Venti di Guerra in Ucraina. Intervista a Fulvio Grimaldi

InfoPal. Di Lorenzo Poli. Fulvio Grimaldi è giornalista, documentarista ed attivista politico. Grande esperto di America Latina ha documentato per anni i processi politici popolari, la Rivoluzione Cubana, la Rivoluzione Sandinista in Nicaragua, i colpi di Stato fascisti e più recentemente la Rivoluzione Bolivariana in Venezuela, denunciando fortemente la presenza dell’imperialismo USA e i suoi intenti di destabilizzazione militare contro Paesi che hanno proposto un’alternativa al capitalismo globale. Grande esperto di Medioriente, come inviato di guerra ha raccontato la Siria di Assad, l’Iran degli ayatollah, l’Iraq di Saddam Hussein e il loro continuo stato d’eccezione dato dall’imperialismo americano. Centrale è stata per lui la questione palestinese di cui ha sempre raccontato le nefandezze perpetrate da Israele. Un volto noto della controinformazione alternativa che per InfoPal ha rilasciato un’intervista sui venti di guerra imperialista in Ucraina.

Breve flashback, in che situazione politica si è travata l’Ucraina nel 2014?

F.G. Nel 2014 L’Ucraina, ultimo paese dell’ex-Patto di Varsavia non ancora membro della NATO, aveva per presidente Victor Yushchenko, un politico che coltivava buoni rapporti con la Russia, basati su una forte complementarietà sul piano economico e sulla lunga convivenza tra Ucraina e Russia, di cui l’Ucraina, tra l’altro mezza russofona, era stata la prima entità costitutiva. Ciò non impediva a Yushchenko di avere buone relazioni anche con l’UE, in tal modo che il paese costituisse un cuscinetto di neutralità e di collaborazione tra le due realtà geopolitiche. Questo, a dispetto della costante spinta anglosassone alla contrapposizione con la Russia di Putin, specie dopo l’esaurimento della cosiddetta coesistenza e, poi, della prostrazione della Russia di Eltsin ai piedi dell’Occidente in generale e degli USA in particolare.

Di questa spinta si era fatto acceleratore il presidente Barack Obama, sostenuto e sollecitato in tale direzione dall’angelo delle sette guerre e dei vari colpi di Stato e delle rivoluzioni colorate, Hillary Clinton. Una volta che gli USA di Killary e Obama si erano accertati dell’opposizione del governo democratico a una rottura con Mosca e a un ravvicinamento all’UE e, implicitamente, alla NATO, decisero per un cambio di regime da imporre con le maniere forti.

Il colpo di Stato lanciato a partire da piazza Maidan, con la mobilitazione di una folla anti-russa e pesantemente infiltrata da elementi nazisti, e il decisivo intervento di cecchini importati da altri paesi asiatici, impegnati a sparare sia sui manifestanti che sulle forze dell’Ordine (come prima in Libia e Siria), produsse il successo dell’operazione Yankee e la fuga di Yushcenko.

La sottosegretaria al Dipartimento di Stato, Victoria Nuland, altro falco dell’interventismo statunitense, si adoperò perché i governi scaturiti dal golpe fossero, in successione, delle mere espressioni del controllo di Washington sugli sviluppi ulteriori. Sviluppi davvero funesti per il paese, immediatamente visibili nell’assalto delle bande armate naziste (poi costituitesi in battaglioni, come il famigerato “Azov”, e incorporate nella Guardia Nazionale Ucraina, punta di diamante delle forze armate) alle regioni russofone nell’Est del paese, centro produttivo industriale, vitale per l’economia nazionale. Le popolazioni russofone di quelle regioni rifiutavano sia il colpo di Stato etero-diretto, sia il tentativo di far assumere all’Ucraina il ruolo di avamposto UE-USA-NATO contro la Russia. In seguito si costituirono in repubbliche autonome e furono vittime di una costante e spietata aggressività militare da parte di Kiev.

Al colpo di Stato seguì, oltrechè il rifiuto di queste due entità, Lugansk e Donetsk, la reintegrazione da parte di Mosca della sua più grande base navale in Crimea, sostenuta da un referendum in cui oltre il 90% della popolazione votò per il suo rientro in Russia. Particolarmente feroce fu la repressione dei golpisti a Odessa nei confronti di chi si opponeva al cambio golpista dei vertici nazionali: centinaia di persone furono bruciate vive, o abbattute, quando si erano rifugiate nel palazzo dei sindacati.

Oggi cosa sta accadendo? Le forze occidentali stanno fomentando il nazionalismo ucraino nella speranza di provocare una reazione russa?

F.G. Del nazionalismo ucraino non gliene importa nulla. Già sono andati oltre, promuovendo il neonazismo politico-militare e facendone il pilastro dello Stato e dell’aggressione alle libere repubbliche del Donbass. Qualunque cosa facciano USA-Nato e rispettivi sguatteri, la Russia non reagirà entrando ufficialmente in Ucraina. Ne ha ripetutamente garantito l’integrità territoriale, chiedendo solo che alle repubbliche libere del Donbass sia assicurata l’autonomia all’interno dello Stato. Eventualmente, se le repubbliche popolari di Lugansk e Donetsk venissero attaccate in forza, Mosca fornirebbe aiuti. L’unico vero pericolo è che USA e Nato si inventino una False Flag da attribuire ai russi. C’è sempre un qualche demente neocon, o nazista ucraino, che si proverebbe a innescare l’armagheddon.

Cosa sta succedendo ora sul piano militare? Cosa ci fanno le truppe Nato nelle repubbliche baltiche e in Polonia? 

F.G. Le truppe Nato, comprese le italiane, eredi di quelle cui il ministro della Difesa Sergio Mattarella ordinò nel 1999 di bombardare la Serbia con missili all’uranio e bombe a grappolo, svolgono da tempo esercitazioni congiunte nei tre paesi baltici e in Polonia. Indipendentemente dal fatto che un qualche fuori di testa in quel contesto, potrebbe sempre, per accidente o intenzione, provocare un guaio che diventi un innesco, a mio parere questa continua pressione militare sulla Russia lungo i suoi confini serve a dimostrare queste cose:

  1. Che c’è una minaccia e che dunque la Nato serve, anche se reduce da molti fallimenti totali o parziali, e va rilegittimata.
  2. Che ne vengano incoraggiate le forze dissidenti all’interno della Russia, tra cui in prima fila oligarchi ansiosi di unirsi ai compari occidentali nella predazione di risorse nel proprio paese o altrove, sviluppando un neoliberismo di rapina, alla maniera del colonialismo globalista.
  3.  Nel caso di una rivoluzione “colorata” che adotti azioni armate mimetizzate (tipo Libia, Siria, Libano, Kazakistan, Iran, Myanmar ecc.) e debba venire perciò repressa duramente dallo Stato russo, si possa provocare propagandisticamente uno sdegno dell’opinione pubblica tale (diritti umani!), da giustificare un intervento (sanzioni, o anche bombardamenti)
  4. Una costante presenza di truppe ed esibizione di forza mantiene al guinzaglio le società governate malamente da fantocci dell’imperialismo.
  5. Ogni impegno militare comporta spese e la crescita esponenziale dei profitti del complesso militar-industriale, componente oggi, insieme a Big Pharma e alle grandi piattaforme dell’architettura, su cui si reggono gli USA.

Qual è il ruolo della Russia di Putin in questo conflitto? 

F.G. Il ruolo assegnatosi da Putin e dalla Russia è quello del contenimento e della saggezza di fronte agli irresponsabili movimenti aggressivi di Nato e Usa, che, per fortuna, essendo talmente demenziali, hanno provocato una salutare spaccatura nel campo occidentale, con Francia e Germania che non intendono farsi campo di battaglia a favore degli USA e dei suoi produttori di idrocarburi da scisti. Le propose razionali e pacifiste di Putin sono tutte racchiuse nella proposta di un Trattato di pace, ovviamente respinto sia dal segretario della NATO, Stoltenberg, sia da Biden.

I media, per legittimare intervento armato, puntano i riflettori sull’invasione russa. Eppure le vere motivazioni di un futuro intervento sono economiche… 

F.G. Fortemente economiche, ma non solo. In gioco sono le forniture di energia per le quali gli USA vorrebbero ridurre il gas russo (North Stream 2) alla Germania e all’Europa a favore del proprio costosissimo gas ottenuto col micidiale metodo anti-ecologico del fracking, e garantirsi dei vantaggi sulle ricchezze dell’Artico i cui ghiacci si vanno sciogliendo. I globalisti, però, puntano al dominio assoluto sul mondo e, per questo, devono sventare l’incubo di un naturale, fisiologico, rapporto euroasiatico, tra Europa e Russia. Significherebbe il proprio isolamento e la fine del progetto egemonico unipolare.

Nel frattempo le milizie neonaziste ucraine si stanno ricompattando contro la Resistenza antifascista delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk. Quale è la situazione in Donbass?

F.G. I democratici anti-golpisti e antinazisti del Donbass subiscono un martirio ininterrotto dagli attacchi delle milizie ucraine armate da Usa e Nato e sostenute dagli Stati vassalli baltici e dalla Polonia. Ma non cedono, conoscono bene la posta in palio. Un regime come quello di Kiev e i suoi padrini occidentali non conoscono scrupoli nei propositi di dominio, fosse anche al prezzo di stermini.

Cosa è “Pravy Sektor” e che ruolo ha nel primo battaglione delle forze armate dell’Ucraina? 

F. G. Privy Sector è presente in Ucraina, insieme ad altre formazioni naziste antirusse, fin da anni prima del colpo di Stato di Obama-Hillary Clinton nel 2014. La sua partecipazione al colpo di Stato con cecchini che, insieme a jihadisti importati dalla Cecenia e dal Medioriente, sparavano contro polizia e manifestanti (esattamente come in Libia e Siria), svolgeva un mandato assegnatogli da CIA, NED, Nato e servizi occidentali vari, alla stregua di quanto era stato il ruolo di Gladio – Stay Behind in Italia.

In Italia, quali posizioni hanno le forze politiche su un futuro intervento in Ucraina?

F. G. In Italia non ci sono posizioni autonome elaborate dalle forze politiche. C’è totale subordinazione alla Nato e al comandante in capo a Washington. Dopo l’inversione di marcia del M5S, non esiste la benchè minima forza politica rappresentativa che abbia elaborato una propria politica autonoma e sovrana. Semmai sono gruppi industriali impegnati nell’export che frenano sull’aggressione e sulle sanzioni occidentali per motivi puramente economici. E anche in larga parte della popolazione, già terrorizzata e annientata politicamente e culturalmente dall’operazione Covid, non esiste più l’antica coscienza internazionalista che si mobilitava contro le incessanti guerre Usa e Nato.

L’Italia è l’importantissimo laboratorio per l’affermazione della dittatura bio-psico-digital-tecnocratica. Ma, a dispetto della sua posizione strategica nel Mediterraneo, crocevia tra Nord e Sud, Est e Ovest, geopoliticamente, dopo Aldo Moro (per questo tolto di mezzo), conta meno del Kosovo. L’avete vista invitata in alcuno dei numerosi incontri, convegni, vertici, relativi alla crisi ucraina, o ai rapporti con la Russia?