Vite occupate: quando si negano le cure mediche

Gaza – PCHR – Palestinian Centre for human rights

RaccontiVite occupate: quando si negano le cure mediche. 

Mahmoud Khader Gaafar (24) vive con sua moglie Majd (23) e la loro figlia di un anno Maryam nella casa dei suoi genitori nella città di Gaza. Il 2 agosto 2008, Mahmoud fu catturato in una disputa interna, durante la quale subì gravi ferrite alle gambe. A causa di queste ferite e alla mancanza di strutture adeguate, il ministro della Sanità di Gaza richiese che venisse mandato a curarsi in Israele.

Le autorità israeliane rifiutarono la richiesta sulla base di presunte “questioni di sicurezza”, e Mahmoud fu operato all’ospedale al-Shifa di Gaza, dove gli fu amputata la gamba sinistra. Come fa notare sua madre, Zeinab (64): “Avrebbero potuto salvargli la gamba se gli avessero permesso di andare all’ospedale di Tel Aviv”.

Finalmente, facendo capo ad un appello delle corti israeliane, le autorità israeliane approvarono il trasferimento di Mahmoud all’ospedale Ekholov di Tel Aviv il 14 agosto 2008, molti giorni dopo aver ricevuto il trattamento d’emergenza a Gaza. Fu ospitato nel reparto di terapia intensiva per tre mesi prima di far ritorno a Gaza. Durante questo periodo ricevette trattamento medico per la sua gamba amputata e per una frattura grave alla gamba destra.

L’11 agosto 2009, a Mahmoud fu permesso di andare in un ospedale di Gerusalemme, dove gli furono somministrate ulteriori cure alla gamba destra. Dopo il trattamento si recò in Cisgiordania per prendere un appuntamento ortopedico per una protesi alla gamba sinistra, che gli avrebbe permesso di muoversi più facilmente e migliorare significativamente la qualità della vita: “Il ministero della Salute solitamente copre l’80% dei costi ortopedici, ma dopo aver parlato con loro a Ramallah, mi offrirono il 100% di copertura. Dopo aver risolto la questione finanziaria, mi recai a Betlemme, dove un’associazione medica iniziò a prendere le misure per la protesi. Mi dissero che sarebbe stata pronta entro una settimana”.

Il 14 dicembre 2009, mentre Mahmoud si spostava tra Ramallah e Betlemme per le cure mediche, i soldati israeliani lo fermarono e lo trattennero per la notte. Il mattino seguente lo trasferirono immediatamente nella Striscia di Gaza, di nuovo sulla base di una presunta questione di sicurezza, nonostante lui fosse rimasto fuori dalla Striscia per i passati quattro mesi. Non riuscì più a tornare a Betlemme per le cure mediche.

Come afferma: “Ero lì per curarmi, non per fare il turista. Non mi è possibile ricevere una protesi a Gaza, perché la mia amputazione è stata effettuata troppo vicino all’anca e questo trattamento non è disponibile qui. Nonostante servizi di ortopedia siano disponibili in Egitto, le loro protesi sono troppo pesanti per permettermi di muovermi”. Di conseguenza, a malapena esce di casa e, qualvolta lo faccia, si muove con l’aiuto di una sedia a rotelle. Come dice Mahmoud: “Se avessi una protesi la mia vita sarebbe totalmente diversa. Invece passo il tempo qui seduto a far niente”.

Quella fu l’ultima volta che a Mahmoud fu permesso di recarsi in Cisgiordania. “Nonostante il ministero della Salute di Gaza abbia più volte richiesto per me cure mediche a Betlemme, in modo da poter terminare le misurazioni per la protesi, Israele ha sistematicamente negate ogni autorizzazione di viaggio”. Mahmoud fu portato al valico di Erez, sebbene avesse il permesso per l’8 marzo e l’8 aprile. Da allora, tutte le sue richieste di permesso ad accedere alle strutture mediche in Cisgiordania gli sono state negate da Israele, inclusa quella all’Ufficio relazioni il 5 dicembre 2010.

Dopo questo rifiuto, nel dicembre del 2012 Mahmoud si avvicinò al Pchr per cercare assistenza. Il 19 gennaio 2011 il Pchr inviò una lettera al centro umanitario al valico di Erez richiedendo che gli fosse concesso viaggiare per curarsi. Questa richiesta fu rifiutata il 17 marzo 2011.

Un’ulteriore richiesta fu presentata dal Pchr al tribunale civile israeliano a Gerusalemme il 28 marzo 2011. Il 13 aprile 2011 anche questa fu rifiutata, di nuovo sulla base di presunti “problemi di sicurezza”, questa volta portando Mahmoud ad esaurire i rimedi legali, nonostante gli sforzi del Pchr. “Perché [gli israeliani] non mi permettono di andare in Cisgiordania? Che cosa gli ho fatto? Ho solamente bisogno di ricevere le cure necessarie per tornare ad avere una vita. All’inizio mi hanno fatto entrare, quindi perché negarmelo adesso?”

Nell’aprile del 2012, le autorità israeliane hanno negato a un totale di 42 pazienti, bisognosi di cure mediche attualmente non disponibili nella Striscia di Gaza, l’accesso agli ospedali della Cisgiordania e di Israele. Di queste 42 richieste, 8 sono state rifiutate a causa di questioni di sicurezza, a 7 è stata fatta rimandare la data della visita, a 5 pazienti è stato richiesto di cambiare compagni di viaggio/cura e a 5 non è stato permesso di uscire da Gaza una volta arrivati al valico di Erez, nonostante possedessero un permesso di viaggio valido. Ci sono ancora 17 richieste in sospeso.

La Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali riconosce il “diritto di ognuno di godere degli standard di vita più elevati conseguibili”. Oltre agli obblighi contenuti nella Convenzione, Israele, da potere occupante, ha anche l’obbligo di rispondere alle leggi umanitarie internazionali. L’articolo 56 della Quarta Convenzione di Ginevra richiede a Israele di assicurare e mantenere la salute della popolazione occupata.

Con l’imposizione di una chiusura sulla Striscia di Gaza, Israele sta continuando ad impedire ai pazienti di ricevere cure mediche adeguate. La chiusura costituisce una forma di punizione collettiva contro una popolazione civile che vive sotto occupazione, contravvenendo così all’articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra.

Traduzione per InfoPal a cura di Barbara Tassone