Vermi, insetti, topi infestano le celle dei detenuti palestinesi

-1621200822Nablus-PIC. Le celle destinate ai detenuti in isolamento non sono molto più grandi di 2,5 metri² ognuna; i loro muri sono grigi e simboleggiano le oppressioni che i prigionieri devono affrontare e alle quali cercano di resistere. Queste celle comprendono, al loro interno, anche lo spazio di un bagno. Qui non si può avere spazio per camminare o per muoversi. Il sole non entra e le celle sono estremamente umide, rendendo la vita dei prigionieri ancora più miserabile.

Le celle di isolamento sembrano delle tombe ed hanno lo scopo di far provare alle persone cosa significhi la morte, molte volte ogni giorno, senza nessun rispetto per la loro umanità, tuttavia i Palestinesi amanti della libertà inventano metodi insoliti per vincere “l’oppressione” a cui sono sottoposti in questi luoghi.

Il periodo degli interrogatori dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane viene considerato il più difficile di tutta la detenzione. Prima di essere spostati nel carcere vero e proprio, di solito i prigionieri vengono messi in celle di isolamento per lunghi periodo.

L’osservazione dei vermi

L’ex-detenuto Mahmoud Awabdi, di Nablus, che ha trascorso 50 giorni in isolamento nel centro per gli interrogatori di Pitah Tikvah, ha raccontato che dopo aver eseguito le sue preghiere, ha fatto marcire di proposito una pera che gli era stata portata da una delle persone che lo interrogava, chiamato Nasim.

Ha riferito all’inviato di PIC: “Ho messo la pera da parte fino a quando è marcita, ed i vermi hanno iniziato ad uscirne fuori. Dopodiché, ho messo i vermi sul palmo della mia mano ed ho iniziato ad osservarli mentre si muovevano, e verso quale direzione si stavano dirigendo. Poi li ho rimessi all’interno della pera per tenerli in vita. Ho continuato ad osservarli per ridurre la pressione psicologica alla quale venivo sottoposto per il fatto di trovarmi in isolamento, dove ho passato 50 giorni consecutivamente, prima di essere spostato nel carcere di Megiddo quando gli interrogatori sono terminati”.

Ha aggiunto, “Durante il difficile periodo degli interrogatori, i prigionieri cercano qualsiasi cosa per tenersi occupati, perché sono isolati dal mondo esterno e non sanno quel che sta accadendo fuori. Il periodo degli interrogatori è duro e decide il futuro dei prigionieri. Se non confessano, vengono rilasciati, ma se invece confessano vengono solitamente condannati a molti anni di carcere”.

L’osservazione delle mosche

Il detenuto palestinese, ora rilasciato, Wajih Barakat, di Huwara, vicino a Nablus, racconta che ha usufruito dell’arrivo di una mosca nella sua cella durante il periodo di interrogatori nel carcere di al-Jalame. Ha cominciato ad osservare la mosca, ispezionando i suoi movimenti e dandole marmellata di albicocche in modo che non se ne andasse via. Ha trascorso un periodo di due mesi per gli interrogatori durante i quali è stato accusato di essere coinvolto nella resistenza all’occupazione israeliana.

Parlando a proposito di altri metodi utilizzati per ridurre l’impatto negativo sul suo isolamento, ha detto all’inviato di PIC: “Ovviamente ricordare Dio e compiere le preghiere erano i mezzi più importanti. Ho utilizzato le preghiere per poter valutare l’orario dato che i prigionieri perdono il senso del tempo e dello spazio all’interno delle celle di isolamento, e non si sente nessuna chiamata alla preghiera da lì, eccetto alcune carceri nelle quali il tempo della preghiera si può sapere dalla TV”.

Secondo Barakat, mettere i prigionieri in isolamento ha obiettivi di sicurezza e psicologici, dato che le autorità dell’occupazione israeliana, assieme alle persone che effettuano gli interrogatori, vogliono fare pressione sui prigionieri per costringerli a confessare, oltre che farli soffrire di problemi psicologici; “ma compiere le preghiere e tenersi occupati è l’unico modo per riuscire a superare questo periodo, che viene considerato il più duro”.

I topi condividono il cibo coi detenuti

Al centro di detenzione di Huwara, nel sud di Nablus, i topi condividono il cibo dei prigionieri. L’ex-detenuto Tamer Sawalaha, della città di Ourta, nella provincia di Nablus, dice che i topi entrano nelle celle da sotto la porta e cercano i resti dei pasti e a volte, quando i secondini lasciano i piatti all’esterno delle porte delle celle, i topi vengono e mangiano direttamente da quelli.

Sawalaha ha raccontato al reporter di PIC che il centro di detenzione si rifiuta di risolvere il problema dei topi all’interno delle celle, affermando che il veleno che sarebbe necessario non è disponibile.

Traduzione di Aisha Tiziana Bravi