I giornali israeliani ribattono sulla citazione di Friedman su Dahlan

A cura di L.P. L’ambasciatore degli Stati Uniti ha affermato che Washington stava considerando di sostenere l’ex leader di Fatah come presidente palestinese.

Un quotidiano israeliano ha ribadito una citazione dell’ambasciatore statunitense David Friedman che suggerisce che Washington stesse considerando di sostenere l’ex leader di Fatah, Mohammed Dahlan, come prossimo presidente dell’Autorità Palestinese (ANP).

Si è ipotizzato che Dahlan, un convinto rivale del presidente palestinese Mahmoud Abbas e consigliere del principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti Mohammed bin Zayed, potrebbe essere sostenuto da Washington per spodestare Abbas.

Mercoledì, rispondendo a una domanda, in un’intervista per Israel Hayom, se gli Stati Uniti stessero valutando la possibilità di “nominare” Dahlan, che vive negli Emirati Arabi Uniti, come prossimo leader palestinese, il giornale ha originariamente citato Freidman dicendo: “Ci stiamo pensando, non abbiamo alcun desiderio di costruire la leadership palestinese”.

Quello stesso Dahlan che, considerato traditore della causa palestinese, secondo molti sarebbe uno degli artefici della “normalizzazione” dei rapporti tra Israele ed Emirati Arabi Uniti. Forse non è un caso che, solo pochi giorni fa il quotidiano italiano La Repubblica, diretto da Maurizio Molinari, ha intervistato Sufian Abu Zaida, definito “uno dei punti di riferimento in Palestina di Mohammed Dahlan”. Intervista svolta da Sharon Nizza, giornalista che, prima di approdare a La Repubblica, ha scritto per anni sul sito di propaganda della destra ebraica Informazione Corretta.

Tuttavia, giovedì, Israel Hayom, che è vicino al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha rilasciato un chiarimento, insistendo che l’ambasciatore ha invece detto “Non ci stiamo pensando”.

Il mese scorso, i palestinesi nei Territori occupati hanno manifestato contro l’accordo con gli Emirati Arabi Uniti.

Le riprese video di una protesta a Ramallah hanno mostrato i manifestanti che hanno appiccato il fuoco alle foto del principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti e di Dahlan, che è sulla lista dei terroristi più ricercati dalla Turchia per aver presumibilmente giocato un ruolo nel fallito colpo di stato nel Paese, nel 2016.

Dahlan ha anche presentato e poi abbandonato una causa per diffamazione contro Middle East Eye, che originariamente riportava il suo presunto ruolo nel complotto.

Abbas e altri leader palestinesi hanno condannato gli accordi, che secondo loro violano una posizione panaraba di vecchia data secondo cui Israele potrebbe normalizzare le relazioni solo in cambio della fine dell’occupazione.

Nel suo volo di ritorno da Washington con la delegazione israeliana, Friedman ha detto a Israel Hayom che l’attuale leadership palestinese si stava ancora aggrappando a lamentele molto vecchie e irrilevanti.

“Devono entrare a far parte del 21° secolo. Al momento sono dalla parte sbagliata della storia”, ha detto.

“Sospensione temporanea”.

Gli Emirati Arabi Uniti hanno affermato che, come parte dell’accordo di normalizzazione, hanno ottenuto un’importante concessione da Israele e dagli Stati Uniti per fermare i piani di annessione del territorio nella Cisgiordania occupata.

Tuttavia, alla domanda sull’annessione, Friedman ha risposto: “Penso che accadrà”.

Ha aggiunto di credere che la questione possa essere rivista in un modo meno controverso.

“È una sospensione temporanea”, ha detto.

L’ambasciatore ha anche previsto che gli accordi di normalizzazione hanno segnato un nuovo inizio per le relazioni arabo-israeliane, perché “presto molti altri Paesi si uniranno”.

“Abbiamo rotto il ghiaccio e fatto la pace con due importanti paesi della regione”, ha aggiunto.

Come promesso dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, sarebbero sicuramente seguite ulteriori scoperte diplomatiche, ha detto Friedman.

“Quando la polvere si sarà depositata, entro mesi o un anno, il conflitto arabo-israeliano sarà finito”, ha sottolineato.

(Foto di MiddleEastEye: David Friedman ha predetto che gli accordi di normalizzazione hanno segnato l’inizio della fine del ‘conflitto arabo-israeliano’).