Vite sotto occupazione: “Nessun posto da poter considerare casa”

Gaza – Pchr. Narrative sotto occupazione.

Tra l’8 e il 10 gennaio 2009, durante l’Operazione Piombo Fuso, le Forze israeliane demolirono la casa della famiglia di Abu Daher, a Qarara, nella Striscia di Gaza meridionale, e ne distrussero i terreni agricoli. Quasi 4 anni dopo, questa famiglia è ancora profuga, vive in una tenda di nylon e acciaio a est di Qarara, e non ha alcuna possibilità di avviare un progetto che possa generare delle fonti di sostentamento.

Afaf Abu Daher rivive con dolore gli eventi che hanno causato la loro condizione di profughi: “La nostra casa si trovava a circa 300 metri dal confine. C’erano frequenti spari, bombardamenti e lanci di razzi. Certe volte i bambini non potevano nemmeno andare a scuola. Le Forze israeliane conducevano incursioni e arrestavano persone. Un giorno sentimmo un annuncio fatto al microfono di evacuazione della zona, che sarebbe stata colpita. Non avevamo un posto dove andare, così raggiungemmo la scuola dell’Unrwa a Qarara con alcune altre famiglie. Circa due giorni dopo l’annuncio, la nostra casa fu completamente demolita. La maggior parte degli occupanti aveva lasciato l’area, ma qualcuno era rimasto. Il cugino di mio marito rimase lì, e venne ucciso nella sua casa. Nel corso dell’operazione furono distrutte 120 case”.

La famiglia rimase nella scuola dell’Unrwa circa un mese, poi affittò una casa modesta a Qarara. Rimase in quella casa un altro mese e poi innalzò una tenda sul proprio terreno: “All’inizio pensavamo di tornare sulla nostra terra e forse di trovare qualcuno che ci avrebbe aiutato a ricostruire la casa, ma non fu così. Non potevamo permetterci di continuare a pagare l’affitto, così venimmo qui”.

Nel corso degli anni la vita si è fatta sempre più difficile per la famiglia Abu Daher, soprattutto da quando è priva di un tetto appropriato: “E’ stato molto difficile per tutti noi. Io e i bambini dormiamo tutti nella stessa stanza, su dei materassi distesi sul pavimento. Su una parete c’è un buco, così dormiamo accanto alle pecore dei nostri vicini. Cucino e dormiamo nella stessa stanza. L’ultima volta che è piovuto il pavimento si è riempito d’acqua e non abbiamo dormito. Abbiamo sostituito il nylon di copertura, sul tetto, ma non è cambiato molto. I bambini non invitano mai qui i loro amici perché si vergognano, li incontrano nella strada”.

Afaf pensa ai progetti che aveva prima che la loro casa fosse distrutta, e alle condizioni che lei e la sua famiglia stanno affrontando: “Avevamo 7 dunum di terreno e una casa. C’erano circa 700 ulivi, pecore, mucche e galline. Vendevamo al mercato il latte e il formaggio che producevamo e avevamo un reddito stabile per in nostro sostentamento. Ora, invece, nessuno di noi ha un lavoro e sopravviviamo a stento. Questo terreno è troppo piccolo per qualsiasi utilizzo. Solo 2 dei nostri figli vanno a scuola, gli altri rimangono a casa per aiutare il loro padre in lavoretti e a raccogliere macerie dagli edifici. Non possiamo permetterci di mandarli a scuola. Contiamo sull’aiuto delle Nazioni Unite e su ciò che riusciamo a racimolare. Mio marito è malato e riesce a lavorare molto poco: guadagna 800 shekel lavorando per il governo uno o due mesi all’anno, e quel denaro ci permette di non morire di fame”.

La perdita della casa ha avuto anche delle ripercussioni psicologiche, per la famiglia Abu Daher: “I miei figli sono traumatizzati dalla guerra e io soffro di incubi. Uno dei miei figli ha visto tre bambini morti e un quarto bambino decapitato: ora capita che si svegli urlando nel cuore della notte, e ha iniziato a dare segnali di sonnambulismo. Nonostante i miei incubi cerco di incoraggiare i miei figli e di spiegare loro cosa ci è accaduto. A volte riceviamo visite del personale del Centro sanitario di Gaza, che ci offre le sue raccomandazioni”.

Per quanto riguarda il futuro, Afaf vuole il meglio per i suoi figli: “Avevamo una casa e tutto andava bene, poi, improvvisamente, ci siamo ritrovati senza niente. Cerco di provvedere ai miei figli, voglio che abbiano una vita che non sia una lotta per la sopravvivenza. Voglio lavorare, risparmiare e poter vivere in pace, ma non so cosa aspettarmi dal futuro: va tutto così male in questo momento. In quanto rifugiati di Beersheva, l’Unrwa dovrebbe assegnarci una casa, ma la stiamo aspettando da anni ormai. Non sappiamo quando ne otterremo una, aspetteremo, come sempre”.

Colpire direttamente un obiettivo civile è considerato crimine di guerra dall’articolo 8 (2) (b) (ii) dello Statuto di Roma del Tribunale criminale internazionale. In modo analogo, la distruzione di proprietà privata è proibita dalla Quarta convenzione di Ginevra, a meno che essa non sia assolutamente necessaria per consentire le operazioni militari. La continua applicazione di una zona-cuscinetto lungo il confine interno della Striscia di Gaza comporta la violazione di diverse disposizioni sui diritti umani, tra cui il diritto a un rifugio adeguato, come indicato nell’articolo 11 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali.

Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice