Vita in un limbo per i palestinesi a cui Israele rifiuta un documento d’identità

290315_ash_00_11EI. Di Isra Saleh el-Namey. Per Reem Hajjaj è quasi impossibile partecipare a un corso di specializzazione in medicina fuori dalla Striscia di Gaza. Diversamente dai suoi colleghi all’Università islamica della Scuola di Medicina di Gaza, lei non possiede una carta d’identità dell’Autorità palestinese (Anp).

Hajjaj racconta che questa situazione ha mandato a monte molti suoi progetti.
La studentessa palestinese al quinto anno di medicina arrivò a Gaza con la sua famiglia, dall’Arabia Saudita, nel 2006. Il permesso turistico scadde prima del loro rientro, pertanto la famiglia rimase dimenticata a Gaza, impossibilitata a ripartire senza i documenti richiesti.

La facoltà di medicina dell’Università islamica è coordinata con facoltà di altri Paesi, tra i quali Gran Bretagna, Malesia e Giordania, per consentire ai suoi studenti di partecipare a corsi a scelta di 2 mesi all’estero.
Ma questo è un sogno irrealizzabile per Hajjaj.
«Tutto per un pezzo di carta», ci dice.

Non poter viaggiare a visitare i luoghi sacri di Palestina – Israele vieta il movimento di palestinesi anche tra Cisgiordania e Striscia di Gaza – getta i genitori di Hajjaj nello sconforto.
«Siamo privati del nostro diritto di movimento. Siamo bloccati qui quasi come condannati a vita», dice Adel, il padre di Hajjaj.
Diaa Muhammad nacque a Gaza ma è vissuta in Kuwait quasi 30 anni, dove si sposò. Né lei né i suoi quattro figli possiedono un documento d’identità.

La 67enne deve affrontare molte avversità quando necessita di cure mediche pubbliche.
«Devo utilizzare la carta d’identità di mia sorella per poter accesso ai servizi di assistenza medica. Quando mia sorella avrà bisogno a sua volta di cure, le cose precipiteranno».
Diaa ha bisogno di andare all’estero per le cure specializzate di cui necessita all’occhio destro, non disponibili a Gaza. Ma non possiede una carta d’identità o un passaporto che le consentano di passare il confine.
«Mi hanno consigliato di farmi operare in Giordania, ma sarà impossibile, non possiamo muoverci di qui», ci dice.

La responsabilità di Israele

Secondo Nasser Sarraj, il viceministro delle questioni civili a Gaza, Hajjaj e Diaa sono solo 2 dei 40 o 50 mila casi di palestinesi di Gaza privi di documento d’identità o di qualsiasi documento ufficiale riconosciuto da Israele, che controlla i registri della popolazione.
«Questa situazione è il risultato delle politiche israeliane, ed è responsabilità di Israele far sì che le cose cambino», ci spiega.
Sebbene sia l’Anp a rilasciare i documenti d’identità, è Israele a decidere chi approvare e chi no.
Il problema risale alla guerra del 1967, quando centinaia di migliaia di palestinesi fuggirono dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania. Israele allora cancellò i loro nomi dai registri civili, privandoli del loro diritto di risiedere nei territori appena occupati dal suo esercito.

In base agli accordi di Oslo firmati da Israele e dall’Organizzazione per l’organizzazione della Palestina alla metà degli anni Novanta, Israele avrebbe demandato la responsabilità per le questioni civili e sociali alla neonata Ap – ma solo a condizione di poter porre il proprio veto su tutte le decisioni prese dall’Anp.
Dopo l’esplosione della seconda intifada palestinese, nel settembre 2000, Israele rifiutò di riconoscere qualsiasi cambiamento fatto nei registri civili dall’Anp.

«La parte israeliana non rispose più a nessuna richiesta di ricongiungimento presentata da espatriati palestinesi, e smise di rilasciare loro documenti d’identità», dice Serraj.
A un palestinese privo di carta d’identità è permesso richiedere il ricongiungimento familiare solo se uno dei suoi genitori è provvisto di documento d’identità. Ma quel meccanismo è congelato da Israele da anni.
Sarraj dice che il suo ufficio ha ricevuto più di 5000 richieste di carte d’identità, ma che non ne è stata rilasciata nessuna.

Insopportabile

Non possedere una carta d’identità ha bloccato la carriera dell’artista Dima Shashaa.
«Ho dovuto rinunciare a opportunità di lavoro nei Paesi del Golfo perché non possiedo un passaporto o un documento che mi permetta di viaggiare», ci dice.
La famiglia di Shashaa venne a Gaza nel 1994, dove si trova tuttora bloccata.
Lei non può ricevere transazioni dai suoi clienti internazionali che acquistano i suoi lavori online.
La richiesta di ricongiungimento della sua famiglia è stata congelata come quella di moltissimi altri palestinesi.
«Con il tempo abbiamo tutti perso ogni speranza di ottenere mai una carta d’identità», ci dice Dima.

Traduzione di Stefano Di Felice