“Violentato con una scopa”. Il Washington Post racconta il trattamento straziante dei prigionieri palestinesi

Palestinechronicle. Di Romana Rubeo. I prigionieri palestinesi sono soggetti ad una “violenza incontrollata” e a “privazioni nel sistema carcerario israeliano”, ha denunciato il Washington Post in un’inchiesta pubblicata in questi giorni.

Il quotidiano ha intervistato 11 ex-detenuti e sei avvocati, “ha esaminato i verbali del tribunale e ha esaminato i referti delle autopsie, rivelando violenza incontrollata, a volte letale, e privazioni da parte delle autorità carcerarie israeliane”.

Secondo quanto pubblicato nell’articolo, “i dettagli delle morti dei prigionieri sono stati raccontati da testimoni oculari e corroborati dai dottori di Physicians for Human Rights Israel (PHRI)”.

Sovraffollamento.

L’inchiesta cita Jessica Montell, direttrice esecutiva del gruppo israeliano per i diritti umani HaMoked, che afferma che il sistema è “estremamente sovraffollato” e che “la violenza è dilagante”.

Anche il capo dell’intelligence israeliana Ronen Bar ha avvertito, in una lettera del 26 giugno inviata alle autorità carcerarie, che “le condizioni nelle carceri del paese potrebbero portare a più azioni legali internazionali”, poiché “il sistema carcerario, costruito per 14.500 detenuti, ne ospitava 21.000 (…) senza includere circa 2.500 detenuti provenienti da Gaza”.

Il ministro della sicurezza nazionale israeliano di estrema destra, Itamar Ben-Gvir, ha risposto in un post su X alla lettera di Bar affermando che “la soluzione al sovraffollamento delle carceri potrebbe essere la pena di morte”, ha osservato il rapporto del Washington Post.

Uno dei prigionieri intervistati dal quotidiano statunitense ha riferito che Abdulrahman Bahash, un detenuto palestinese di 23 anni, è stato picchiato a morte dalle guardie israeliane nella prigione di Megiddo.

“Le guardie ci hanno attaccato ‘in modo assurdo’, ha raccontato il prigioniero. ‘Hanno usato i manganelli, ci hanno preso a calci… su tutto il corpo’”, ha continuato.

“Bahash è tornato con profonde contusioni, lamentandosi che le sue costole potessero essere rotte. Quando ha cercato assistenza medica, ha riferito il suo compagno di carcere, è stato rimandato indietro con Acemol, un semplice antidolorifico”, ha continuato il rapporto, notando che “Bahash è morto circa tre settimane dopo, il 1° gennaio”.

Secondo il Washington Post, un rapporto del medico Daniel Solomon del PHRI “ha rivelato segni di lesioni traumatiche al lato destro del torace e a quello sinistro dell’addome, causando fratture multiple alle costole e lesioni alla milza, probabilmente a seguito di un’aggressione”.

Negligenza medica.

“Segnalazioni di assistenza medica negata sono numerose nelle testimonianze degli ex-prigionieri”, ha osservato il Post.

Muhammed al-Sabbar, 21 anni, è stato arrestato dalle forze di occupazione israeliane per un post pubblicato sui social media.

“Soffriva fin dall’infanzia della malattia di Hirschsprung, una condizione che causa gravi e dolorose ostruzioni intestinali. Aveva bisogno di una dieta speciale e di farmaci”, riferisce l’inchiesta giornalistica.

Tuttavia, lo stomaco di Sabbar ha iniziato a gonfiarsi ad ottobre “dopo che gli sono stati negati i farmaci”. Sabbar è deceduto il 28 febbraio e la sua morte “avrebbe potuto essere evitata se la sua condizione cronica fosse stata curata correttamente, secondo (il dott. Danny) Rosin del PHRI, che ha assistito alla sua autopsia”.

Violentato con una scopa.

Secondo il rapporto, tutti gli ex-prigionieri “hanno affermato di aver perso peso in modo significativo in carcere, dalle 30 alle 50 libbre”.

“Il giornalista Moath Amarneh, 37 anni, imprigionato per sei mesi a Megiddo dopo aver filmato le dimostrazioni in Cisgiordania, ha detto che la sua cella adatta per sei persone ne ospitava fino a 15 durante la sua permanenza”, ha riportato il Post.

Secondo Amarneh, “i detenuti condividevano un piatto di verdure e yogurt per colazione. Per pranzo, ogni prigioniero riceveva mezza tazza di riso e la cella, indipendentemente dal numero di uomini che vi erano dentro, si divideva un piatto di pomodori a fette o cavolo”.

Ben-Gvir ha rivendicato con fervore l’introduzione della politica della fame, affermando che stava lavorando per “peggiorare le condizioni” dei prigionieri di massima sicurezza per “creare deterrenza”.

Muazzat Obayat, 37 anni, era un culturista amatoriale e ha raccontato di aver perso “più di 100 libbre in nove mesi” durante la detenzione israeliana.

“Sussurrava mentre descriveva una guardia che lo aveva aggredito sessualmente con una scopa”, riferisce l’inchiesta, aggiungendo che Obayat ha detto: “È Guantanamo”.

Palestinesi e gruppi per i diritti umani hanno documentato abusi diffusi all’interno delle prigioni israeliane anche prima che Israele lanciasse la sua guerra genocida a Gaza circa 10 mesi fa.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi