Vite occupate: terrore al confine

Gaza – Pchr. Per le famiglie che vivono vicino al confine tra Gaza e Israele, la paura è parte della vita quotidiana. Per Nabeel Al-Najjar, sua moglie e i loro sei bambini, il suono degli spari è normale come il belato delle loro pecore.

La famiglia Al-Najjar vive vicino alla cosiddetta “buffer zone” lunga 300 metri, imposta unilateralmente dalle forze israeliane. Vivere a soli 500 m. dal confine con Israele nel villaggio di Khuza’a, a est di Khan Yunis, ha messo la loro casa e le loro vite in continuo pericolo.

In contrapposizione al suo campo di grano sullo sfondo, si scorgono due torrette di controllo israeliane, qui Nabeel discute la sua nuova casa speciale con muri di calcestruzzo anziché mattoni, costruita nella speranza di impedire alle pallottole israeliane di entrare dentro. Fu costretto a ricostruire la casa dopo che quattro bulldozer israeliani distrussero tutte le abitazioni della zona alle sette della mattina del 13 gennaio 2009. È stata ricostruita con un piano seminterrato per aiutare a proteggere la famiglia da futuri attacchi.

Dopo l’ultimo attacco il 10 aprile 2012, Nabeel sta considerando di sistemare delle lastre di ferro sulle finestre che si affacciano sul confine e di costruire una barriera di calcestruzzo alta circa un metro: “Siamo sempre in pericolo, ma faccio del mio meglio per minimizzare il rischio per la mia famiglia”. Mentre mostra uno dei sette pesanti proiettili in metallo che furono sparati da una jeep dal lato israeliano del confine in direzione della sua casa, e indica i buchi nella parte alta dei muri e le schegge nell’armadio; parla di come era questa la stanza in cui i suoi figli erano soliti studiare. Durante l’ultima offensiva, la casa è stata attaccata: suo figlio era in piedi sulla porta d’ingresso, mentre Nabeel si stava nascondendo sul pavimento con una delle proprie figlie. E’ un miracolo che loro tre siano sopravvissuti: “Ora i miei figli sono istruiti a correre quando sentono spari e pallottole. Corrono nel seminterrato”.

Sua moglie teme inoltre che lui possa essere ferito mentre bada alla loro fattoria, la quale si trova piuttosto vicina al confine. Due settimane fa una donna di 34 anni, madre di otto figli, è stata colpita alla testa da una pallottola, mentre stava raccogliendo dell’erba.[1]

Questa donna, Nabeel e altri dei loro vicini non sono combattenti; sono persone semplici che cercano di vivere le loro vite sotto la costante minaccia del pericolo. Nabeel afferma che “non sentiamo pallottole tutti giorni, ma ripetutamente”.

La minaccia non finisce con il calar del sole. Di notte tutti quanti sono obbligati a stare dentro le proprie case, poiché qualsiasi movimento nel cortile scatenerebbe le pallottole israeliane: “La notte è come una città fantasma. Non facciamo visita alle nostre famiglie o agli amici”.

Questa costante minaccia ha influito sul lavoro di Nabeel come fattore. Prima dell’offensiva, aveva un campo di 2700 m. e 90 alberi, olivi, mango e limoni, di cui era solito prendersi cura con amore. È stato tutto abbattuto dalle forze israeliane, e gli animali della famiglia sono stati uccisi. Rimangono soltanto pochi alberi, e il suo campo di grano. Ora gli manca la volontà di prendersi cura degli alberi, o di reinvestire nel bestiame. Con le torrette di controllo israeliane e pattuglie ovunque, è facile capire perché Nabeel sia diffidente a ricominciare, per poi vedersi portare via tutto.

Anche la sua casa, che ha costruito con grande cura per proteggere la propria famiglia, è rimasta incompiuta. I muri non sono pitturati e la cucina è stata costruita nel seminterrato su richiesta della moglie, lontano dalla paura. Non c’è nulla da fare per farlo trasferire altrove: “Questa era la terra di mio padre, è dove sono nato. Tutti quelli che conosco sono qui, non posso lasciare la mia casa”.

Ora, nonostante la continua minaccia di ferite o di morte, Nabeel è speranzoso: “I miei figli sono intelligenti. Voglio che siano indipendenti. Possono ricevere un’istruzione a Gaza, ma non ci sono più opportunità per loro dopo ciò che è successo. Se Dio vuole c’è un futuro per loro qui”. Nabeel ha anche affermato che “i palestinesi sono brave persone. Se gli israeliani credessero veramente in Dio, non farebbero questo ad altre persone”. Dato che egli si sta creando con determinazione una vita sulla terra di suo padre al confine con Israele, una certa forza è evidente.

Ai sensi dell’articolo 53 della Quarta Convenzione di Ginevra, la distruzione della proprietà privata è proibita a meno che sia resa strettamente necessaria da operazioni militari. Allo stesso modo, l’articolo 33 sancisce che i civili non possono essere puniti per reati che non hanno commesso. Nabeel e la sua famiglia sono civili, le cosiddette “persone protette” dalle leggi umanitarie internazionali. Non c’è assolutamente nessuna necessità che giustifichi questi attacchi, che costituiscono crimini di guerra, come è definito negli articoli 8(2)(b) (i) e (ii) dallo Statuto della Corte Penale Internazionale.

Traduzione per InfoPal a cura di Cinzia Triviri Bellini