profughi. A riguardo bisogna precisare che la popolazione totale della Palestina era di un milione e novecento mila.

Dopo la guerra del 1948 il regime sionista, con la sua politica aggressiva e violenta, cominciò a distruggere le case e a bruciare i campi coltivati per costringere i restanti a fuggire dalle loro case e a preparare così il terreno all’emigrazione degli ebrei da tutto il mondo verso la Palestina.

Nel maggio del 1949 Israele divenne membro delle Nazione Unite e cominciò a rafforzare il suo dominio sul territorio. Nacquero perciò delle organizzazioni partigiani palestinesi e nel 28 maggio del 1964 venne convocato il congresso della Palestina nella città di Quds e si costituì l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (O.L.P.). Con l’esercito dell’OLP la battaglia dei palestinesi contro il regime sionista prende quindi una nuova forma.

 

La guerra del 1967

Questa guerra iniziò proprio in un momento in cui i paesi arabi si stavano preparando per una grande battaglia. Le forze armate dei paesi arabi si diressero verso i confini di Israele e le radio di questi paesi trasmettevano le notizie delle truppe inviate, ricordando la vittoria dei paesi arabi.

L’Egitto e la Siria si allearono e le forze di Peacekeeping si ritirarono quindi dalla Striscia di Gaza.

Il 15 maggio tutto lasciava presagire la vittoria netta dei paesi arabi e i giovani si preparavano alla realizzazione del loro sogno, ma il 5 giugno,  i sionisti scatenarono la guerra e gerusalemme fu occupata dal regime sionista, dopodiché le forze israeliane cambiarono direzione dirigendosi verso sud e il confine con l’Egitto. In quel giorno l’esercito del regime sionista bombardò gli aeroporti dell’Egitto, della Giordania e della Siria e la guerra durò sei giorni, divenendo poi nota appunto come la Guerra dei Sei Giorni.

Nel corso di questa guerra il regime sionista riuscì a occupare la Cisgiordania, la Striscia di Gaza, le Alture del Golan in Siria e il Deserto del Sinai in Egitto. L’Organizzazione delle Nazione Unite in una risoluzione invitò il regime sionista a ritirarsi dai territori occupati, però Israele rifiutò questo invito. Successivamente il regime sionista occupò Gerusalemme, che era governata dalla Giordania, la città di Betlemme e altri 27 villaggi.

L’occupazione di Gerusalemme da parte del regime Sionista attirò l’attenzione del mondo intero, data l’importanza e la sacralità di questa città, che erano tali per cui un tempo portò alle crociate. La questione della custodia e della conservazione di questa città da parte i musulmani era evidente a tutti, e gli ebrei e i cristiani erano sicuri che i musulmani avrebbero fatto di tutto per conservare il governo di Gerusalemme, però la Guerra dei Sei Giorni e la conseguente occupazione della città santa causarono preoccupazione circa la sua sicurezza e la sua custodia. Il regime Sionista per ritirarsi dal territorio occupato pose la condizione per cui venisse riconosciuto ufficialmente, ripetendo diverse volte  che finché tutti i paesi arabi non riconosceranno Israele ufficialmente e non avessero firmeranno il trattato di pace, esso non lascerà i territori occupati.

Dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, che causò umiliazione e sdegno per la sconfitta degli arabi, le organizzazioni della resistenza palestinese incrementarono le proprie azione anti-israeliane, e la città di Karameh, sita a ovest di Amman (capitale della Giordania) divenne la loro base operativa anche, perché ospitava un folto gruppo di profughi palestinesi, il cui numero raddoppiò alla fine della guerra, . Il Ministro della difesa del regime sionista comunicò quindi che la città di Karameh era diventata la base principale della resistenza palestinese e decise quindi di attaccare la città: ci fu una battaglia sanguinosa e alla fine le truppe del regime sionista dovettero ritirarsi. La battaglia di Karameh divenne quindi famosa e dopo di essa diversi volontari aderirono al movimento di Fatah.

 

La guerra del 1973

Nell’ottobre del 1973 l’esercito egiziano attraversò improvvisamente il Canale di Suez e superò la cosiddetta linea insuperabile “Bar-Lev”, entrando in territorio israeliano con il sostegno dell’aeronautica. Da est anche la Siria decise di attaccare e nei primi giorni della guerra decine di aerei militari di Israele vennero distrutti e migliaia di israeliani uccisi. La leggenda dell’invincibilità di Israele sembrava svanita però la situazione cambiò radicalmente con l’arrivo degli aiuti dei paesi occidentali e degli Stati Uniti, mentre dall’altra parte i paesi arabi negarono il loro sostegno all’Egitto e alla Siria. Alla fine quindi l’esercito del regime sionista riuscì a rioccupare il territorio intorno al Canale di Suez. Iniziano quindi le trattative per la pace e nel 1974 le Nazione Unite riconobbero l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina quale unico rappresentante legittimo del popolo palestinese.

Le conseguenze di questa guerra apparentemente cancellarono ogni ipotesi di un nuovo confilitto con Israele da parte dei paesi arabi, riportando questi ultimi sulla strada di pace. Dopo le ripetute sconfitte questi paesi pensarono infatti di fare la pace con gli Stati Uniti e il regime sionista, sostituendo alla fine hanno il pensiero della resistenza con quello della pace. Avanguardia di questo pensiero fu l’ex presidente dell’Egitto Anwar al-Sadat, che depose le armi e fece pace con Israele, firmando nel 1975 un accordo relativo al Sinai. Successivamente nel 1977 viaggiò nella Palestina occupata e giunse persino ad abbracciare il nemico numero uno dei palestinesi e dei musulmani, Menachem Begin.

Dopo quella visita fece altri incontri e preparò in terreno al trattato di pace tra Israele ed Egitto, che si concretizzò alla fine nel 1978 a Camp David con la firma di Sadat e Begin, alla presenza del Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, del trattato di pace intitolato appunto “Camp David”.

Fu molto difficile per il mondo islamico credere alla stipulazione di questo trattato, ma l’ostilità e la guerra tra due nemici storici sembravano ormai finite: l’Egitto aveva riconosciuto ufficialmente il regime sionista. Tutto ciò accadde contemporaneamente alla vittoria della Rivoluzione islamica dell’Iran, che causò lo scetticismo del mondo arabo.

Con la vittoria della Rivoluzione Islamica dell’Iran guidata dall’Imam Khomeini, l’Islam entra nella scena del conflitto del popolo palestinese con il regime sionista. I palestinesi erano musulmani anche prima della rivoluzione islamica dell’Iran, però il fattore che univa tutti loro era il sentirsi innanzitutto arabi e poi musulmani. Dopo la vittoria della Rivoluzione, l’Islam  divenne il fattore principale di unione tra i combattenti palestinesi.

Con l’inizio degli anni Ottanta, l’influenza crescente della Rivoluzione islamica dell’Iran sui palestinesi residenti in Libano e l’incremento delle loro attività contro il regime sionista portarono quest’ultimo, il 6 giugno nel 1982, alla decisione di eliminare la resistenza palestinese, cominciando una serie di attacchi contro il Libano per via aerea, terrestre e marittima con cui riuscì infine a far uscire le forze della resistenza palestinese dal sud del Libano e da Beirut. Ma dopo pochi anni la resistenza islamica che si era formata in Libano costrinse il regime sionista a ritirarsi dal territorio occupato del Governatorato del Monte Libano e dal sud del Libano, e in conseguenza di ciò i palestinesi decisero di iniziare un nuovo movimento di resistenza nella Palestina occupata.

Nell’aprile 1987 si tenne in Oman una conferenza alla presenza dei vertici dei paesi arabi, durante la quale però non si prese nessuna posizione contro il regime sionista ma si discusse unicamente solo della guerra imposta dall’Iraq all’Iran.

I palestinesi, ormai stanchi delle esperienze fallite dal 1967 al 1982, e dopo aver provato diverse soluzioni proposte dalle organizzazioni palestinesi e arabe, e dopo anni di attesa vana, si resero conto che le parole e gli slogan dell’autorità palestinese e dei paesi arabi non riuscivano a indebolire il dominio del regime sionista, e stavano per perdere ogni speranza. Ma proprio allora ciò portò alla nascita di una ondata rivoluzionaria tra i palestinesi, e i movimenti popolari religiosi presero il posto dei partiti e delle organizzazioni politiche, dando inizio a una nuova fase della battaglia contro Israele nell’autunno del 1987, quando scoppiò l’Intifada, o rivoluzione delle pietre.

L’Intifada aprì uno spiraglio per i profughi palestinesi e si pose degli obbiettivi che impaurirono il regime sionista. Nonostante il fatto che il regime sionista, dal 1948 fino ad oggi, abbia rifiutato tutte le risoluzioni approvate dalle Nazione Unite e respinto l’accettazione delle risoluzioni 242 e 338 approvate dal consiglio di Sicurezza, alla fine sia Israele che gli Stati Uniti dovettero accettare il dialogo con l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina). I gruppi palestinesi più concilianti, sperando di riuscire ad avere dei vantaggi da parte il regime sionista sfruttando gli effetti dell’intifada, cominciarono a trattare con il regime sionista. Il regime iniziò quindi ad avere incontri segreti con l’autorità OLP e contemporaneamente con le autorità dei paesi arabi. Dopo decine di incontri tra i paesi arabi e il regime sionista, alla fine l’autorità palestinese accettò le richieste del regime sionista e il progetto Gaza-Gerico entrò in una nuova fase.

Il 9 settembre 1993 Yasser Arafat, presidente dell’OLP, in una lettera indirizzata a Yitzhak Rabin, Primo Ministro di Israele, riconobbe ufficialmente Israele e impegnò l’OLP alle risoluzione 242 e 338 del Consiglio di Sicurezza delle Nazione Unite, annunciando che una parte dello statuto della Palestina, che negava l’esistenza di Israele, sarebbe stata cancellata.

Nella stessa data Yitzhak Rabin riconosce l’OLP come unico rappresentante del popolo palestinese e comunicò la sua disponibilità a stringere degli accordi con l’OLP.

Finalmente Yasser Arafat davanti a Bill Clinton, presidente degli Stati Uniti, firmò a Washington, il 12 settembre 1993, il trattato Gaza-Gerico.

Yasser Arafat e Yitzhak Rabin firmarono la bozza di un accordo che prevedeva lo stato indipendente palestinese tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania.

Questo accordo apparentamente dimostrava che Israele si sarebbe ritirato dalla sue posizioni, però rimaneva molto distante dagli obbiettivi del popolo palestinese, anche perche l’obbiettivo di Israele e degli Stati Uniti era quello di neutralizzare l’Intifada palestinese. L’intelligenza delle forze rivoluzionarie palestinesi fu un fattore che non venne considerato da entrambe le due parti, e l’Intifada continuò il suo percorso. Il 28 settembre 2000, essa prese una nuova forma divenendo l’Intifada di al-Aqsa, in occasione della provocatoria “visita” di Ariel Sharon, presidente del partito Likud, alla moschea di al-Aqsa.

 

Conoscere Quds

Quds fu la prima Qibla ed è la terza città santa dei musulmani dopo Mecca e Medina. È una città santa anche per gli ebrei e i cristiani ed è sita approssimativamente al centro della Palestina, distante, verso est, 24 km dal Mar Morto, e verso ovest 52 km dal Mar Mediterraneo. È sita in un luogo montuoso e ha un clima desertico.

Il nome più antico di questa città è Yerushalayim, http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/8/84/He-Jerusalem.ogg che significa “dio di pace e tranquillità”. Nelle opere risalenti ai primi secoli della nascita dell’Islam il nome di questa città è stato citato come ILYA.

Il nome Quds non è stato riportato nel Sacro Corano, però si presume che il nome della moschea di al-Aqsa riportato nel primo versetto della Sura Al-Asra indichi proprio Quds. Pare che questo versetto raffiguri il viaggio spirituale del Profeta da Mecca a Quds, e di Quds si parla anche nei versetti che indicano il cambiamento della Qibla per i musulmani. Come si può intuire dai racconti e dagli Hadith, il Profeta all’inizio pregava verso Quds e successivamente Dio indicò Mecca quale nuova Qibla per i musulmani.

Dio nel suo Sacro Corano dice: “Gloria a Colui Che di notte trasportò il Suo servo dalla Santa Moschea alla Moschea remota, di cui benedicemmo i dintorni, per mostrargli qualcuno dei Nostri segni. Egli è Colui Che tutto ascolta e tutto osserva”.

Il Profeta Muhammad dice: “Non si viaggia se non per solo tre moschee, la Mia Moschea, la Masjid al-Haram e la moschea di al-Aqsa”.

Inoltre il Profeta (saluto di Dio su di lui e sulla sua famiglia) dice che una preghiera compiuta in questa terra equivale a mille preghiere eseguite in altri posti.

L’inizio della storia di Quds risale a 4000 mila anni fa. I residenti di questa città furono le prime tribù della penisola arabica che successivamente sono stati riconosciuti come Canaaniti. Questa città divenne il centro governativo delle Dodici tribù di Israele intorno al 1000 a.C.

La posizione della città di Quds nella storia ha avuto  e degli alti e dei bassi. Come detto, hadith raccontano che il Profeta affermò che, dopo Mecca e Medina, è la terza città santa per i musulmani. Essa ha attirato l’attenzione di diversi popoli e sono state scritte diverse opere che descrivono la storia e le caratteristiche di questa città.

In realtà le conquiste dei musulmani e l’originalità araba hanno avuto un ruolo importante nello sviluppo di una natura pacifica degli abitanti di questa città. Nel momento in cui la città di Quds venne conquistata dai musulmani non vi era nessuno ebreo, anche perché i cristiani impedivano l’ingresso degli ebrei nella città e d’altronde gli stessi cristiani patteggiarono con i musulmani affinché continuassero a impedire l’ingresso degli ebrei nella città.

Così la Moschea di Quds fu sempre governata dai musulmani tranne nel periodo delle crociate.

L’inizio della costruzione di questo luogo sacro risale al profeta Davide e successivamente il figlio del profeta Salomone la completò. Fino all’anno 636 d.C. fu una chiesa e quando il secondo califfo conquistò questa chiesa vi apportò delle modifiche trasformandola in moschea che nel corso della storia venne restaurata diverse volte.

