Estremisti religiosi pronti alla scalata dell’esercito israeliano

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 Di Jonathan Cook. Con una mossa inaspettata, la scorsa settimana il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha costretto alle dimissioni il ministro alla difesa di lunga data, Moshe Yaalon. Non appena si è dimesso, Yaalon ha avvertito che “Elementi pericolosi ed estremisti hanno preso il sopravvento in Israele”.

Si riferiva in parte al suo successore: Avigdor Lieberman, leader del partito di estrema destra Yisrael Beiteinu, i cui marchi di fabbrica sono stati, tra gli altri, la richiesta di bombardare l’Egitto e la decapitazione di cittadini palestinesi sleali. Ma Yaalon ha anche condannato estremisti più vicini a casa, del partito Likud di Netanyahu. Yaalon prenderà una pausa dalla politica.

Con ironia, il suo posto nelle file del partito Likud sarà preso da Yehuda Glick, un colono la cui lotta per distruggere la moschea di Al-Aqsa per sostituirla con un tempio ebraico potrebbe mettere il Medioriente a ferro e fuoco.

I commentatori israeliani hanno fatto notare che, con l’inclusione di Lieberman, il governo sarà il più estremista della storia di Israele, di nuovo.

La graduale scalata delle istituzioni israeliane di coloro che sposano la causa dei coloni, conosciuti come il campo nazional-religioso, è passata senz’altro sotto banco.

Nulla di tutto ciò è accidentale. Per due decadi, i coloni hanno mirato alle istituzioni chiave del governo israeliano. Durante i sette anni del governo Netanyahu, il processo è stato accelerato.

Naftali Bennett, leader del partito dei coloni Jewish Home e ministro dell’Istruzione, recentemente si è vantato del fatto che il campo nazional-religioso, anche se rappresenta solo un decimo della popolazione, detiene “posizioni di leadership su tutti i fronti”.

Uno dei successi per Bennett è Roni Alsheikh, che è stato nominato capo della polizia alla fine dello scorso anno. È un residente di lunga data di Kiryat Arba, uno degli insediamenti più violenti dei territori occupati. La recente campagna delle forze armate “Credere nella polizia” è progettata proprio per reclutare estremisti religiosi.

Dietro al programma vi sono politici-coloni che hanno definito i palestinesi “disumani” e hanno espresso simpatia per coloro che hanno bruciato a morte una famiglia palestinese, incluso un bambino, la scorsa estate.

Anche le altre forze di sicurezza sono in fase di trasformazione. I nazionalisti religiosi detengono posti chiave del servizio di intelligence Shin Bet e del Mossad, l’agenzia di spie israeliane. Anche nell’esercito, i coloni sono tuttoggi fortemente rappresentati nei corpi ufficiali e nelle unità di combattimento. Per più di dieci anni i loro rabbini hanno dominato i corpi dell’istruzione dell’esercito, invocando il volere di Dio nel campo di battaglia.

Malgrado questi cambiamenti, l’élite secolare israeliana, perlopiù di origine europea, è rimasta disperatamente attaccata ai gradini più altri dell’esercito. Netanyahu risente ancora moltissimo del loro continuo controllo. Si sono messi contro di lui in ben due occasioni, mentre cercava di ribaltare gli accordi di Oslo alla fine degli anni ’90 e durante i bombardamenti in Iran cinque anni fa.

Nel tentativo di smorzare la loro influenza, Netanyahu ha cercato di promuovere il religioso Yair Naveh a caso militare lo scorso anno, ma è stato bloccato dai vertici. L’arrivo di Lieberman come ministro della Difesa, comunque potrebbe segnare un punto di svolta.

In un certo senso, i pericoli sono minori rispetto agli iperbolici avvertimenti di Yaalon. Per decadi i generali in carica sono stati responsabili di un’occupazione che ha completamente schiacciato i diritti dei palestinesi e li ha chiusi in gabbie sempre più piccole. Questi generali sono stati tanto crudeli quanto gli ufficiali religiosi che li hanno rimpiazzati.

Ciò nonostante, i riverberi di questa rivoluzione silenziosa non devono essere sottovalutati. Le vecchie élite hanno vissuto del grasso della terra nel Kibbutz, le ampie comunità agricole israeliane costruite sulle rovine di centinaia di villaggi palestinesi risultati dalla pulizia etnica del 1948.

Dopo la guerra del 1967, i generali del Kibbutz hanno felicemente esportato lo stesso modello di furto su scala industriale di terre palestinesi nei territori occupati. Ma le loro ossessioni di sicurezza sono state ormai radicate in Israele, temendo di dover pagare per i crimini del 1948 da cui hanno tratto profitto. Il loro costante incubo è un diritto di ritorno in Israele dei legittimi proprietari di quelle terre – i rifugiati palestinesi oggi sono milioni.

Le priorità dei religiosi del campo sono diverse. Le terre che difendono così appassionatamente non sono in Israele ma in Cisgiordania e a Gerusalemme est. È qui che molti vivono e dove i luoghi che santificano la loro avidità territoriale si trovano. La diffusione di questo fanatismo nell’esercito ha profondamente sconcertato i suoi elementi più liberali.

Negli ultimi anni è emerso dall’intelligence militare dell’unità 8200 un piccolo gruppo di dissidenti, chiamato Breaking the silence. Recentemente il video dell’esecuzione di un palestinese gravemente ferito da parte del medico dell’esercito Elor Azaria – e la diffusione del supporto pubblico per la sua causa- ha solamente intensificato queste tensioni.

Questo mese il vice capo dell’esercito, Yair Golan, ha paragonato Israele alla Germania nazista del 1930. Lieberman è nel frattempo il maggior sostenitore di Azaria. L’obiettivo dei nazionalisti religiosi è palese: rimuovere le ultime restrizioni sull’occupazione e costruire una gloriosa e divina Grande Israele cancellando la società palestinese.

Ciò significa che non c’è alcuna speranza per una risoluzione pacifica con i palestinesi, se non preceduta da una tumultuosa guerra civile tra i secolaristi e gli zelanti religiosi.

Traduzione di Domenica Zavaglia