“Voglio solo vivere una vita tranquilla e poter pescare liberamente”

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Mohammed Morad al-Hessi (40) è un pescatore di Gaza City che lavora a bordo del peschereccio di 16 metri di mio padre insieme ad alcuni parenti. Mohammed è sposato e ha sette figli: 3 maschi e 4 femmine. Il reddito generato dalla pesca praticata insieme agli altri sostiene più di 150 membri della famiglia estesa al Hessi.

Mercoledì 28 novembre 2012, esattamente una settimana dopo l’annuncio del cessate il fuoco tra Israele e tutte le fazioni armate nella Striscia di Gaza, le forze navali israeliane hanno aperto il fuoco contro il peschereccio di al-Hessi, al largo della costa di Deir al-Balah, nel mare di Gaza. Nonostante secondo i termini del cessate il fuoco gli israeliani avrebbero dovuto allentare le restrizioni sulla pesca in acque palestinesi, i pescatori della famiglia al-Hessi sono stati presi di mira mentre navigavano a meno di 6 miglia marine al largo. Mohammed al-Hessi è stato arrestato e portato al porto di Ashdod, in Israele, dove è stato trattenuto e interrogato prima di essere rilasciato all’incrocio di Erez con la Striscia di Gaza. Gli altri quattro pescatori a bordo sono stati trattenuti su una cannoniera israeliana per diverse ore e poi rilasciati in acque palestinesi.

Mohammed descrive quello che è successo quel giorno: “Siamo usciti dal porto alle 7.30 del mattino e abbiamo raggiunto la distanza di 6 miglia marittime perché pensavamo che ci fosse permesso a seguito del cessate il fuoco. Non eravamo preoccupati di essere a quella distanza e non ci aspettavamo di essere attaccati dalle forze israeliane. Eravamo in cinque: mio figlio, Morad Mohanned al-Hessi, di 19 anni; mio fratello, Ahmed Morad al-Hessi, di 30 anni; mio cugino, Rajab Reshad al Hessi, 34 anni; e un mio cugino lontano, Sameh Mahmoud al Hessi, 35 anni.

Abbiamo iniziato a pescare ma dopo un paio d’ore, alle 10:30 circa, siamo stati avvicinati da due cannoniere israeliane. Le cannoniere hanno aperto il fuoco contro di noi, costringendoci a tornare verso la riva. I soldati israeliani inveivano contro di noi. Hanno ordinato ai miei parenti di spogliarsi, saltare nell’acqua e nuotare verso le cannoniere. A me è stato detto di restare sulla barca.

Dopo un po’, sono comparse altre due cannoniere israeliane. Quattro soldati israeliani sono saltati sulla nostra barca e mi hanno bendato e ammanettato. Mi hanno trattato come un animale. Quando in seguito mi hanno tolto la benda e le manette ho visto che mi trovavo in Israele. Le forze israeliane avevano trainato la nostra barca nel porto di Ashdod”    Dopo il suo arrivo a Ashdod, Mohammed è stato interrogato per circa un’ora: “Un soldato israeliano mi ha fatto molte domande in arabo perfetto. Dall’uniforme penso che fosse un ufficiale. Mi ha chiesto nome, indirizzo, età e stato civile. Mi ha anche domandato il numero di cellulare. Quando gli ho chiesto perché, ha risposto che avrebbero trattenuto la nostra barca da pesca, ma mi avrebbero chiamato se avessero deciso di restituirla. Sono stato esaminato da un medico che mi ha misurato la febbre e la pressione e mi ha fatto delle domande sul mio stato di salute. Verso le 21.30 sono stato trasportato all’incrocio di Erez e sono tornato a Gaza.

Dopo il suo arrivo a Ashdod, Mohammed è stato interrogato per circa un’ora: “Un soldato israeliano mi ha fatto molte domande in arabo perfetto. Dall’uniforme penso che fosse un ufficiale. Mi ha chiesto nome, indirizzo, età e stato civile. Mi ha anche domandato il numero di cellulare. Quando gli ho chiesto perché, ha risposto che avrebbero trattenuto la nostra barca da pesca, ma mi avrebbero chiamato se avessero deciso di restituirla. Sono stato esaminato da un medico che mi ha misurato la febbre e la pressione e mi ha fatto delle domande sul mio stato di salute. Verso le 21.30 sono stato trasportato all’incrocio di Erez e sono tornato a Gaza.