La moschea di al-Aqsa dal punto di vista della fede islamica ha una particolare importanza e sacralità: fu la prima Qibla per i musulmani e il Profeta (saluto di Dio su di lui e la sua famiglia) pregò verso questa moschea diciasette mesi dopo il suo viaggio da Mecca a Medina.

Questa moschea fa parte anche della storia del viaggio spirituale del Profeta e Dio nel suo Sacro Corano dice:

“Gloria a Colui Che di notte trasportò il Suo servo dalla Santa Moschea alla Moschea remota, di cui benedicemmo i dintorni, per mostrargli qualcuno dei Nostri segni. Egli è Colui Che tutto ascolta e tutto osserva”.  Questa è la terra dei profeti da Abramo a Gesù Cristo, e la terra della rivelazione di sacri libri come la Torah e il Vangelo.

Uno dei più antichi monumenti presenti nella città di Quds, che ha una particolare importanza per i musulmani, è il Tempio di Salomone. In questo luogo sorgono anche la Bab al-Silsila e la cupola della Roccia. I musulmani non hanno mai toccato e offeso i luoghi sacri cristiani e questi luoghi sono stati gestiti sempre dai cristiani. Vi sono documenti validi sulla storia di questo tempio secondo cui esso è il luogo di sepultura di diversi profeti.

La storia di Quds può essere suddivisa in tre periodi.

Il primo periodo comincia nell’anno 648, quando tra musulmani e cristiani nasce un contenzioso sulla proprietà di questa città, e il culmine di questo contenzioso è l’avvio delle crociate.

Tuttavia l’aspetto religioso di questa città, che era in armonia con le politiche religiose dei Mamelucchi e degli Ottomani, comincia a crescere, e dopo un breve intervallo in cui cadde sotto il dominio di Napoleone Bonaparte essa torna nelle mani di musulmani. Il governatore della città di Acri riuscì infatti nel 1799 a sconfiggere Napoleone, il quale, mentre lasciava la città, disse di aver sepolto i suoi desideri sotto le mura di Acri. È interessante ricordare che Napoleone aveva chiesto agli ebrei di combattere al suo fianco in cambio di uno stato ebraico in Palestina che difendesse gli interessi della Francia nella regione.

Il terzo periodo inizia con la conquista della città da parte di Ibrahim Pasha nel 1826. Con il successivo ingresso degli Ottomani nella Prima Guerra mondiale i Britannici cominciarono a dividere i territori sotto dominio ottomano con la scusa della promessa (non mantenuta) fatta a Sharif Hussein, nel 1915 governatore ottomano della Mecca, la quale prevedeva l’istituzione di uno stato arabo unificato che comprendesse tutte le terre abitate dagli arabi.

Nel 1916 fra i governi di Regno Unito e Francia venne siglato l’accordo Sykes-Picot, che però in conflitto con le promesse fatte a Sharif Hussein dagli inglesi perché l’accordo prevedeva che la Palestina sarebbe stata gestita in modo internazionale. Dopodichè, per ottenere il sostegno economico e politico degli ebrei, gli inglesi presero contatti con i vertici sionisti e nel 2 novembre 1917, con la Dichiarazione Balfour, il governo britannico affermava di guardare con favore alla creazione di un focolare ebraico in Palestina.

Questa dichiarazione originariamente era una lettera scritta dall’allora ministro degli esteri inglese Arthur Balfour a Lord Rotschild, inteso come principale rappresentante della comunità ebraica inglese, e referente del movimento sionista, lettera che dimostra l’interesse particolare degli imperialisti nei confronti dei sionisti, in contrasto con gli impegni presi nel precedente accordo di Sykes-Picot.

In realtà il governo Britannico riuscì a trasferire i contrasti esistenti tra cristianesimo e ebraismo nel mondo dell’Islam. Subito dopo la Dichiarazione Balfour Chaim Weizmann fondò l’Università Ebraica di Gerusalemme, e il 9 dicembre 1917, circa un mese dopo la Dichiarazione Balfour, la città di Quds venne occupata dalle forze britanniche guidate dal Generale Al Nabi. Dal quel momento la città di Quds divenne il centro della Palestina e dei movimenti anti-colonialisti e anti-sionisti dei musulmani palestinesi.

Nell’aprile del 1920 avvenne la prima insurrezione di musulmani di Quds contro il dominio britannico e sionista, repressa dai soldati britanici

Il 22 giugno del 1922 il Consiglio delle Nazioni affidò il tutorato sulla Palestina agli inglesi e la città di Quds venne riconosciuta come il centro del tutorato inglese sulla Palestina.

Il 29 novembre del 1947 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite con una risoluzione divise la Palestina in due parti, una araba e un’altra ebraica, e venne considerata un centro internazionale e civile gestito dalle Nazione Unite.

Con la fine del tutorato nel 15 maggio del 1948 la guerra devastò la Palestina e Israele occupò la parte ovest della città, e la Giordania la parte est.

Nel 1967 il regime sionista trasferisce la propria capitale a Quds e avviò la costruzione di edifici governativi nella zona ovest. Il primo progetto per la costruzione delle colonie iniziò l’anno successivo, nel quale era previsto il collegamento tra i quartieri ebraici e la loro separazione da quelli arabi attraverso un muro di recinzione. Nel 1993 gli abitanti delle colonie ebraiche salì a 160 mila, quando nello stesso periodo i palestinesi erano 155 mila.

Dopo l’approvazione del parlamento di Israele relativa al riconoscimento di Quds come capitale di Israele, il consiglio di Sicurezza delle Nazione Unite nel 1980 condannò Israele e chiese ai paesi che avevano trasferito la loro rappresentanza diplomatica a Quds di tornare a Tel Aviv.

 

I Movimenti Islamici della Palestina

Il Movimento Islamico di Resistenza HAMAS

Il movimento di Hamas, fin dall’inizio della sua istituzione, è stato riconosciuto come un movimento di resistenza palestinese. Il Movimento Islamico di Resistenza venne fondato dallo Shaykh Ahmad Yasin nel 1987, in seguito alla prima Intifada, come un ramo del movimento dei Fratelli Musulmani della Palestina.

Si tratta di un movimento di resistenza popolare con una ideologia islamica che fin dal primo giorno della sua istituzione ha cercato di preparare il terreno per la liberazione della Palestina dai sionisti.

Hamas riconosce il principio islamico per la sua battaglia, perciò è riuscito ad ottenere il consenso del popolo palestinese e, al contrario dell’Organizzazione per la Liberazione Palestina-OLP, che ha riconosciuto nel 1988 il regime sionista, non solo non riconosce questo regime bensì è contrario all’esistenza stessa dello stato di Israele.

Un sguardo generale alla storia della resistenza palestinese, in particolare prima della creazione del regime sionista nel 1948, fa comprendere che la resistenza e la Jihad nell’era della sovranità britannica erano già attive. Il movimento dei Fratelli Musulmani, che faceva parte di quello egiziano, era tra i gruppi che resistettero contro l’oppressione .

Nonostante che HAMAS il 15 dicembre del 1987 abbia proclamato la sua esistenza ufficialmente,  le radici della sua formazione risalgono agli anni preccedenti. La formazione di HAMAS è il risultato di una serie di cause come le seguenti:

  1. La reazione dei Fratelli Musulmani alla costituzione del movimento del Jihad Islamico.

All’interno del movimento islamico alla fine del 1979 vi erano  delle divergenze, relative alla Palestina, tra Fathi Shaqaqi e Abdol Aziz Udeh e le posizioni dei Fratelli Musulmani. I fondatori del Jihad Islamico criticavano la riduzione della resistenza e della lotta dei Fratelli Musulmani contro il regime sionista, perciò decisero di fondare il Jihad Islamico basandosi sul modello della rivoluzione islamica dell’Iran con un particolare attenzione verso l’Islam, la resistenza e la lotta contro il regime sionista. I palestinesi che erano oramai allo stremo aderirono a questo movimento, composto in gran parte da giovani. I Fratelli Musulmani che vedevano diminuire il loro ruolo decisero quindi di costituire un gruppo palestinese che portasse avanti la stessa politica del movimento del Jihad Islamico, al fine di poter riconquistare la loro precedente posizione e influenza. Bisogna precisare che prima degli anni Ottanta i Fratelli Musulmani erani presenti nei territori palestinesi con nomi diversi, ad esempio Shaykh Ahmad Yasin, prima di fondare Hamas, aveva fondato la Comunità Islamica per poter continuare la collaborazione con le attività politiche di Fratelli Musulmani a Gaza.

2 – Le conseguenze della guerra di 1967

Uno dei motivi che portarono alla formazione di gruppi palestinesi come Hamas fu la sconfitta dei paesi arabi nel 1967. Addirittura il Jihad Islamico riconobbe esplicitamente il motivo della sua fondazione nella suddetta sconfitta. Dopo questa guerra il restante territorio palestinese venne occupato dal regime sionista e perciò Hamas decise di organizzare il proprio movimento e gestire alcuni affari.

3- I cambiamenti degli anni ‘80

Gli anni ‘80 sono anni decisivi per la Palestina, e alcuni cambiamenti avvenuti in questo periodo ebbero un ruolo decisivo per la formazione di HAMAS:

– La politica dell’OLP e del movimento FATAH in questi anni subì dei cambiamenti, perciò la resistenza si indebolì e alla fine del 1988 riconobbe di fatto il regime sionista.

– L’attacco del regime sionista al sud del Libano e l’embargo di Beirut nel 1982 indebolirono ulteriormente la resistenza.

– La guerra imposta dall’Iraq all’Iran fece diventare più marginale la questione palestinese.

– L’ufficializzazione  de iure nel 1980 da parte del regime sionista dell’occupazione delle Alture del Golan avvenuta nel 1967

– La distruzione dei reattori nucleari dell’Iraq da parte il regime sionista nel 1982.

– Il Bombardamento della sede dell’OLP in Tunisia nell’operazione Hammam Chott nel 1985.

 

Il Movimento FATAH

Il nome di FATAH deriva da FTḤ, acronimo inverso dell’espressione araba Ḥarakat al-Taḥrīr al-Filasṭīnī (Movimento di Liberazione Palestinese). Si tratta del primo movimento combattente organizzato popolare palestinese, fondato da Yasser Arafat e Abu Jihad nel 1959 in Giordania e Kuwait, il cui principale obiettivo era quello di sconfiggere i sionisti.

Il movimento di FATAH dichiarò guerra al regime sionista nel 1959, e Arafat nel 1964 lasciò il Kuwait per andare in Giordania al fine di organizzare FATAH e portare avanti la sua battaglia.

Nel 1964 i palestinesi residenti in Kuwait scelsero Arafat come membro del consiglio Nazionale della Palestina con sede a Quds.

Nello stesso anno con il sostegno economico di altri paesi arabi venne costituita l’OLP.

L’OLP controllava tutti i movimenti, tra cui anche quelli di FATAH., che dopo la sconfitta dei paesi arabi nella Guerra di Sei Giorni nel 1967 era diventato il movimento più forte della Palestina.

Arafat cominciò quindi la sua attività per rafforzare il suo esercito, però la pressione di Israle sulla Giordania costrinse Re Hossein a espellere l’OLP dalla Giordania e Arafat fu costretto a ricostituire la sua organizzazione in Libano.

 

Organizzazione per la liberazione Palestina  OLP

L’OLP, abbreviazione che sta per Organizzazione per la Liberazione della Palestina, venne fondata a Quds  nel maggio 1964 quale frutto di un accordo tra 422 personalità nazionali palestinesi, e a seguito di una precedente decisione della Lega araba presa durante una conferenza. I paesi arabi per timore di subire un’altra sconfitta internazionale e di uscire dalla scena in Medio Oriente, pensarono  di espandere la loro influenza sui gruppi palestinesi per poter conseguire due obbiettivi:

1- Essere protagonisti dietro le quinte in Medio Oriente per poter controllare e gestire l’avanzata e il ritiro dei diversi gruppi che difendevano i loro interessi

2- Evitare la nascita di un partito o di gruppo indipendente palestinese che magari avrebbe potuto entrare in conflitto con i loro interessi

Ahmad Shoghayri e Yahya Udeh diressero l’OLP dal 1964 al 1969. Dal 1969 al 1974 sorse una nuova era nella storia dell’OLP, in quanto i palestinesi, dopo le ripetute sconfitte degli eserciti arabi nel 1948, nel 1956 e nel 1967 contro il regime sionista, si dichiararono indipendenti e non accettarono più la vecchia dirigenza dell’OLP. Addirittura criticarono duramente il dialogo tra Jamad Abdel Nasser e il Ministro degli affari Esteri degli Stati Uniti. La nuova politica dei paesi arabi era di imporre le loro richieste ai palestinesi. Comunque l’OLP poté raggiungere una relativa  indipendenza e nel 1974 venne riconosciuto alle Nazione Unite come osservatore, evento grazie al quale l’OLP poté inviare propri ambasciatori e diplomatici in altri paesi e che promosse quindi l’accrescimento delle sue relazioni diplomatiche con altri paesi. I vertici dei paesi arabi nel 1974 riconobbero l’OLP come unico rappresentante del popolo palestinese e gli conferirono il potere di istituire uno stato. Un mese dopo Arafat, in qualità di rappresentante del popolo Palestinese,  tenne il suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazione Unite. Tutto ciò fu merito dei gruppi palestinesi che successivamente è stato però dimenticato.

Il parlamento nazionale della Palestina era l’ente legislativo della Palestina la cui prima seduta si tenne nel maggio di 1964 alla presenza di 422 deputati. In quella occasione venne approvato il Patto nazionale palestinese (chiamato anche Carta Nazionale Palestinese), ed erano presenti i rappresentanti delle comunità palestinesi di: Giordania, Cisgiordania, Striscia di Gaza, Siria, Libano, Kuwait, Iraq , Egitto, Qatar, Libia e Algeria. Venne eletto Arafat come leader dell’OLP, carica che ricoprì fino al 2004, anno della sua morte.

L’Assemblea Nazionale della Palestina, nella seduta del 1988 tenutasi in Algeria, ha riconosciuto unilateralmente l’indipendenza della Palestina.

L’organizzazione per il Jihad Islamico in Palestina

Il Movimento per il Jihad Islamico in Palestina è stato fondato fra la fine degli settanta e l’inizio degli anni ‘80 nella Striscia di Gaza da Fathi Shaqaqi.

