Vite Occupate: chiusura dell’industria agricola di Gaza

Gaza – Pchr. Negli ultimi tre anni Yousef Shaath è stato il Project Manager delle Cash Crops per il Comitato del Soccorso Agricolo (PARC) nella città di Gaza. Questo particolare progetto è stato operativo a partire dal 2006, poco prima che la Striscia di Gaza venisse chiusa: “Il progetto Cash Crops aiuta gli agricoltori fornendo loro gli impulsi ai loro raccolti, attraverso corsi di formazione necessari a coltivare correttamente, strutture per aiutarli ad avere successo e infine assistenza nel marketing per esportare i prodotti al di fuori di Gaza”.

Con l’assistenza agli agricoltori in tutta la Striscia di Gaza, questo programma è stato enormemente di aiuto in un duro periodo per l’economia: “Prima della chiusura del confine, gli agricoltori di Gaza piantavano 1.000 dunums (10 ettari) di garofani ogni anno senza aiuto, piantavano 3.000 dunums di fragole senza aiuto. Con la chiusura del confine non c’è mercato per questi prodotti. L’anno prossimo sarà piantato ancora meno se la chiusura dei confini non verrà revocata”. Attualmente si stima che per il 2013 solo 127 dunums di garofani potranno essere mantenuti, c’è stato un calo significativo, circa del 96%, in soli 5 anni.

Il problema che sta affrontando il PARC è l’impossibilità di esportare fuori dalla Striscia di Gaza. Al momento l’unica possibilità far arrivare i prodotti in Europa è attraverso Israele, il quale ha creato un sistema che quasi impedisce ai prodotti di Gaza di lasciare la Striscia: “Prima, all’incrocio di Karni, era più facile esportare. I prodotti erano sempre refrigerati e il processo filava liscio. A Kerem Abu Salaam, il processo è lungo e dannoso per i prodotti. Quando i nostri camion arrivano, dobbiamo tirare fuori i prodotti e metterli all’aperto, in un’area che non è refrigerata e nemmeno coperta. Dopo che i prodotti sono stati ispezionati, vengono caricati su un camion, il quale non è refrigerato e nemmeno coperto. Solo allora i prodotti vengono trasferiti su un veicolo idoneo al loro trasporto. Se le merci vengono lasciate fuori dal frigorifero per più di 20 minuti, la qualità inizia a risentirne. Gli ufficiali di confine lo sanno. Così, anche se noi riusciamo a far arrivare un camion al confine non c’è garanzia che la merce venga esportata. Di 10 camion che raggiungono il confine forse 5 o 6 riescono ad esportare prodotti di buona qualità”. Al momento Israele ammette al massimo 10 camion al giorno. Tuttavia, anche se il confine dovrebbe essere aperto 5 giorni a settimana, Israele spesso lo chiude senza far molta notizia, ciò significa che altri 10 camion di prodotti non saranno esportati. A gennaio Israele ha consentito l’esportazione di soli 2.384.300 fiori e 7 tonnellate di fragole; 2.384.300 fiori e 33 tonnellate di fragole a febbraio; 2.384.300 fiori e 7 tonnellate di pomodori ciliegini a marzo e 2.490.000 fiori ad aprile. Questo dimostra il significativo declino delle esportazioni evidenziato dal PARC.

Anche se il PARC fa del proprio meglio per aiutare gli agricoltori, senza una revoca della chiusura del confine, potrà fare ben poco: “Gaza ha degli agricoltori eccellenti. Sono molti esperti e certificati dal Global Gap. Se il confine fosse aperto, ci sarebbero possibilità e profitti. Abbiamo prodotti di alta qualità, ben conosciuti. Se il confine fosse aperto, questi agricoltori non avrebbero bisogno del nostro aiuto, potrebbero essere di nuovo autosufficienti”.

Il Progetto Cash Crops era stato creato per essere una misura temporanea di assistenza per gli agricoltori palestinesi, durante i duri momenti della chiusura: “Era stato definito come una misura temporanea. Il PARC non ha strumenti di pressione per persuadere gli israeliani. Abbiamo bisogno  di maggior pressione dalla comunità internazionale e dai benefattori”. Israele sostiene che l’esportazione presenti rischi di sicurezza, ma Yousef fa notare che la chiusura “danneggia centinaia di famiglie, aumenta la disoccupazione, la povertà ed è un potenziale per la violenza. Quando le persone non vedono la luce alla fine del tunnel c’è sempre un potenziale per la violenza”.

Il Progetto Cash Crops, mentre fornisce assistenza a breve termine, è insostenibile sotto l’attuale regime di chiusura: “Due anni fa, abbiamo aiutato 47 coltivatori di garofani, 80 coltivatori di fragole e 50 coltivatori di verdure. In totale quell’anno abbiamo aiutato 180 agricoltori. Siamo ottimisti che il confine un giorno verrà aperto e ci stiamo preparando. Tuttavia non possiamo sostenere gli agricoltori per sempre”.

La chiusura della Striscia di Gaza, approvata da Israele come una forma di “welfare economico”, costituisce una serie di  punizione collettiva, esplicitamente proibita dall’Articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra. Il regime di chiusura viola anche una serie di condizioni poste dal diritto internazionale, tra cui, per esempio, l’obbligo sancito dall’Articolo 43 delle Regolamentazioni di Hague (l’Aja) a mantenere la condizioni materiale sotto le quali la popolazione occupata vive. Data, tra le altre cose, la risultante povertà nella Striscia di Gaza e la necessità di aiuti stranieri per supportare la popolazione, è chiaro che la politica di Israele viola anche il suo obbligo, previsto dal diritto internazionale sui diritti umani, di assicurare la progressiva realizzazione dei diritti economici, sociali e culturali nella Striscia di Gaza.

Traduzione per InfoPal a cura di Cinzia Triviri Bellini