Dopo il mio rilascio ho trovato gli altri quattro che erano rimasti a bordo della cannoniera fino alle 14.30 circa. Erano stati liberati nel mare nella parte settentrionale di Gaza dove hanno nuotato in salvo fino a delle imbarcazioni di pescatori di Gaza. Il giorno seguente sono stato al Centro Palestinese per i Diritti Umani per spiegare che cosa mi era accaduto. Il loro avvocato in Israele sta seguendo il caso e sta cercando di farsi restituire la nostra barca.”

Prima di quest’evento, Mohammed aveva sperato molto che l’accordo di Israele di astenersi dal limitare la libera circolazione delle persone nella Striscia di Gaza avrebbe cambiato realmente la situazione per i pescatori: “Quando abbiamo saputo dell’accordo, non potevamo crederci. Eravamo così felici di sapere che il mare sarebbe stato aperto fino a 6 miglia marine. Tutti i pescatori di Gaza erano contenti. Sono rimasto talmente sorpreso quando siamo stati attaccati e la barca ci è stata confiscata ad appena una settimana dall’annuncio del cessate il fuoco. Non capisco perché Israele agisca così”

L’impossibilità di pescare sta causando gravi danni economici a Mohammed e alla sua famiglia: “Perdere la nostra barca è stato terribile. Il peschereccio è la nostra sola fonte di reddito. Ciascuno di noi su quella barca deve provvedere alla famiglia e tutti insieme siamo circa 150 persone. Abbiamo tutti mogli e figlie che dipendono da noi per tutto. Devo sostenere mia moglie e sette figli,  ma non posso farlo senza la barca da pesca. Ai miei figli servono cibo, libri e altre cose per la scuola, e io non posso accontentarli. E mi rattrista veramente molto.

Voglio sapere perché ci sta succedendo questo nonostante Israele abbia accettato il cessate il fuoco. Dovevano consentirci di arrivare a quella distanza. Anche quando possiamo pescare siamo sempre comunque sotto il controllo e l’osservazione delle forze israeliane. Io desidero solo riavere la mia barca. Voglio semplicemente vivere una vita tranquilla e pescare liberamente.”

In mare la zona di pesca di 6 miglia marine imposta nell’ottobre 2006 è stata ridotta a 3 (spesso meno nella realtà), impedendo ai pescatori palestinesi di accedere all’85% della zona di pesca di 20 miglia marine degli accordi di Oslo. La zona di pesca estremamente limitata, insieme al quasi totale divieto di esportazione, ha portato il settore della pesca di Gaza sull’orlo del collasso. Di conseguenza, il numero dei pescatori che lavorano è crollato da 10.000 nel 1999 a circa 3.200 oggi, incidendo pesantemente sulla sussistenza di 39.000 dipendenti. I 3.200 pescatori che lavorano attualmente mantengono circa 19.200 persone che dipendono da loro.

Gli attacchi di Israele contro i pescatori palestinesi nella Striscia di Gaza, che non rappresentano alcun pericolo per la sicurezza delle forze navali israeliane, costituiscano una flagrante violazione del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani. La zona di esclusione di pesca, preservata attraverso arresti arbitrari e attacchi, costituisce una misura punitiva collettiva che è vietata secondo l’articolo 33 della quarta convenzione di Ginevra. L’arresto e la conseguente detenzione dei pescatori vengono effettuati in modo arbitrario, senza basi o referenze concrete che rimandino a una ragione per l’arresto. Questa è una violazione dell’articolo 9 del Patto dei Diritti Civili e Politici – ICCPR

Con la confisca delle barche da pesca, Israele nega ai pescatori il diritto di sussistenza togliendo loro i mezzi per guadagnarsi da vivere. Il diritto di non essere privati arbitrariamente della proprietà è tutelato nell’articolo 17 della Dichiarazione universale dei diritti umani (UDHR). Il diritto al lavoro, in condizioni giuste e favorevoli, è previsto conformemente all’articolo 23 del UDHR, e all’articolo 6 e 7 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (ICESCR). Inoltre l’articolo 11 del Patto (ICESCR) sancisce il “diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e la propria famiglia che includa un’alimentazione, un alloggio e un vestiario adeguati e il diritto al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita.”

Traduzione a cura di Viola Migliori