Fathi Shaqaqi all’inizio dirigeva il movimento dal punto di vista teorico e pratico, e di fatto il rendimento del movimento negli anni dell’Intifada dal 1987 al 1993 riflette il suo pensiero.

Praticamente era il teorico del movimento oltre che autore di diversi libri, e la fondazione del movimento per il Jihad Islamico è la più grande eredità che ha lasciato al popolo palestinese.

L’organizzazione per il Jihad Islamico crede nella lotta armata come la soluzione valida. Le pubblicazioni del movimento dimostrano che il Jihad Islamico si impegna ad a voler far eseguire le leggi islamiche solamente quando nella Palestina verrà istituito un governo islamico.

Il Jihad Islamico combatte per la liberazione della Palestina, l’eliminazione del regime sionista, l’istituzione di un governo islamico nella Palestina , e si impegna a preparare i palestinesi dal punto di vista politico e militare per combattere il regime sionista.

La struttura dell’organizzazione è simile a quella di una Guerriglia attiva su una vasta estensione geografica.

 

Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina

In seguito al barbaro attacco del regime sionista contro il Libano nel 1982, che causò l’embargo del sud di Beirut per 80 giorni e successivamente l’uscita della guerriglia palestinese, Arafat fu criticato duramente per il suo modo d’agire contro questo attacco e nacquero quindi altri rami nella struttura dell’OLP.  Questo fronte nacque quindi da una costola del Movimento Nazionalista Arabo, fondato già nel 1953 da George Habash.

L’obbiettivo e i compiti del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina sono:

1- sostenere l’OLP e i suoi programmi e le sue azioni

2- recedere dal trattato dell’Oman (approvato nel 1985)

3- far tornare l’OLP alla linea rivoluzionaria

4- consolidare le relazioni strategici della Palestina con la Siria e le forze militare arabe

5- combattere i progetti che costringono la Palestina a rassegnarsi e incrementare la guerriglia contro i sionisti

6- contattare tutti i gruppi e i personaggi contrari alla politica di Arafat nei territori occupati.

7- combattere il progetto degli Stati Uniti e della Giordania che ha come obiettivo la distruzione della Palestina

8- coordinarsi con il Fronte Democratico del Libano e il Movimento di Amal per incrementare la guerriglia contro il regime sionista

9- Rafforzare le forze nazionaliste dell’Egitto per incrementare l’isolamento del regime sionista finché il trattato di Camp David non venga revocato

10- Evitare ogni genere d’accordo tra il regime Sionista e le correnti corrotte palestinesi

11- rafforzare il rapporto con i movimenti liberali dei paesi arabi e del mondo

 

Striscia di Gaza

Si tratta di una regione costiera confinante con il Mar Mediterraneo sita nel Medio Oriente. La striscia di Gaza a sud ha un confine lungo 11 km con l’Egitto a sud e a nord e a est ha un confine lungo 51 km con il regime sionista. La sua superficie è di 360 km². Il suo nome deriva dalla città di Gaza, la città più grande della regione con 400 mila abitanti.

Altre città sono Rafah, Beit Lahia e Khan Yunis che ospitano un milione e trecentomila persone, per la maggior parte di etnia araba.

Questa regione, dopo la guerra tra Israele e paesi arabi, è stata occupata dall’Egitto. Dopo la Guerra dei Sei Giorni è stata occupata dal regime sionista, e alla fine, dopo il ritiro del regime sionista, è diventato territorio palestinese.

Attualmente questa regione è gestita dal movimento di Hamas.

Uno dei motivi principale per l’embargo di questo territorio è la sua posizione geografica.

 

Israele in modo progressivo, con le guerre del 1948, del 1967 e del 1973, ha occupato la maggior parte del territorio palestinese e successivamente ha cominciato a costruire le sue colonnie .

Alla fine sono rimaste solo due parti per gli arabi musulmani, essendo il resto occupato dal regime sionista: la parte più grande si chiama Cisgiordania, e la parte più piccola è appunto la striscia di Gaza. Queste due parti non sono collegate geograficamente .

Il governo di Sharon nel 2005 ha evacuato la striscia di Gaza  in seguito all’intifada di Al Aqsa  ma ha promosso la costruzione di colonie in Cisgiordania

Nelle elezioni dell’Autorità Nazionale Palestinese il movimento di Hamas è riuscito a cogliere la vittoria e Isma’il Haniyeh è diventato il Primo Ministro.

Hamas per la sua natura islamica non accetta nessuna convenzione ingiusta con il regime sionista ed è molto amato e sostenuto dalla popolazione. Israele ha per questo intenzione, con l’embargo imposto sulla regione, di creare l’odio verso Hamas e riuscire quindi a eliminare il vertice di questo movimento, o quantomeno indebolirlo.

Questa punizione collettiva e l’embargo hanno distrutto l’economia del paese e da tre anni stanno flagellando la popolazione causando carenza di medicinali e cibo e altri beni di prima necessità.

La guerra dichiarata da parte del regime sionista contro questa regione, dal dicembre del 2008 fino al gennaio del 2009, ha portato delle conseguenze drammatiche e diversi palestinesi hanno perso la propria vita. Il regime sionista impedisce l’ingresso di medicinali e cibo nonostante diversi paesi e organizzazioni internazionali abbiano criticato duramente questo embargo illegale e abbiano avvertito tutto il mondo della gravità della crisi in questa regione.

Sono partiti diversi convogli per portare aiuti umanitari però gli attivisti sono stati arrestati con l’intervento diretto del regime sionista. Ad esempio l’attacco del regime sionista alla flottiglia in acque internazionali il 31 maggio del 2010 ha portato alla morte di nove attivisti turchi.

 

Il comitato delle Nazione Unite per la ricerca della verità su Gaza

Commissione indipendente d’indagine

Il comitato per la ricerca della verità su Gaza è stato istitutito dalle Nazione Unite succesivamente alla  guerra di Gaza affinché indagasse le violazioni dei diritti umani commesse dal regime sionista contro i palestinesi.

La missione per fare luce sulle violazioni dei diritti umani nella striscia di Gaza è iniziata il 3 aprile del 2009 ed è stata affidata alla direzione di Richard J. Goldstone, già procuratore capo dei Tribunale Penale Internazionale delle Nazioni Unite per l’ex-Jugoslavia e il Ruanda. Altri membri del comitato sono Christine Chinkin, docente diritti umani presso la scuola di economia e scienze politiche dell’Università di Londra, Hina Jilani avvocato penalista in Pakistan ed ex membro del comitato di diritti umani del Darfur, e Desmond Travers, membro dell’istituto investigativo per i crimini internazionali.

Questo comitato ha pubblicato la sua relazione in diecimila pagine contenente 1200 foto e 188 interviste.

Il governo degli Stati Uniti, dopo avere ricevuto la relazione del comitato, ha detto che la valuterà con molta attenzione, esprimendo però la sua preoccupazione per la dubbia competenza dei suoi autori.

Si nota nella relazione che l’esercito del regime sionista ha attaccato civili con l’utilizzo di mezzi non legali. Dal canto suo, Israele ha chiesto il ritiro immediato della relazione. Nella relazione inoltre si nota che nel conflitto hanno perso la vita circa 1400 palestinesi e 13 israeliani. Il comitato ha dato sei mesi di tempo alla Palestina e a Israele per compiere le verifiche sulla relazione di Goldstone.

In seguito alla pubblicazione della relazione, Benjamin Netanyahu in un incontro svoltasi il 12 ottobre alla Knesset, ha garantito che nessun soldato e ufficiale nominato nella relazione verrà processato.

 

Il rapporto Goldstone al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazione Unite

25 membri di questo consiglio, composto da 47 membri, hanno votato a favore dell’approvazione di una risoluzione richiesta da Palestia, Egitto, Nigeria, Tunisia e Pakistan contro il regime sionista. I paesi europei e gli Stati Uniti hanno votato contro. Gli Stati Uniti hanno cercato a tutti costi di impedire e rimandare l’approvazione fino ai nuovi incontri sul Medio Oriente, però non si sono riusciti. Altri 11 membri si sono astenuti, anche perché desideravano che le relazioni con gli Stati Uniti rimanessero in piedi.

Il risultato della votazione è stata la seguente:

Argentina, Brasile, Bahrain, Bolivia, Indonesia, Sud Africa, Giordania, Pakistan, Russia, Zambia, Cina, Senegal, Cile, Filippine, Qatar, Arabia Saudita, Ghana, Nigeria, India, Gibuti, Cuba, Egitto,  Nicaragua, Bangladesh, Liberia e Mauritania hanno votato a favore;

Stati Uniti, Italia, Ucraina, Slovacchia, Olanda e Ungheria hanno votato contro;

Camerun, Bosnia, Burkina Faso, Gabon, Giappone, Messico, Norvegia, Corea del Sud, Slovenia e Uruguay si sono astenuti.

La mancata presenza della Gran Bretagna e della Francia alla votazione ha sorpreso il regime sionista, anche perche Israele si aspettava che almeno questi due votassero contro, però loro hanno preferito non partecipare alle votazioni.

Dopo l’approvazione della risoluzione al Consiglio dei Diritti Umani, la relazione Goldeston per i crimini di guerra è stata presentata all’Assemblea Generale delle Nazione Unite, e le autorità del regime sionista hanno definito la diplomazia ridicolo antisemitismo, mentre i palestinesi l’hanno accolta benissimo.

L’Assemblea Generale delle Nazione Unite il 5 novembre 2009, con la maggioranza di 114 voti a favore e 18 contrari, tra 192 paesi partecipanti alla seduta per l’approvazione della risoluzione, ha approvato la risoluzione per i crimini di guerra a Gaza.

L’approvazione è stata compiuta dopo due giorni di discussione e il discorso dei rappresentanti di 46 paesi. Il rappresentante della Svezia, che presiedeva allora la Comunità Europea, ha espresso il suo disaccordo e ha chiesto che la relazione venga ammorbidita.

Nella risoluzione si chiedeva al Segretario Generale delle Nazione Unite di far passare la relazione al Consiglio di Sicurezza .

Stati Uniti, Australia, Repubblica Ceca, Germania, Ungheria, Israele, Isole Marshall, Italia, Olanda, Polonia, Panama, Slovacchia, Ucraina, Macedonia, Palau, Nauru e Micronesia hanno votato contro.

Il rappresentante del regime sionista, Gabriela Shalev, ha criticato duramente la decisione dei membri per l’approvazione della risoluzione, e ha detto che non sono stati considerati le vittime e i danni materiali nei confronti del regime sionista.

Il rappresentante della Palestina ha espresso la sua piena soddisfazione e si è augurato che la relazione di Goldstone venga valutata al Tribunale dell’Aja.

Dopo l’approvazione del Consiglio dei diritti umani, il governo degli Stati Uniti ha annunciato che, nel caso in cui la relazione venisse approvata al Consiglio di Sicurezza, avrebbe fatto valere il suo diritto di veto.

 

Conoscere la Cisgiordania

Il territorio della Cisgiordania ha una superficie di 5.860 km² ed è sito tra la Giordania e la Palestina occupata. La maggior parte della sua popolazione è composta da palestinesi.

Ha una popolazione di circa due milioni e mezzo di abitanti, e oltre palestiniesi ci sono  migliaia di sionisti che vivono nelle colonie.

Quando il territorio faceva parte della Giordania, la maggior parte della popolazione viveva di agricoltura, però dopo l’occupazione molti hanno cominciato a lavorare nelle fabbriche e nell’industria agraria del regime sionista.

L’industria agraria però non ha potuto recuperare la disoccupazione creata nel settore agricolo, quando i terreni più fertili sono diventati delle colonie sioniste.

I palestinesi organizzano ogni settimana delle manifestazioni nell’ambito della resistenza pacifica nei villaggi della Cisgiordania, e le proteste riguardano la costruzione del muro di recinzione. In recenti manifestazioni i palestinesi sono stati attaccati e un bambino palestinese è stato ferito gravemente.

 

Cisgiordania tra il progetto della Palestina e le colonie del regime sionista

Gli sforzi dell’autorità palestinese per costituire un paese indipendente attraverso gli incontri politici con il regime sionista negli ultimi 18 anni non hanno avuto nessun esito. Intanto il regime sionista cerca a tutti costi di eliminare ogni occasione di far diventare la Palestina un paese indipendente e impone le sue condizioni di pace ai palestinesi.

Il regime sionista, nonostante la sue preoccupazioni per le rivoluzioni arabe e le loro conseguenze, attualmente non si preoccupa di accelerare i tempi per trovare un accordo con i palestinesi.

Al contrario degli accordi tra la Palestina e il regime sionista dopo la firma degli accordi di Oslo nel 1993, praticamente il regime sionista ha sempre ostacolato il processo per la costituzione un stato indipendente di Palestina in Cisgiordania.

Per poter arrivare agli suoi obiettivi il regime sionista ha seguito due vie: costruire nuove colonie; far diventare il governo palestinese un organo meramente amministrativo che abbia come obiettivo solo quello di risolvere i problemi della sicurezza e dell’economica.

Dal punto di vista geografico l’istituzione di uno stato palestinese pare molto difficile a causa delle costruzione delle colonie. Il numero delle colonie fino al 2011 era 160, con una popolazione di 554 mila abitanti.

Inoltre il muro di recinzione ha  annessoal regime sionista il 12 % del territorio della Cisgiordania, ha causato la separazione della città di Quds e ha annesso tra l’80 e l’85% delle colonie al territorio del regime sionista.

Inoltre il regime ha occupato anche la moschea di al-Aqsa e l’85 % delle risorse d’acqua del territorio, e ha preso in mano tutte le attività del governo palestinese in modo che quest’ultimo si limiti a occuparsi degli affari economici e della sicurezza, riuscendo cosi a nascondere la faccenda dell’occupazione della Cisgiordania. Nel frattempo non ha concesso al governo palestinese di progredire nella propria efficienza e organizzazione, affinché resti isolato, senza risorse e di fatto sotto il controllo diretto o indiretto del regime sionista stesso.

Perciò non si vede nessuna traccia di cambiamento nella politica del regime sionista nei confronti di una possibile tregua con i palestinesi o di un suo consenso a una Palestina indipendente, avendo sempre posto delle condizioni che i palestinesi non possono accettare.

Il regime sionista ha diverse alternative:

1- La soluzione unilaterale: prevede il mantenimento della situazione attuale per guadagnare tempo nella costruzione di nuove colonie, costringendo quindi i palestinesi ad accettare una Palestina con confini provvisori con un accordo basato su scambio di territori e popolazioni. In questo modo il regime sionista avrà più territori e risorse, prenderà sotto il suo controllo le città e raccoglierà la popolazione palestinese in queste aree specifiche.

2- Paese provvisorio: prevede di costringere i palestinesi ad accettare i confini provvisori con al massimo il 60% del territorio della Cisgiordania, rimandando cosi la soluzione definitiva a un generico futuro.

3- Trovare un paese terzo: questa soluzione prevede di trovare dei paesi terzi per amministrare gli affari dei palestinesi nella Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, verosimilmente la Giordania in Cisgiordania e l’Egitto nella Striscia di Gaza, a patto che questi paesi accettino questa soluzione.

4- continuare l’attuale situazione: il regime sionista non prenderà nessuna decisione per risolvere il problema e il motivo può essere la mancanza di una prospettiva del regime per risolvere il problema, la mancanza di pressione internazionale e l’accrescersi delle correnti più estremiste del regime sionista che non vorrebbero fare nessuna concessione ai palestinesi.

L’applicazione di una di queste soluzioni dipende da fattori interni, regionali e internazionali. La soluzione unilaterale è stata dimenticata nel 2005 e nel 2006; recentemente si è presentata di nuovo e l’idea d’istituire un governo provvisorio dal 2009 sta crescendo continuamente, però a causa della disapprovazione da parte palestinese sta svanendo.

Considerando tutto ciò non sembra che il regime sionista abbia intenzione di trovare una soluzione rapida a meno che il processo di cambiamenti nel mondo arabo non lo costringa a farlo.

Pare che i vertici palestinesi e l’OLP abbiano raggiunto la conclusione che l’orizzonte oscuro degli accordi e l’andamento della costruzione di nuove colonie ostacolino il processo dell’istituzione di un paese come la Palestina attraverso gli accordi presi con il regime sionista, soprattutto negli ultimi 19 anni passati dagli accordi di Oslo, duranti i quali le richieste del regime sionista e quelle palestinesi sono rimaste distanti. Perciò non rimane altro, per la parte palestinese, di pensare alle seguenti soluzioni alternative:

 

1- Sciogliere l’Autorità Nazionale Palestinese-ANP. L’Autorità Nazionale Palestinese è stata costituita al fine di fungere da governo provvisorio fino alla costituzione di una Palestina indipendente, però adesso le sue funzioni sono limitate agli affari della sicurezza e dell’economia, perciò sembra ha aver bisogno dell’ANP sia più il regime sionista che i palestinesi; sarebbe allora meglio che gli affari tornino come prima e il regime sionista riprenda il suo ruolo pieno di occupante e la società internazionale continui a far fronte alle sue responsabilità nei confronti del popolo palestinese.

2- Agire nei confronti dell’Autorità Nazionale Palestinese come un mezzo per la gestione degli affari nazionali. Questa idea non permetterebbe all’ANP di rimanere un mero organo amministrativo ma, sulla base di nuove condizioni in armonia con il progetto nazionale palestinese, cerchi la realizzazione della maggior parte dei suoi obiettivi attraverso la firma di accordi per la sicurezza con il nemico e la riduzione delle attività economiche che sono a favore del regime sionista.

3- Cercare di far riconoscere lo stato della Palestina alle Nazione Unite: per poter raggiungere questo obiettivo la parte palestinese deve presentare la sua richiesta alle Nazione Unite, però l’esperienza vissuta nel settembre del 2011, in cui c’è stata la disapprovazione degli Stati Uniti e del regime sionista, dimostra che la loro richiesta verrà nuovamente respinta. Ciò non può che indurre allo scetticismo i vertici palestinesi.

Però per attraversare questo percorso esistono delle proposte attendibili come le seguenti:

1- Cercare di realizzare la pace in modo che i palestinesi si liberino dai limiti imposti dal regime sionista in tutti campi, come le elezioni e ecc.

2- Cercare l’unità tra i palestinesi e un nuovo accordo che preveda la liberazione della Palestina e la costituzione di un governo palestinese

3- Non cercare di tornare alla soluzione del dialogo e verificare le alternative per moderare la divisione del potere tra due parti.

4- Fermare ogni accordo sulla sicurezza con il regime sionista, anche perché continuare a rimanere nei posti al vertice della sicurezza non può che portare alla copertura delle politiche invasive del regime sionista

5- Riportare delle modifiche nella regione a favore della Palestina e ripristinare l’identità arabo- islamica.

 

Le costruzione delle colonie

Sono passati più di 45 anni dall’occupazione della Cisgiordania e i mezzi di comunicazione del regime sionista parlano di confiscare il territorio palestinese per renderlo disponibile per le loro costruzioni. Dopo gli anni duri dall’occupazione della Palestina, la maggior parte del territorio della Cisgiordania e Quds sono stati invasi e negli incontri svoltisi nell’autunno del 1991 tra palestinesi e sionisti non si è giunti a una conclusione per fermare le costruzioni e demolire le colonie.

Perciò si può fare partire una battaglia giuridica contro la costruzione delle colonie e demolire quelle già completate che sono il simbolo dell’occupazione.

Dopo la relativa vittoria dei mesi scorsi relativa al riconoscimento della Palestina come membro dell’UNESCO, il Consiglio dei Diritti umani delle Nazione Unite nel mese di marzo ha deciso di riprendere la sua indagine sui casi di violazione dei diritti dei palestinesi riguardanti i territori occupati e le risorse naturali.

Questa decisione è stata accolta da parte palestinesi e 36 membri del Consiglio l’hanno approvata, però, come al solito, è stata respinta dagli Stati Uniti e dal regime sionista.

Il regime sionista non ha partecipato alla seduta del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazione Unite, però i palestinesi hanno chiesto al Consiglio di Sicurezza delle Nazione Unite di costituire un comitato per la ricerca della verità e hanno dichiarato che la costruzione delle colonie, in base alla quarta convenzione di Ginevra e all’articolo 8 del Tribunale Internazionale, venga considerata un’azione criminale.

I palestinesi cercano, con le loro attività diplomatiche e giuridiche, di aderire ad altri istituzioni internazionali e far condannare il regime sionista, costringendolo a rispettare le risoluzioni approvate dalle Nazione Unite.

Grazie all’incremento della conoscenza del popolo relativa alla natura razzista e fascista del regime sionista e all’aumento del numero delle organizzazioni civili, i paesi arabi e in particolare i palestinesi possono entrare nella battaglia diplomatica e giuridica contro le politiche del regime sionista. Bisogna però prendere i provvedimenti adeguati in merito, e considerare che la costruzione di nuove colonie è illegale dal punto di vista di diversi paesi .

L’approvazione della risoluzione del Consiglio dei Diritti Umani nel mese di marzo ha condannato la costruzione di nuove colonie, che sono il simbolo dell’occupazione e le risoluzioni approvate lo confermano.

Le leggi internazionali ribadiscono il sostegno dei diritti della cittadinanza nei territori occupati, e l’articolo 9 della legge n. 6 del Codice Civile di Ginevra approvato nel 1949 recita infatti: le forze occupanti non possono trasferire una parte della propria popolazione nei territori occupati.

Per poter documentare la battaglia contro la costruzione di nuove colonie si può citare la risoluzione 446 del Consiglio di Sicurezza del 1979, che definisce illegale ogni forma di costruzione e trasferimento di sionisti sul territorio della Palestina; la risoluzione 452 approvata nel 1979, che ribadisce di fermare le costruzioni presso la città di Quds, e la risoluzione 465 approvata nel 1980, che chiede la demolizione delle colonie, e la risoluzione 478 del 1980, che conferma le risoluzioni precedenti.

Ci sono altre risoluzione approvate dall’Assemblea Generale delle Nazione Unite relative alla condanna della costruzione di nuove colonie sioniste, come le seguenti:

– Risoluzione 2851 approvata nel 1977

– Risoluzione 160/ 42  approvata nel 1978

– Risoluzione 48/ 44 approvata nel 1989

– Risoluzione 74/ 45 approvata nel 1990

– Risoluzione 47/46 approvata nel 1991

Tutte definiscono illegale la confisca di territori, e ogni genere di costruzioni in Cisgiordania e Quds va contro le leggi internazionali e l’articolo 47 della convenzione di Ginevra.

Questo è un tema che riguarda quasi 3 milioni e 200 mila palestinesi e oltre 310 mila arabi residenti a Quds.

I governi del regime sionista dal 1967 al 2012 non solo non hanno rispettato le leggi bensì hanno occupato terre private della Cisgiordania che erano tutelate dalla convenzione Ginevra dal 1907 al 1949.

In accordo alla legge, occupare e confiscare un territorio privato è illegale, salvo nei casi in cui vi siano dei motivi di sicurezza, e comunque sempre in maniera provvisoria, mentre gli invasori sionisti hanno invaso e occupato le terre e le case dei palestinesi per farvi soggiornare in maniera definitiva gli ebrei immigrati.

Le ricerche confermano che dal 1967 al 2012 sono state costruite 151 nuove colonie in Cisgiordania, che ospitano 350 mila persone, e altre 26 colonie nei pressi della città di Quds, che ne ospitano 180 mila.

I governi del regime sionista hanno occupato il 40 % dei 5800 km2 della Cisgiordania per potervi costruire le nuove colonie e le strade, e più dell’80 % della superficie della città di Quds.

Il muro lungo 720 km che ingoia il 42 % del territorio del Cisgiordania è una dei più grandi e emblematiche azioni illegali del regime sionista.

Il regime sionista, per giustificare le proprie evidenti violazioni delle leggi internazionali dovute alle sue attività illegali per le costruzione delle colonie, ha eseguito delle nuove politiche, ad esempio nel giugno 1967 con l’ordinanza militare n. 10 ha confiscato gli immobili e i terreni privati dei profughi palestinesi assenti, e con l’ordinanza militare n. 58 ha dichiarato il divieto di vendere o affittare questi immobili senza il consenso del regime sionista.

Tutte le risoluzioni delle Nazione Unite, del Consiglio dei Diritti Umani e di altri enti internazionali definiscono illegali le costruzioni di nuove colonie, l’occupazione di terreni, la distruzione di case e proprietà dei palestinesi, la costruzione di strade per poter cambiare la conformazione attuale dei luoghi ecc.

Perciò per poter combattere questo fenomeno prima bisogno abbattere le colonie, in particolare quelle che impediscono il raggiungimento della pace.

 

Conoscere la Giornata Mondiale di Quds

La città di Quds fu la prima Qibla ed è un’importante luogo sacro dei musulmani, patria di milioni di profughi palestinesi che dal 1948 è stata scippata ai suoi legittimi proprietari originari e posta sotto controllo degli invasori sionisti .

In questa situazione il mondo non può rimanere solamente un semplice osservatore dei massacri e delle azione criminali commesse dal regime sionista. Il mondo deve cercare di fare qualcosa e proclamare il proprio ruolo a sostegno di questa popolazione, perciò tutti devono cercare di trovare una soluzione per mettere fine a questa situazione drammatica.

Dopo la vittoria della rivoluzione Islamica, l’Imam Khomeini, basandosi sugli insegnamenti coranici e sulla visione islamica, ha indicato la strada giusta a tutti coloro che combattono per trovare la pace, e per la prima volta dopo l’occupazione della Palestina, per poter risvegliare il potere immenso dei musulmani del mondo a sostegno del popolo palestinese, ha nominato l’ultimo venerdì del Sacro mese di Ramadan come la Giornata Mondiale di Quds. Ciò affinché i musulmani e i governi islamici del mondo attraverso delle manifestazioni mostrino il loro sostegno ai palestinesi e ai loro diritti e si uniscano per tagliare le mani del regime sionista dal territorio di questo popolo oppresso e la voce di protesta dei musulmani si alzi in tutto il mondo.

Nel messaggio dell’Imam Khomeini rilasciato in questa occasione leggiamo:

 

Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso

Negli ultimi anni ho sempre avvertito tutti i musulmani del pericolo del regime invasore sionista, che ha incrementato i suoi attacchi barbarici ai fratelli e alle sorelle palestinesi, in particolare nel sud del Libano, con l’intenzione di eliminare i combattenti palestinesi.

Chiedo a tutti musulmani del mondo e ai governi musulmani di unirsi per tagliare le mani di questo regime invasore e invito tutti i musulmani a celebrare l’ultimo venerdì del Sacro mese di Ramadan, che coincide con le notti della rivelazione del Sacro Corano, come la “Giornata di Quds”, e in una manifestazione mondiale dimostrare il sostegno internazionale dei musulmani ai diritti civili del popolo musulmano della Palestina. Chiedo a Dio Onnipotente la vittoria dei musulmani.

Con questa iniziativa la questione della Palestina viene presentata come la più grande questione del mondo dell’Islam. La proclamazione della Giornata Mondiale di Quds pone la tragedia dell’occupazione la Palestina in cima ai problemi del mondo islamico, e invita tutti i musulmani ad aiutare i loro fratelli e le loro sorelle in Palestina per evitare l’occupazione della Palestina e l’indebolimento del popolo palestinese.

Da quel giorno ultimo venerdì del mese di Ramadan ha preso il nome della Giornata di Quds e poter far sentire la voce di protesta dei musulmani per l’occupazione della loro prima Qibla.

Con un accordo tra i ministri della comunicazione dei paesi membri dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, nell’incontro tenutosi nel Gabon, l’ultimo venerdì del Sacro mese di Ramadan è stato riconosciuto la Giornata Mondiale di Quds.

 

Riconoscimento della Giornata Mondiale di Quds da parte i paesi membri dell’organizzazione della Conferenza Islamica.

L’Organizzazione della Conferenza Islamica è nata nel settembre del 1969 in seguito all’incendio della moschea di al-Aqsa, un crimine commesso dal regime sionista. Come si nota nel primo articolo del suo statuto, la questione della Palestina è il primo obiettivo sta alla base della formazione di questa organizzazione,  però fino ad oggi questa non ha preso un posizione netta e severa nei confronti di questa questione.

Questa organizzazione è la seconda organizzazione internazionale ufficiale dopo le Nazione Unite.

Ha 57 paesi membri di quattro continenti, e la sua funzione consiste nel difendere gli interessi dei paesi membri e istituire la pace e la fratellanza fra tutte le nazioni.

Nel 19 aprile 2012 nella città di Libreville, la capitale di Gabon, è stata approvata la proposta della Repubblica Islamica dell’Iran di riconoscere l’ultimo venerdì del Sacro mese di Ramadan come la Giornata Mondiale di Quds, e di svolgere delle manifestazioni nei paesi islamici per sostenere questo popolo oppresso.

La Giornata Mondiale di Quds ribadisce che la questione della Palestina non appartiene solo ad una popolazione specifica, e che è dovere di ogni musulmano sostenere questo paese.

In accordo con questa approvazione, i mezzi di comunicazione di tutti paesi membri devono programmare degli eventi specifici in merito a questa giornata.

 

I sionisti e la proposta di proclamare Gerusalemme, la citta di Quds, capitale di Israele per superare i problemi

La decisione della Knesset, il parlamento israeliano, di proclamare la città di Quds capitale del regime sionista dimostra la natura razzista di questo regime che ha deciso di ebraicizzare la città.

Israele cerca di far diventare la città di Quds capitale di Israele anche perche è contrario a ogni diversità religiosa.

Per poter intuire la motivazione di questa decisione della Knesset considerando il movimento del Risveglio Islamico bisogna precisare che gli avvenimenti degli ultimi mesi in Medio Oriente hanno fatto agitare il regime sionista, e successivamente è iniziata una nuova ondata di emigrazione che già di per sé rappresenta una tragedia per il regime sionista. D’altronde le preoccupazione del regime per le conseguenze derivanti dal movimento del Risveglio Islamico lo hanno costretto a prendere delle decisione irrazionali e sbagliate.

Questa decisione risale a 22 anni fa, quando il regime sionista all’improvviso annunciò la sua decisione di proclamare la città di Quds capitale d’Israele, in conseguenza della quale alcuni paesi europei e gli Stati Uniti spostarono le loro sedi diplomatiche a Quds, ma in seguito alla disapprovazione popolare si videro costretti a tornare a Tel Aviv.

A causa della sua situazione critica, e ancor di più per sfuggire alle pressioni interne e al fenomeno del Risveglio Islamico in Egitto, per il regime non rimane altro che continuare la costruzione di nuove colonie.

Qui sorge la domanda spontanea: questa decisione del regime fino a che punto dipende dalla passività dei paesi islamici, e in particolare i paesi islamici che sono in contatto con il fenomeno del Risveglio Islamico?

Naturalmente l’Occidente, che aveva tutto il potere nella regione, sicuramente non rinuncia all’improvviso a tutti suoi interessi e cercherà di trovare degli alleati a tutti costi per fare in modo che le rivoluzioni scoppiate in questi paesi arabi convergano con i loro interessi.

Bisogna precisare che i popoli ormai non sono più quei popoli che un tempo accettavano il dominio di paesi stranieri. Ciò che sta avvenendo in Egitto, Tunisia, Libia, Bahrain e Yemen sta a dimostrare che il popolo non vuole solamente cambiare il governo bensì chiede un modifica radicale nella struttura politica del paese, e questo che ha creato dei problemi per l’Occidente.

In questa crisi l’Occidente ha cercato a tutti costi, addirittura costringendo i militari egiziani a rispettare gli impegni presi da Mubarak e Sadat con Israele. Dopo che la popolazione egiziana ha continuato la sua strada verso la sua rivoluzione, hanno deciso di riportare delle modifiche radicali, e questa volta i sionisti hanno deciso di voltare pagina per ingannare l’opinione pubblica.

L’idea era di quella attirare l’attenzione verso la divergenza interna in Israele, che vede il contenzioso tra sionisti orientali e occidentali, e in particolare vi è un gruppo di sionisti che ritiene di essere vittima delle politiche del regime. Dall’altra parte, come abbiamo prima accennato, un’ondata di emigrazione contraria sta prendendo piede in Israele, e chiunque ne abbia la possibilità cerca di emigrare.

Prendere la cittadinanza europea da parte  di familiari di alcuni esponenti del vertice del regime conferma queste nostre affermazioni: i membri della famiglia di Netanyahu, ad esempio, che recentemente sono diventati cittadini francesi.

 

Il Risveglio Islamico e la sua influenza sui gruppi palestinesi e il futuro di questa terra

Ci sono diversi motivi alla base delle insurrezioni e delle rivoluzioni nei paesi arabi, che a volte si manifestano in una protesta pacifica e a volte con azioni armate, ad esempio contro la dittatura, la tirannia e il totalitarismo dei governatori, le umiliazioni e la mancanza di indipendenza rispetto alle potenze straniere, e in particolare il disinteresse dei governi nei confronti dell’Islam. Però la questione in comune ai popoli in tutti questi paesi è quella della Palestina, una questione che ormai fa parte dell’identità dei musulmani.

Diversi scrittori, anche quelli occidentali e non musulmani, ritengono la questione palestinese la radice della crisi nel Medio Oriente. Quasi tutte le crisi in questa area, in modo diretto o indiretto, sono collegate a questa questione, oppure i cambiamenti recenti in questa regione mostrano una particolare attenzione verso la questione palestinese, come la Rivoluzione Islamica dell’Iran nel 1979, la presa del potere da parte degli islamisti in Turchia e la caduta dei governi di alcuni paesi arabi nel 2011.

Dall’inizio dell’occupazione della Palestina fino ad oggi possiamo suddividere i paesi della regione basandoci sulla loro visione verso la Palestina. I paesi sostenitori della resistenza palestinese, che chiedono la fine dell’occupazione, e i paesi indifferenti, o alleati con l’occidente (come l’Iran durante il regime dello Scià prima della rivoluzione o l’Egitto nel periodo di Mubarak, e l’Arabia Saudita).

Attualmente anche i paesi della regione sono divisi in due parti, i paesi sostenitori dei diritti umani in Palestina, che chiedono la fine dell’occupazione, sono conosciuti come i paesi dell’asse della resistenza, e i paesi alleati con regime sionista, che sono indifferenti.

Il Risveglio Islamico, conosciuto anche come “primavera araba”, non è stato un fenomeno imprevisto, bensì il risultato inevitabile che ha preso forma negli ultimi trent’anni. Questo processo è sorto con la nascita del fronte della resistenza, che ha potuto cambiare la struttura politica della regione con il sostegno avuti dall’Iran, Siria, Hezbollah nel Libano e i gruppi combattenti palestinesi e l’Iraq.

Da cinque anni assistiamo a una divisione netta e precisa tra due fronti nel Medio Oriente: quello della resistenza e quello della conciliazione. Una divisione che anche l’Occidente ha accettato, interpretandolo però in modo diverso e definendo “estremisti” gli stati del primo e “moderati” quelli del secondo.

Gli Stati Uniti dopo l’11 settembre hanno cercato in qualche modo di incrementare il numero dei paesi “moderati”, ottenendo però l’effetto contrario. Ha dovuto quindi interrompere questo progetto e nel 2006 ha iniziato a usare l’espressione “Nuovo Medio Oriente”. Condoleezza Rice, Ministro degli Affari Esteri degli Stati Uniti, nel suo viaggio a Beirut dette la notizia della nascita del Nuovo Medio Oriente costituito dai paesi concilianti.

William Norman Greek, giornalista e scrittore americano, crede che i nuovi movimenti popolari nel Medio Oriente non sono negli interessi degli Stati Uniti, ma anzi minacciano l’impero di Washington nel Medio Oriente.

Secondo il famoso teorico Immanuel Wallerstein, l’unico paese in perdita nei confronti dei movimenti popolari del MedioOriente sono gli Stati Uniti, anche perché quelli che hanno fatto la rivoluzione nei paesi arabi non vogliono la presenza degli Stati Uniti nel loro paese, e quelli che sono a favore non hanno più coraggio di esprimersi, perciò gli Stati Uniti sono costretti a cambiare la procedura cercando di conquistare il movimento del risveglio islamico.

Il fatto che causa preoccupazione agli Stati Uniti e a Israele rispetto ai cambiamenti in atto in Medio Oriente e Nord Africa, è il mutamento della posizione e della visione dei nuovi vertici di questi paesi nei confronti della questione palestinese. Attualmente ci sono dei partiti e dei gruppi in Egitto, in Tunisia e in Libia, che gestiscono di fatto questi paesi, che sono molti vicini alla resistenza palestinese, come il movimento dei Fratelli Musulmani in Egitto e il partito EnNadha in Tunisia.

 

La situazione in Israele e in Palestina dopo le rivoluzioni popolari del Medio Oriente e Nord Africa

L’inizio dei movimenti di protesta popolare nei paesi arabi ha provocato la reazione negativa di Tel Aviv. Il vertice del regime sionista ha perso Mubarak, il suo vero alleato nella regione. Ben Ali era l’amico di sionisti in Tunisia, e ha perso il potere anche lui, e questo continua anche per paesi come la Giordania e l’Arabia Saudita

Dopo l’espansione delle proteste popolari nei paesi arabi, il regime sionista ha deciso di prendere dei provvedimenti per impedire che queste proteste si espandino ulteriormente, perciò ha deciso di prendere i provvedimenti atti ad allargare le differenze all’interno di queste rivoluzioni. Il generale dei servizi segreti dell’esercito israeliano in una conferenza presso il Centro studi di Herzliya ha parlato della necessità d’infiltrarsi in queste rivoluzioni, provocando delle suddivisioni e delle scissioni al loro interno per impedire che Israele venga colpita.

Secondo questo generale, bisogna fare in modo che questi gruppi si contrappongano l’uno all’altro, essendo questa l’unica chance per il regime sionista di essere vincitore e causare la divisione tra questi paesi. Il regime sionista è severamente preoccupato per il suo futuro e per il movimento del Risveglio Islamico.

L’altra soluzione per il regime sionista per cercare di deviare le rivoluzioni popolari del Medio Oriente è quella collegare questi movimenti al terrorismo.

Il regime ha intenzione di presentare queste rivoluzioni come un fattore d’instabilità che minaccia non solo la sicurezza della Palestina bensì tutto il mondo.

L’influenza delle rivoluzioni dei paesi arabi sulla sicurezza del regime sionista è valutabile in aspetti nazionali e internazionali.

Da una parte il regime sionista deve affrontare le proteste popolari interne causate dalla speculazione e dai rincari dei prezzi degli immobili, e dall’altra le rivoluzioni popolari dei paesi arabi stanno avendo effetti per il regime, tra cui quelli più importanti sono:

 

1- La pace Nazionale in Palestina

L’accordo tra movimenti come Hamas e Fatah ha allarmato il regime e i suoi alleati occidentali.

Uno dei fattori più importanti favorevole al regime sionista è proprio la presenza di contrasti e divergenze tra i gruppi maggioritari della Palestina. I due gruppi Fatah e Hamas dal 2006 in poi hanno speso la maggior parte delle loro forze più nel contrastarsi reciprocamente che nel contrastare il regime sionista.

Dal 2006 i paesi arabi, e altri paesi come la Turchia e l’Iran, hanno cercato di riappacificare questi gruppi, uno sforzo vano che non ha raggiunto mai l’obbiettivo, anche se dopo i recenti avvenimenti nella regione il processo di conciliazione tra i diversi gruppi è ripreso con una velocità inaspettata.

2- L’incremento delle manifestazioni e i sentimenti anti-israeliani nei paesi arabi

La giornata mondiale di Quds (ultimo venerdi del sacro omese di Ramadan) e il giorno della Nakba (anniversario dell’istituzione del regime sionista) sono due giornate che vengono celebrate tra i musulmani in molti paesi arabi e islamici. Però le manifestazioni si svolgevano di nascosto, anche perché la maggior parte dei paesi arabi avevano un governo timoroso dei paesi occidentali e di Israele. Ma dopo il movimento del Risveglio islamico queste manifestazioni si svolgono con la presenza massiccia del popolo

3- Cambiamenti nelle coalizioni regionali del  Medio Oriente

Prima del cosiddetto Risveglio islamico esistevano due correnti in Palestina: una era la corrente della pace, composta da paesi come l’Egitto, l’Arabia Saudita, la Giordania, il Bahrain, lo Yemen e alcuni paesi arabi; l’altra era la corrente della resistenza composta dall’Iran, dalla Siria, da Hamas e da Hezbollah.

La corrente della pace e della conciliazione continua la sua attività ancora senza nessun esito, e dopo i cambiamenti recenti in Egitto l’ingresso di questo paese nella corrente della resistenza sembra molto probabile.

In Giordania sta succedendo la stessa cosa, e le proteste per rompere ogni rapporto con il regime sionista stanno crescendo e il regime non ha altra scelta che uscire dalla corrente della pace e della conciliazione e aderire alla corrente della resistenza.

Visto il contenzioso esistente tra la Turchia e il regime Sionista, non pare che la Turchia riesca ad avere una relazione forte con il regime, e tutto ciò sta causando dei cambiamenti radicali nelle coalizioni regionali che non sono assolutamente a favore del regime sionista. Di fatto oggi nessun paese nel Medio Oriente e del Nord Africa può rimanere indifferente nei confronti della Palestina.

4- La presenza di correnti islamiche al potere

La caduta di Mubarak è stata un colpo duro alla sicurezza del regime sionista,e il colpo di grazia per Tel Aviv c’è stato quando gli islamisti sono saliti al potere e i loro candidati hanno vinto le elezioni.

I nuovi vertici al potere in Tunisia hanno una visione particolare della Palestina. La Tunisia era il primo paese ad aver sperimentato il fenomeno del Risveglio islamico, e i nuovi dirigenti saliti al potere hanno una visione particolare della Palestina, e indubbiamente questa visione per i prossimi governi dei paesi arabi può essere la base su cui costruire delle nuove prospettive.

Dopo la rivoluzione della Tunisia e la sovranità dell’Islam nel tessuto politico e sociale di questo paese, la maggior parte delle correnti politiche e sociali in questo paese ha espresso il suo disaccordo con ogni genere di rapporto con il regime sionista. Per questo motivo hanno riportato delle modifiche nella Costituzione affinché ogni rapporto con il regime sionista venga considerato un fatto illegale e criminale.

Nella visita di Isma’il Haniyeh, primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese, in Tunisia, egli ha definito questo paese un sostenitore della Palestina, e da parte sua il governo della Tunisia ha dato notizia dell’apertura dell’ufficio di rappresentanza di Hamas in Tunisia.

 

Conclusioni

La Palestina, e in particolare la città di Quds, ha i suoi particolari aspetti geopolitici. Il peso ideologico di questa città e la sua storia sono i fattori più importanti per il ruolo geopolitico di questa città. La santa città di Quds, quale culla delle religioni monoteistiche, ha avuto da sempre una posizione particolare presso tali fedi, in particolare l’Islam.

Far diventare questa città una città ebraica è il sogno del regime sionista fin dalla sua nascita. Questa città dall’anno 622 al 1918, a eccezione di un solo secolo ( quello delle Crociate) è stata sempre gestita e governata dai musulmani in una convivenza pacifica con le altri fedi.

Considerando le esperienze avute da parte dello stato e del popolo palestinese e i diversi incontri svoltisi tra l’autorità palestinese e l’occidente, nonché i metodi utilizzati fino ad oggi per riprendersi i propri diritti negati e le lunghe battaglie portate avanti dai gruppi della resistenza popolare, pare che l’unica soluzione per liberare questa città dal regime sionista sia la resistenza e la lotta armata contro questo regime come sono state proposte dall’Imam Khomeini 30 anni fa.

D’altronde, la lotta contro questo regime non è stata  patrocinata solo dalla Repubblica Islamica dell’Iran. Prima della Rivoluzione Islamica iraniana i paesi dell’est guidati dall’Unione Sovietica apparentemente erano a favore della Palestina. Però questo appoggio era dovuto al conflitto di interessi tra le superpotenze e al massimo giungevano a riconoscere i diritti del popolo della Palestina, senza però considerare Israele come un stato illegittimo.

La Repubblica Islamica dell’Iran e l’Imam Khomeini, con il massimo rispetto per la comunità ebraica, non riconoscono il regime sionista, negano la sua identità giuridica e lo definiscono uno stato usurpatore. Ancora oggi questa idea esiste e forse la soluzione più logica per ridare i diritti a questo popolo e abbandonare al suo destino il regime sionista è proprio quello di non riconoscerlo e considerarlo illegittimo.

La questione della Palestina non riguarda solo il popolo palestinese, ma è una questione mondiale e necessita che tutti i paesi del mondo, le istituzioni internazionali e gli enti attivi per la salvaguardia dei diritti umani non rimangano in silenzio nei confronti del massacro di questo popolo, e facciano il proprio dovere. In altre parole, la resistenza di fronte al regime sionista e lo svelamento delle sue azione criminali significano salvare la dignità di tutti popoli, anche perche il comportamento di questo regime è una umiliazione per tutto il mondo.

Bisogna riconoscere il diritto del popolo palestinese affinché esso scelga il suo futuro insieme agli ebrei residenti nella Palestina occupata attraverso una libera elezione e un conseguente governo che dia la possibilità a tutti profughi di ritornare nella loro patria.

Questo in realtà è una prova per tutta l’umanità e per i governi che prendono una decisione netta nei confronti di questa questione, affinché vengano giudicati dalle generazioni  future.

La Giornata Mondiale di Quds, proclamata dalla Guida Suprema e fondatore della Repubblica Islamica dell’Iran, è una vera occasione per tutti di poter avere una visione più giusta e umana di questa questione, a prescindere dalla politica ingiusta che purtroppo governa il mondo, e fare quindi dei passi positivi per ridare ai palestinesi i propri diritti.

La giornata Mondiale di Quds, approvata dall’Organizzazione delle Conferenza Islamica, è il giorno del grido  “AllahAkbar”, il giorno in cui si svelano e si denunciano le azione criminali del regime sionista, il giorno in cui si chiede giustizia.

 

Appendice:

Discorso tenuto dal Segretario Generale di Hezbollah, Seyyed Hassan Nasrallah, in occasione della Giornata di al-Quds (Gerusalemme), nella città di Nabatiyeh, nel sud del Libano, nel 2003.

Col Nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso

Mi rifugio in Dio da Satana il Lapidato. Tutte le lodi ed i ringraziamenti sono per Lui, il Signore dell’umanità e di tutto ciò che esiste, e le Sue benedizioni siano sul nostro Profeta e sulla sua famiglia, sui credenti sinceri e su tutti i martiri ed i combattenti dalla nascita di Adamo al giorno del Giudizio.
(…) ai sapienti, ai rappresentanti dei partiti nazionali e Islamici libanesi, alle forze militari e di sicurezza, e ai rappresentanti delle brigate Palestinesi. Che le benedizioni e la pace di Dio siano su voi tutti.

Prima di tutto, vorrei ringraziare tutti i fratelli e le sorelle che hanno preso parte a questa commemorazione benedetta e che sono qui da ore, alla pioggia, al freddo, al vento. Ciò indica la vostra lealtà, fede e dedizione all’esempio dei nostri martiri, unita alla dedizione verso la causa della nostra Ummah, la causa di al-Quds, la quale merita ogni sacrificio da parte nostra.

Forse c’è un segno divino nel fatto che, per la seconda volta dopo l’11 settembre, celebriamo questa giornata con un tempo inclemente, affinché diventi un chiaro messaggio che esprima la forte volontà di un popolo che non si sottrae alle intemperie, né al caldo torrido, né alla lama della spada, né all’angoscia della battaglia, ma resta fermo come una nazione unita.

Ci incontriamo nella Giornata di al-Quds con il grande spirito dell’Imam Khomeyni, che affermò l’eternità di questo giorno nella coscienza della Ummah, questo grazie ai suoi sacrifici. Ciò è stato anche confermato dall’Imam Khamenei (possa Iddio proteggerlo dai suoi nemici) che mantiene lo stesso metodo.

Siamo venuti nella città dell’Imam Husayn (as), nella città dei martiri e dei prigionieri, in una città che è stata “di frontiera” per 15 anni, che ha combattuto, si è sacrificata ed ha resistito, offrendo martiri, compresi bambini, che hanno reso, col loro sangue, possibile la vittoria.

Al-Nabatiyeh è la città da cui è partito il confronto col nemico sionista nel periodo di Ashura nel 1983. Siamo venuti qui per essere il più vicino possibile alla linea del fronte ed all’arena della sfida e ci muoveremo, di anno in anno, di città in città, in tutte le regioni del Libano, per dare modo ad ogni luogo di dimostrare la sua dedizione ad al-Quds, alla gente di al-Quds e ad una causa che non può essere dimenticata. In questo giorno dobbiamo rendere questo mondo silenzioso consapevole delle criminali pratiche sioniste che demoliscono le case degli abitanti originari di Gerusalemme, ne rubano le terre, li terrorizzano allo scopo di farli andare via dalla città, circondata da insediamenti armati che la separano dal resto della Palestina.

Ciò che è più pericoloso, in queste pratiche, è la grave situazione dei luoghi sacri cristiani e musulmani in Palestina. Il pericolo più grande lo corre la grande moschea di al-Aqsa, la prima Qiblah dei musulmani. Questo pericolo è rappresentato dai tentativi di distruggere quel luogo, una mira dei sionisti ed anche dei cosiddetti cristiano-sionisti, i quali controllano gli uffici decisionali americani. Chiunque può rendersi conto che quel giorno, in cui verrà distrutta al-Aqsa, si
avvicina sempre più. Questo pericolo non è ignorato dai governanti arabi: far finta di nulla, incoraggerà il tentativo di appropriarsi dei luoghi santi islamici per ricostruirvi “il Tempio di Salomone”. Se costoro penseranno che la Ummah è timorosa, trascurata, debole, saranno incoraggiati.
Penseranno che i governanti arabi non sono interessati che alle loro posizioni. Le posizioni non sono sacre: la moschea dell’Aqsa e la Chiesa della Natività lo sono!

I sionisti devono capire, e con loro quelli che li sostengono, che ogni danno inflitto ai luoghi santi palestinesi causerà l’esplosione dell’intera regione. Se vogliono distruggere quel luogo, sappiano che le nazioni di quel luogo distruggeranno l’entità usurpatrice, attraverso il sangue dei martiri esistenti in ogni casa, villaggio, città del Libano, della Palestina e di tutti i paesi arabi ed islamici.

La giornata di al-Quds arriva a più di due anni dalla liberazione, attraverso la resistenza, di gran parte della nostra terra libanese, e a più di due anni dalla deflagrazione dell’intifada, che questa volta porta il nome di al-Aqsa. Questa occasione conferma che la nostra scelta è chiara ed è la sola scelta che libererà la terra, i luoghi santi ed al-Aqsa. Le risoluzioni internazionali vengono applicate solo quando esse sono comode per le grandi potenze e per gli USA, mentre le risoluzioni che riguardano le nostre nazioni e le nostre regioni oppresse, non sono altro che fogli di carta bianchi e neri; la prova di ciò è la risoluzione 425, per la quale nessuno ha fatto nulla in 20 anni di occupazione israeliana del Libano, e che è stata applicata solo grazie alla nostra resistenza che ha scacciato il nemico. Oggi vi sono decine di risoluzioni dell’ONU e dell’UNSECO riguardanti al-Quds e che rifiutano l’inclusione della città nei piani israeliani d’insediamento, e che rigettano le minacce ai luoghi sacri. Queste risoluzioni non sono altro che fogli di carta bianchi e neri.

Ciò che libererà e proteggerà la Palestina è ciò che i palestinesi hanno scelto, ovvero i grandi martiri che stupiscono il mondo e che, con i loro corpi, scuotono la sicurezza del nemico e dei suoi coloni. Questa è la via della vittoria conclusiva, Dio permettendo. Questa intifada, come la resistenza, non può finire in una riconciliazione politica. Sin dal primo momento, era chiaro come questa intifada fosse sollevata nel nome di Dio e del sangue dei martiri che fuoriusciva nella moschea di al-Aqsa. I suoi martiri sono dei cercatori dell’amore di Dio e del Suo incontro, e niente riuscirà ad indebolirli. Questo è il motivo per cui l’intifada della Vittoria e della Liberazione porterà al miracolo prima delle previsioni di questo mondo.

Nella Giornata di al-Quds, noi dichiariamo: siamo una Ummah che non aggredisce nessuno. La resistenza libanese è stato un movimento che ha difeso il paese, la sua gente e la sua dignità, e lo fa ancora. Oggi, in Palestina, la difesa è rappresentata dall’intifada. I palestinesi non hanno aggredito nessuno. Non sono andati in Russia, in Ucraina, in Polonia o in Etiopia ad uccidere ebrei. Al contrario, questi sionisti sono venuti da tutto il mondo per usurpare la terra, i luoghi santi, le città ed i villaggi di altri. I palestinesi non fanno altro che difendere sé stessi, e le loro operazioni sono lecite ed onorevoli perché mirano ad eliminare la tirannia, l’occupazione, il male, il cancro e la corruzione.

Per questo motivo noi sottolineiamo l’ingiusto trattamento riservato ai popoli arabi di Libano e Palestina poiché questi popoli si stanno difendendo. Noi non amiamo la guerra e non vogliamo la guerra contro nessuno. Ma chiunque ci assalti, occupi la nostra terra, dissacri i nostri luoghi santi e ci getti nella miseria, capirà che la nostra carne non è a buon mercato e che il nostro sangue si trasformerà in un vulcano sotto i loro piedi, senza tener conto dell’identità dell’aggressore,
ebreo-sionista o americano-sionista, e senza tener conto del luogo da cui arriva l’aggressione e l’invasione. Chiunque verrà a violare i nostri luoghi santi, troverà uomini e donne pronti a sacrificarsi, uomini e donne nati con la cultura del coraggio e che rifiutano l’umiliazione, ed il cui slogan è quello di sempre: “Non accetteremo mai l’umiliazione! Non accetteremo mai l’umiliazione!” (1)

La nostra regione è minacciata da un grave pericolo. E’ il progetto americano-sionista di assumere il controllo dell’area, ridisegnandone la mappa politica. Dobbiamo pensare con orizzonte ampio e obiettivi a lungo termine, senza lasciarci sviare da falsi slogan lanciati dall’amministrazione americana. Non vogliono salvare alcuno. Perché, se questa amministrazione voleva effettivamente salvare queste persone, non l’ha fatto prima? Dobbiamo essere consapevoli e guardarci da queste
dichiarazioni sataniche. Invitiamo i governanti dei nostri paesi ad avvicinarsi ai loro popoli. Solo ciò potrà risolvere i problemi interni dei paesi. Correre dietro le guerre dell’amministrazione americana non farà che aumentare la loro debolezza. Se volete mantenere forza e dignità, dovete tornare alla vostra nazione, alla vostra cultura, ai vostri popoli, e potete farlo. L’occasione non è già stata sciupata. Queste nazioni sono disposte a perdonare ed a dimenticare il passato, una volta che vedranno i loro leaders stare dalla loro parte nella posizione di difesa, per salvaguardare gli interessi e la dignità dei loro paesi. Queste nazioni sono pronte, ma sono frustrate dai regimi, dall’oppressione e dall’ ingiustizia. Ed ancora, sono pronte a dimenticare le sofferenze e le ferite loro inflitte, allorché la battaglia si trasformerà in difesa della Ummah, della sua dignità e del suo futuro.

E’ nostro obbligo, nella Giornata di al-Quds, mantenere alta la guardia e fare attenzione all’amministrazione americana ed al governo sionista che complottano con gli autocrati di questa terra per schiacciare la rimanente forza della nostra Ummah. Noi siamo testimoni di tentativi mediatici di metterci gli uni contro gli altri, rivitalizzando inimicizie tra nazioni e paesi.
Gli americani hanno parlato di “crociata” allo scopo di mettere musulmani contro cristiani e, allo stesso modo, stanno tentando di fare tra sciiti e sunniti. Noi, invece, abbiamo bisogno di unirci e cooperare, mantenendo ciascuno le sue posizioni dottrinali, concettuali e religiose. Dobbiamo cooperare per proteggere al-Quds e difendere i palestinesi, la loro religione e il loro Profeta Muhammad (S) che è stato accusato dal più importante uomo della cristianità sionista americana di essere un “terrorista”.

In un momento tale gli sciiti e i sunniti devono unirsi per difendere la dignità di questa Ummah contro coloro che vogliono cambiare la mappa della regione e causare separazioni e divisioni, portando alcuni a cercare uno stato sciita qui, uno stato sunnita lì, o uno stato curdo là.

L’amministrazione americana vorrebbe che musulmani e cristiani, arabi e non-arabi, sunniti e sciiti si dividano e si combattano, realizzando, in tal modo, i sogni di dominio di Israele. Io chiedo ai popoli del Medio Oriente di boicottare questi tentativi, di non ritenere che le televisioni satellitari americano-sioniste che hanno invaso i nostri paesi possano offrire loro l’occasione di esprimere i loro pensieri. Esse non sono che strumenti di cui le mani israelo-americane si servono per incitare all’odio ed al settarismo. Oggi, ci sono molti nuovi canali satellitari a Londra e in altri luoghi, finanziati dai capitalisti americani e sionisti. Il loro scopo è quello di indurre i sapienti sciiti e sunniti a dibattere e disputare su eventi del passato, e anche le questioni ideologiche vengono aizzate allo scopo di provocazione, odio e incremento di tensioni. Vorrei richiamare l’attenzione delle persone affinché stiano all’erta, prendano coscienza, e boicottino questi satelliti americano-sionisti. Gli scienziati, i sapienti, gli intellettuali e le persone di cultura che credono che questi canali stiano offrendo una maggiore opportunità di espressione di pensiero sono in evidente errore. Piuttosto dovrebbero capire che questi non sono altri che strumenti in mano americane e israeliane messi in gioco al fine di dividere i Musulmani e incitarli all’odio.

In questo momento, abbiamo bisogno di unità. Le nazioni hanno scommesso sull’intifada e la loro scommessa è stata veritiera e corretta. L’intifada sta vincendo con il sacrificio dei martiri, con il sangue e le lacrime. La crisi dell’entità estranea aumenta un giorno dopo l’altro. Ciò che resta all’intifada è scommettere sulla Ummah, e questa scommessa dovrà essere veritiera e corretta.

La Giornata di al-Quds conferma l’esistenza di uno spirito combattivo in noi. Noi siamo coloro che si sono sollevati al cenno dell’assente imam Musa as-Sadr. Ci siamo sollevati per l’amore verso al-Quds e marciamo sul sentiero che ci guida ad essa. Su questo sentiero abbiamo offerto i primi, migliori martiri, guidati dal signore dei martiri della resistenza islamica: Seyyed Abbas al-Musawi.

In questo giorno, nella città di Nabatiyeh, la città dei martiri, confermiamo che siamo presenti sulla linea del fronte e che siamo pronti a difendere il nostro paese, la nostra Ummah ed i nostri luoghi sacri. Non avremo paura né saremo intimiditi da alcuno. Lavoreremo insieme per essere forti, per aumentare questa forza in soccorso di coloro che amiamo, e combatteremo i nemici.

Le accuse gettate su di noi dal sionismo, a causa del nostro sostegno verso l’intifada, le accogliamo con orgoglio, come fossero medaglie d’onore. Continueremo a sentire e portare questa responsabilità e siamo pronti ad affrontarne tutte le conseguenze tramite la nostra presenza nell’arena del conflitto.

Cari fratelli e sorelle: siamo oggi nella terra della resistenza, risoluti a piantare in essa le nostre impronte, con il coraggio di leoni. Dipendiamo da Dio, ed Egli ci garantirà la vittoria. Inoltre dipendiamo dai buoni uomini e dalle buone donne, e dai buoni genitori in grado di crescere intere generazioni di martiri e combattenti per la libertà. Oggi il vostro messaggio è così grande per il bene dei vostri fratelli in Palestina, per gli amati e gli amici. Il vostro messaggio è inoltre forte contro Israele, l’America ed i nemici della nostra Ummah. Noi rimarremo qui, in questa terra, qui combatteremo e qui saremo seppelliti. Questa è la nostra terra e mai l’abbandoneremo, come mai in passato e mai in futuro.

Oggi, siamo molto vicini a realizzare il sogno dell’Imam Khomeyni, dell’Imam Musa Sadr e dei Martiri, e questo è la restituzione di al-Quds e la preghiera all’interno di essa. Questo giorno è più vicino di quanto si possa mai immaginare. La vittoria non viene se non da Dio. E possano le Sue benedizioni e la Sua pace essere su di voi tutti.

NOTE

1) Queste parole furono pronunciate dal nipote del Profeta (S), il Principe dei Martiri Imam Husayn, poco prima di raggiungere la beatitudine eterna del martirio per Iddio Altissimo, nella sua lotta per l’Islam contro la tirannia e l’illegittimità del califfo usurpatore Yazid (n.d.r.).

Tradotto e pubblicato dal sito, oggi non più disponibile, www.aljazira.it

Versione integrale del discorso del Ayatollah  Khamenei alla “Conferenza di Sostegno all’Intifada Palestinese”

Versione integrale del discorso del Ayatollah  Seyyed ‘Ali Khamenei, Guida della Rivoluzione Islamica, pronunciato alla “Conferenza di Sostegno all’Intifada Palestinese” tenutasi a Tehran (Repubblica Islamica dell’Iran) presso il Salone della Conferenza dei Capi dei paesi islamici il 1 Ottobre 2011.

***

Col Nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso

Assalamu ‘alaykum

La Lode appartiene a Dio, il Signore dei mondi, e la preghiera e il saluto sia sul nostro maestro Muhammad, sulla sua pura Famiglia ed i suoi prescelti Compagni, e su coloro che li seguono fino al Giorno del Giudizio.

Disse Iddio il Saggio: “A coloro che sono stati aggrediti è data l’autorizzazione di difendersi, perché certamente sono stati oppressi e, in verità, Allah ha la potenza di soccorrerli; a coloro che senza colpa sono stati scacciati dalle loro case, solo perché dicevano: “Allah è il nostro Signore”. Se Allah non respingesse gli uni per mezzo degli altri, sarebbero ora distrutti monasteri e chiese, sinagoghe e moschee nei quali il Nome di Allah è spesso menzionato. Allah verrà in aiuto di coloro che sostengono la Sua religione. In verità, Allah è forte e possente”. (Sura al-Hajj, 39-40)

Diamo il benvenuto ai cari ospiti e a tutti i cari presenti. Tra tutti gli argomenti che meritano di essere discussi dall’elite religiosa e politica del mondo islamico, la questione della Palestina ricopre un’importanza speciale. La Palestina è la prima fra tutte le questioni in comune tra tutti i paesi islamici. Questa questione possiede caratteristiche uniche.

La prima caratteristica è che un paese islamico è stato sottratto al suo popolo, è stata occupato ed è stato consegnato a stranieri radunati dai paesi più disparati, che hanno così formato una società falsa ed artificiale.

La seconda caratteristica è che questo evento, senza precedenti nella storia, è stato accompagnato costantemente da assassinii, crimini, oppressione e umiliazione.

La terza caratteristica è che l’originaria Qiblah (direzione verso cui i musulmani si rivolgono per la Preghiera rituale, n.d.t.) dei musulmani e molti altri centri sacri che si trovano in questo paese sono minacciati dalla distruzione, dall’offesa e dal sacrilegio.

La quarta caratteristica è che quel falso governo e quella falsa società, collocati nel punto più sensibile del mondo islamico, dall’inizio fino ad oggi hanno svolto il ruolo di base militare, di sicurezza e politica per i governi dell’Arroganza (Istikhbar). L’asse del colonialismo occidentale – che per diversi motivi si è opposto all’unità, allo sviluppo ed al progresso dei paesi islamici – li ha sempre usati come un pugnale da conficcare nel cuore della Ummah islamica.

La quinta caratteristica è che il sionismo – che costituisce una grande minaccia etica, politica ed economica per la comunità umana – ha usato questo luogo come strumento e trampolino di lancio per diffondere la sua influenza e dominio nel mondo.

Si potrebbero includere anche altre caratteristiche, come le alte perdite umane e materiali finora pagate dai paesi islamici; i problemi creati ai popoli ed ai governi musulmani; la sofferenza di milioni di profughi palestinesi, che per la maggior parte vivono ancora nei campi profughi dopo ben sessanta anni; l’interruzione della storia di uno fra i più importanti centri della civiltà del mondo islamico.

Oggi può essere aggiunto un altro punto chiave a queste caratteristiche ed è costituito dal Risveglio Islamico che ha investito l’intera regione ed ha aperto un nuovo e determinante capitolo nella storia della Ummah islamica. Questo grande movimento – che indubbiamente può portare alla creazione di una potente, avanzata e coerente alleanza islamica in questa importante zona del globo, e mettere fine all’era di arretratezza, debolezza e umiliazione delle nazioni musulmane, affidandosi alla grazia divina ed alla ferma determinazione dei seguaci di questo movimento – ha tratto un’importante porzione della sua forza e coraggio dalla questione della Palestina.

La crescente oppressione ed arroganza del regime sionista e la complicità di alcuni governanti autocrati, corrotti e mercenari da una parte, ed il sollevamento della resistenza esemplare dei palestinesi e dei libanesi e le loro miracolose vittorie nelle guerre dei 33 giorni in Libano e 22 giorni a Gaza dall’altro lato, sono tra gli importanti fattori che hanno reso tempestoso l’oceano apparentemente calmo dei popoli di Egitto, Tunisia, Libia e di altri paesi della regione.

E’ un fatto, che il regime sionista, armato fino ai denti e che si riteneva invincibile, ha subito una decisiva ed umiliante sconfitta in Libano in una guerra impari contro il pugno chiuso dei credenti e coraggiosi combattenti (mujahidin). Successivamente ha risfoderato la sua spada non più tagliente contro la resistenza ferrea dell’oppressa popolazione di Gaza, fallendo.

Seria attenzione deve essere riposta a questi punti quando si analizzano le condizioni correnti della regione, e l’appropriatezza di ogni decisione deve essere valutata alla luce di tutto ciò.

E’ quindi corretto dire che oggi la questione della Palestina riscuote maggiore importanza e priorità, e che il popolo della Palestina ha il diritto di attendersi di più dai paesi musulmani nelle attuali condizioni della regione.

Diamo uno sguardo al passato ed al presente e tracciamo una “Road Map” per il futuro. Toccherò alcune questioni al riguardo.

Sono trascorsi più di sei decenni dalla tragica occupazione della Palestina. Tutte le principali cause di questa sanguinosa tragedia sono state identificate e il governo colonialista inglese ne è la causa maggiore. Il potere politico, militare, economico, culturale, della sicurezza e delle armi del governo inglese e degli altri arroganti governi occidentali e orientali venne messo al servizio di questa grande oppressione. Sotto le grinfie di occupanti senza pietà, il popolo indifeso della Palestina è stato massacrato ed espulso dalle proprie case. Fino ad oggi neanche l’un per cento della tragedia umana e civile – che è stata condotta a quel tempo dai pretesi portatori di civiltà ed etica – è stato appropriatamente presentato, e questa tragedia non ha il suo giusto spazio né nei media né nella cinematografia. I proprietari dei media e della cinematografia e la mafia dei film occidentali non ha permesso che questo avvenisse. Un’intera nazione è stata massacrata e resa profuga nel silenzio.

Alcune posizioni di Resistenza emersero all’inizio, ma vennero soppresse in maniera dura e spietata. Dal di fuori dei confini della Palestina, e principalmente dall’Egitto, un numero di persone con ideali islamici realizzarono degli sforzi che non vennero sufficientemente supportati e che non hanno influenzato la scena.

Dopodichè fu il turno delle guerre classiche e su larga scala tra alcuni paesi arabi e l’esercito sionista. Egitto, Siria e Giordania mobilitarono le proprie forze militari, ma l’incondizionato, massiccio e crescente supporto finanziario e militare di USA, Gran Bretagna e Francia al regime sionista portò alla sconfitta degli eserciti arabi. Essi non solo fallirono nel sostenere la nazione palestinese, ma durante queste guerre persero anche una parte importante dei propri territori.

Dopo che si palesò la debolezza dei governi arabi limitrofi alla Palestina, si formarono gradualmente, sotto forma di gruppi armati palestinesi, cellule di Resistenza organizzata, e poco dopo la loro unione sfociò nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Era una scintilla di speranza che brillò, ma non durò a lungo. Questo fallimento può essere attribuito a vari fattori, ma quello essenziale era la loro separazione dalla popolazione e dal suo credo e fede nell’Islam. L’ideologia di sinistra o i meri sentimenti nazionalisti non erano ciò che richiedeva la questione complessa e difficoltosa della Palestina. Islam, Jihad e martirio sono i fattori che avrebbero potuto incoraggiare un’intera nazione ad entrare nell’alveo della Resistenza e trasformarla in una forza invincibile. Essi non lo compresero. Durante i primi mesi successivi alla vittoria della grande Rivoluzione Islamica, quando i capi dell’OLP avevano trovato un nuovo spirito e visitavano Tehran ripetutamente, chiesi ad uno dei pilastri dell’organizzazione: “Perchè non innalzate la bandiera dell’Islam per guidare la vostra giusta lotta?” La sua risposta fu che vi erano anche dei cristiani tra loro. Successivamente questa persona venne assassinata dai sionisti in un paese arabo e prego Iddio Altissimo di avere misericordia di lui. Ma il suo ragionamento era carente ed incompleto. Io credo che un credente cristiano che combatta al fianco di un gruppo di mujahidin pronti al sacrificio – che compiono il Jihad sinceramente con fede in Dio, nel Giorno del Giudizio e nel sostegno divino – sarà più motivato nel combattere di un cristiano che deve lottare al fianco di un gruppo di persone prive di fede, che si affidano a sentimenti instabili e mancano del supporto leale del popolo.

La mancanza di una salda fede e la seperazione dalla gente li ha resi gradualmente neutrali e inefficaci. Ovviamente tra loro vi erano persone nobili, motivate e di valore, ma l’organizzazione intraprese un corso differente. La sua deviazione ha danneggiato gli interessi della Palestina. Come certi governi arabi traditori, hanno voltato le spalle all’ideale della Resistenza, che è l’unica via di salvezza della Palestina. E in realtà non hanno danneggiato soltanto la Palestina, ma anche loro stessi. Come scrisse un poeta arabo cristiano:

“Se perderete la Palestina, la vostra vita sarà solo un lungo dolore”

Trentadue anni di vita miserevoli sono trascorsi in questo modo, ma all’improvviso la mano potente di Dio cambiò la situazione. La vittoria della Rivoluzione Islamica dell’Iran nel 1979 mutò completamente le condizioni della regione ed aprì una nuova pagina. Tra gli sbalorditivi effetti globali di questa Rivoluzione e i colpi inferti ai progetti dell’Arroganza, quello al governo sionista fu chiaro e immediato. Le dichiarazioni dei dirigenti di quel regime durante quei giorni sono interessanti da leggere e mostrano quanto fossero afflitti e angosciati. Durante le prime settimane dopo la vittoria, l’ambasciata israeliana a Tehran venne chiusa e il personale espulso. La sede diplomatica venne ufficialmente concessa all’OLP, i cui rappresentanti sono lì ancora oggi. Il nostro grande Imam (Khomeyni, n.d.t.) affermò che uno degli obiettivi della Rivoluzione era liberare la Palestina e rimuovere il tumore cancerogeno, Israele. Le potenti onde di questa Rivoluzione, che a quel tempo si diffondevano in tutto il mondo, trasmisero questo messaggio ovunque giunsero: “La Palestina deve essere liberata”. Anche i ripetuti e grandi problemi che i nemici della Rivoluzione imposero all’Iran Islamico fallirono nello scoraggiare la Repubblica Islamica dal difendere la Palestina. Un esempio dei problemi causati fu la guerra di otto anni imposta all’Iran da Saddam Hussein, il quale era stato aizzato dagli USA e dall’Inghilterra e supportato dai governi arabi reazionari.

Quindi nuovo sangue venne iniettato nella vene della Palestina. Gruppi combattenti (mujahidin) iniziarono ad emergere. La Resistenza libanese costituì un nuovo e potente fronte di lotta contro il nemico ed i suoi sostenitori. Invece di affidarsi ai governi arabi e cercare l’aiuto delle organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, complici delle potenze arroganti, la Palestina iniziò a porre fiducia in sè stessa, nei suoi giovani, nella sua profonda fede islamica e nei suoi uomini e donne pronti al sacrificio. Questa è la chiave di tutti i successi!

Negli ultimi tre decenni si è visto questo fronte crescere quotidianamente. L’umiliante sconfitta del regime sionista in Libano nel 2006, il cuocente fallimento dell’arrogante esercito sionista a Gaza nel 2008, la fuga del regime sionista dal sud del Libano e il ritiro da Gaza, la formazione di un governo resistente a Gaza e, in breve, la trasformazione della nazione palestinese da un gruppo di persone prive di speranza e aiuto in una nazione fiduciosa, speranzosa e resistente: sono queste le caratteristiche eminenti degli ultimi trenta anni.

Questo specchio generale verrà rischiarato qualora i tentativi di compromesso e tradimento – il cui obiettivo è di fiaccare la Resistenza e ottenere il riconoscimento di Israele da parte dei gruppi palestinesi e dei governi arabi – verranno riflessi nel modo appropriato.

Questa tendenza, iniziata con gli accordi di Camp David dal traditore e indegno successore di Gamal Abdul Nasser, ha sempre avuto come obiettivo quello di corrodere l’inflessibile determinazione delle forze della Resistenza. Fu durante gli accordi di Camp David che per la prima volta un governo arabo riconosceva ufficialmente che le terre palestinesi appartenevano ai sionisti e venne firmato un documento secondo il quale la Palestina veniva riconosciuta come patria dei giudei.

Da allora fino agli accordi di Oslo nel 1993, e poi con gli accordi aggiuntivi – che vennero imposti uno dopo l’altro ai gruppi collaborazionisti e passivi palestinesi con l’intervento americano e la cooperazione dei governi colonialisti europei –, il nemico fece del suo meglio per scoraggiare nazione palestinese e i gruppi palestinesi dal resistere, attraverso l’utilizzo di vuote e ingannevoli promesse e con il tenerli occupati tramite i ‘giochi’ della politica. L’inutilità di tutti questi accordi venne rivelata molto presto, ed inoltre i sionisti ed i loro sostenitori mostrarono ripetutamente che li consideravano come pezzi di carta privi di valore. L’obiettivo di questi piani era quello di instillare il dubbio tra i palestinesi, rendere ingorde le persone prive di fede e materialiste e frenare la Resistenza islamica.

Lo spirito della Resistenza tra i gruppi islamici palestinesi e il popolo palestinese è stato l’antitodo a tutti questi trucchi traditori. Essi si sollevarono contro il nemico con il permesso di Dio e beneficiarono dell’assistenza divina: “Allah verrà in aiuto a coloro che sostengono [la Sua religione]. In verità, Allah è Forte e Possente” (Sura al-Hajj, 40). La Resistenza di Gaza, nonostante l’assedio totale, è stata un esempio dell’aiuto divino. Il crollo del governo corrotto e traditore di Hosni Mubarak è stato un aiuto divino. L’emergere di un’onda potente di Risveglio Islamico nella regione è un aiuto divino. La rimozione della maschera di ipocrisia dal volto dell’America, dell’Inghilterra e della Francia e l’aumento dell’odio delle nazioni della regione verso questi paesi è un aiuto divino. I ripetuti e innumerevoli problemi del regime sionista – da quelli politici, economici e sociali interni all’isolamento internazionale e l’odio diffuso, e persino il boicottaggio delle sue università in Europa, sono tutti segni dell’aiuto divino.

Oggi più che mai il regime sionista è odiato, indebolito e isolato, e il suo principale sostenitore, gli Stati Uniti d’America, è più impantanato e smarrito di sempre.

La storia della Palestina negli ultimi sessanta anni è oggi dinnanzi ai nostri occhi. E’ necessario delineare il futuro considerando questa storia e traendo lezioni da essa.

Due punti devono essere inizialmente chiariti. Il primo punto è che il nostro obiettivo è la liberazione dell’intera Palestina, non di una sua parte. Ogni piano che punta a dividere la Palestina è totalmente inaccettabile. L’idea dei due Stati, camuffata ad arte con l’abito del “riconoscimento del governo palestinese come membro delle Nazioni Unite”, non è altro che accettare la volontà dei sionisti – ovvero riconoscere il regime sionista sulle terre palestinesi. Questo significa calpestare i diritti della nazione palestinese, ignorare il diritto storico dei suoi profughi e inoltre minacciare il diritto dei palestinesi residenti nelle terre occupate nel 1948. Significa lasciare intatto il tumore cancerogeno e esporre l’Ummah Islamica – specialmente le nazioni della regione – ad un pericolo costante. Significa la ripetizione di decenni di sofferenze e calpestare il sangue dei martiri.

Ogni soluzione deve essere basata sul principio: “tutta la Palestina per tutto il popolo palestinese”. La Palestina è la terra che si estende dal fiume al mare(fiume giordano,mar mediterraneo ndt) non un centrimetro in più, nè un centimetro in meno. Proprio come a Gaza, ogni terra palestinese che verrà liberata dovrà essere amministrata da un governo palestinese indipendente, ma non bisogna mai ovviamente dimenticare quale è l’obiettivo finale.

Il secondo punto è che per raggiungere questo nobile obiettivo, ciò che è necessario è l’azione, non le parole. Bisogna essere seri, non limitarsi a gesti da palcoscenico. E’ necessario avere pazienza e saggezza, non intraprendere azioni affrettate. E’ necessario considerare l’ampio orizzonte e muoversi verso di esso, passo dopo passo, con determinazione, speranza e affidandosi a Dio. Ogni governo, ogni nazione musulmana e ogni gruppo della Resistenza, in Palestina, in Libano e negli altri paesi, può trovare il proprio ruolo e parte in questa lotta collettiva e il proprio posto nello scacchiere della Resistenza, con il permesso di Dio.

La soluzione che propone la Repubblica Islamica dell’Iran per risolvere la questione della Palestina e per rimarginare questa vecchia ferita, è una proposta chiara e logica, basata sulla saggezza politica. Questa soluzione è accettata dall’opinione pubblica mondiale ed è stata presentata nel dettaglio precedentemente.

Noi non proponiamo nè la guerra classica con gli eserciti dei paesi islamici, nè di gettare in mare gli immigrati ebrei, nè l’intervento delle Nazioni Unite o di altre organizzazioni internazionali. Noi proponiamo un referendum tra il popolo palestinese. Come ogni altra nazione, anche il popolo palestinese ha il diritto di determinare il suo futuro ed eleggere il proprio governo. Tutte le genti originarie della Palestina – musulmani, cristiani ed ebrei [autoctoni], ma non gli immigrati – devono prendere parte ad un referendum ordinato e generale, onde determinare il futuro governo della Palestina, che esse vivano in Palestina, nei campi profughi o in ogni altro luogo. Il governo che verrà stabilito successivamente al referendum deciderà il destino dei immigrati non-palestinesi trasferitisi negli anni in Palestina. Questa è una proposta giusta e ragionevole, che può esser compresa da tutti, e può ricevere il supporto dai governi e dai popoli indipendenti.

Ovviamente non ci aspettiamo che gli usurpatori sionisti accettino questa proposta, ed è qui che diventa importante il ruolo di governi, popoli ed organizzazioni della Resistenza. Il più importante supporto alla nazione palestinese è fermare il sostegno al nemico usurpatore: questo è il grande dovere dei governi musulmani. Dopo che i popoli musulmani sono scesi in piazza e hanno urlato slogan contro il regime sionista, su quale base logica i loro governi persistono nel continuare le loro relazioni con il regime usurpatore sionista? La prova dell’onestà dei governi musulmani è legata al loro sostegno alla nazione palestinese ed alla loro decisione di interrompere le relazioni politiche ed economiche, pubbliche o segrete, con il regime sionista. I governi che ospitano ambasciate o uffici economici sionisti non possono affermare di difendere la Palestina, e nessuno slogan anti-sionista da parte loro sarà considerato serio e sincero.

Le organizzazioni della Resistenza islamica, che si sono assunte il pesante dovere del Jihad negli anni scorsi, hanno oggi la stessa identica grande responsabilità. La loro Resistenza organizzata è un sostegno attivo che può aiutare il popolo palestinese a muoversi verso l’obiettivo finale. La coraggiosa Resistenza da parte di un popolo le cui case e le cui terre sono state occupate, è stata riconosciuta ed elogiata da tutti gli accordi internazionali Le accuse di terrorismo da parte delle reti politiche e mediatiche affiliate al sionismo sono strali falsi e privi di valore. I veri terroristi sono il regime sionista e i suoi sostenitori occidentali. La Resistenza palestinese è un movimento contro i brutali terroristi ed è un movimento umano e sacro.

Viste le attuali condizioni, è appropriato che i paesi occidentali valutino la situazione da una prospettiva realistica. Oggi l’Occidente è a un bivio. O rinuncia all’arroganza, riconosce il diritto del popolo palestinese e rifiuta di seguire il piano dei sionisti nemici dell’umanità, o dovrà attendersi duri colpi in un futuro non troppo distante. Questi colpi paralizzanti non sono limitati al continuo crollo dei loro governi fantoccio nella regione islamica. Il giorno in cui i popoli degli USA e dell’Europa comprenderanno che la maggior parte dei loro problemi economici, sociali ed etici sono il frutto dell’egemonia della piovra del sionismo internazionale sui loro governi – e che i loro governanti, per proteggere i loro interessi personali e di partito, obbediscono e si sono arresi all’arroganza dei sionisti parassiti, proprietari di compagnie(trusts,multinazionali ndt) in USA ed Europa – ci sarà per loro un vero inferno dal quale non potranno più uscire.

Il Presidente degli Stati Uniti ha affermato che la sicurezza di Israele è la sua linea rossa. Ma chi ha tracciato questa linea rossa? Gli interessi nazionali statunitensi oppure la necessità personale di Obama di ricevere i soldi ed il supporto delle compagnie sioniste per assicurarsi il secondo mandato come Presidente USA? Quanto pensi ancora di ingannare la tua stessa nazione? Cosa farà di te il popolo statunitense il giorno in cui comprenderà che hai accettato l’umiliazione e l’obbedienza alla plutocrazia sionista per rimanere al potere qualche giorno in più? Cosa farà di te quando comprenderà che hai sacrificato gli interessi di una grande nazione ai piedi dei sionisti?

Cari fratelli e sorelle, sappiate che questa linea rossa tracciata da Obama e da gente come lui verrà infranta dai popoli musulmani che si sono sollevati. Ciò che minaccia il regime sionista non sono i missili dell’Iran o dei gruppi della Resistenza, così da costruire scudi anti-missile qua o là onde neutralizzarli. La reale e inevitabile minaccia è la ferma determinazione di uomini, donne e giovani nei paesi islamici che non vogliono che gli Stati Uniti, l’Europa e i loro governi fantoccio li governino ed umilino ancora.

Ma ovviamente questi missili, dove ci sarà una minaccia dei nemici, svolgeranno pienamente il loro dovere.

“Sopporta dunque con pazienza. La promessa di Allah è veritiera e non ti umilino coloro che non hanno certezza.” (Sura ar-Rum, 60)

Wa salam ‘alaykum wa rahmatullah

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia:

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10- Il Centro della Comunicazione Palestinaù

11-Un Sguardo alla storia di Palestina e la visione dell’Imam Khomein

12- Sahifa Imam Khomeini

13- Governo Islamico , Imam Khomeini

14- La storia della Palestina, Akram Zaitar

15- La nuova storiadella Palestina, Abdolvahab

16- Battaglia per la Palestina, Abdolrahman Sadryah

17- La storia del Gerusalemme, Seyed Jafar Shahidi

18- La storia del antica Quds, Sami Said Al Ahmad

19- La storia Contemporanea dei paesi Arabi

20- Sheykh Abbas Qomi

21- Giornale Hamshahri, ottobre 04.10.2007, 24.08.2008, 04.12.2008, 18.01.2009, 06.12.2008, 11.03.2009, 05.2007, 03.04.2009, 17.06.2007, 01.10.2007, 30.09.2011

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A cura di:

Associazione Islamica Imam Mahdi (aj)