L’accordo finale di Trump è visto dai palestinesi come un ultimatum

Gerusalemme/Washington – Middleeasteye.net. Fonti rivelano che il principe saudita offre a Mahmoud Abbas altri contanti per il nuovo Stato, mentre l’Arabia Saudita chiede l’aiuto a Israele in chiave anti iraniana.
Un diplomatico occidentale rivela a Middle East Eye che un team statunitense sta mettendo a punto l’accordo finale di pace tra palestinesi e Israele del presidente Trump.
Il diplomatico, che ha parlato in anonimato poiché non autorizzato a rilasciare ai media dichiarazioni in merito, ha riferito che l’accordo comprenderà:

– la fondazione di uno Stato palestinese, i cui confini comprenderanno la Striscia di Gaza e le aree A, B e parte dell’area C della Cisgiordania
– la donazione di 10 miliardi di dollari da paesi donatori per la fondazione dello Stato e per le sue infrastrutture, tra cui un aeroporto, un porto a Gaza, abitazioni, interventi nell’agricoltura, aree industriali e nuove città.
– lo status di Gerusalemme e il ritorno dei profughi sarà posticipato a negoziati successivi
– in negoziati finali si cercheranno accordi di pace tra Israele e i paesi arabi, sotto la guida dell’Arabia Saudita.
Il diplomatico ha detto che Jared Kusher, consigliere speciale di Trump e capo del team per il processo di pace, ha visitato recentemente l’Arabia Saudita e ha informato il principe saudita Mohammed bin Salman – noto anche con il solo acronimo MBS – del piano in corso.
Kusher ha poi chiesto aiuto ai sauditi nel persuadere il presidente Mahmoud Abbas ad accettare il piano, che sarà ufficialmente presentato a inizio 2018.
Il diplomatico, molto vicino al team statunitense, ha riferito che bin Salman si è incontrato con Abbas a inizio novembre per informarlo della proposta. Il principe ha chiesto al presidente palestinese di accettare il piano e di essere positivo a riguardo.
«MBS è molto entusiasta del piano», ha riferito il diplomatico, «ed egli è impaziente di vedere un accordo di pace innanzi tutto tra palestinesi e Israele, poi tra Israele e i paesi arabi, come primo passo nella formazione di una coalizione tra Arabia Saudita e Israele per contrastare la minaccia iraniana».
Il bisogno di aiuto dell’Arabia Saudita contro l’Iran.
Il diplomatico ha detto che bin Salman ha riferito a Kushner di voler investire grossi capitali nell’accordo, e che darebbe alla leadership palestinese gli incentivi necessari per una risposta positiva.
Funzionari palestinesi hanno riferito a Middle East Eye che Abbas si è incontrato con bin Salman durante la sua recente visita a Riyad, iniziata l’8 novembre. In quell’occasione il principe ha proposto quasi il triplo di aiuti sauditi all’Autorità nazionale palestinese, passando da 7 milioni e mezzo di dollari a 20 milioni di dollari al mese.
Bin Salman ha detto ad Abbas che la minaccia iraniana ai paesi arabi, secondo fonti vicine ai sauditi, sarebbe grave, e che i sauditi necessitano del supporto di Stati Uniti e Israele per far fronte al ‘conflitto esistenziale’ con Teheran. «Non possiamo avere Israele dalla nostra parte se prima non si risolve il conflitto israelo-palestinese», avrebbe detto il principe secondo la fonte.
Un funzionario palestinese ha detto: «Il presidente Abbas ritiene che il piano possa andar bene solo se ci aggiungiamo le parole ‘confini del 1967’. Vogliamo dare tempo a Israele se loro ci concederanno la terra».
«Glielo abbiamo detto, se il piano afferma chiaramente che ‘l’accordo finale’ concede lo Stato ai palestinesi sui confini del 1967, ammettendo un leggero scambio di terreni, allora accetteremo che si attui la prima fase, cioè la fondazione di uno Stato con dei confini provvisori». 
Il funzionario, vicino ai colloqui, ha detto che la sola preoccupazione palestinese è che Israele renda l’accordo provvisorio, accordo definitivo.
Un altro funzionario palestinese ha detto che Abbas ritiene che il piano, abbozzato da Kushner e dal delegato per il Medio Oriente Jason Greenblatt, sia stato pensato dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. «Questo è il piano di Netanyahu, passato al team statunitense che cerca di farlo passare ai palestinesi e agli arabi», ha aggiunto la fonte.

Chiusura dell’ufficio Olp di Washington.
Il funzionario ha aggiunto che i palestinesi si aspettano ora ulteriori pressioni da Washington e dalle capitali arabe. 
«Gli Usa minacciano sanzioni ai palestinesi se loro rifiuteranno il piano, come la chiusura dell’ufficio dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina di Washington Dc e lo stop ai finanziamenti all’autorità nazionale palestinese», ha aggiunto la fonte.
Quella minaccia si è realizzata nelle scorse settimane, quando l’ufficio dei rappresentanti palestinesi a Washington è stato chiuso e i palestinesi, a loro volta, hanno interrotto tutti gli incontri previsti con gli Usa.
«Che senso ha incontrarsi se loro ci chiudono l’ufficio? I nostri incontri hanno inizio nel nostro ufficio, e l’organizzazione parte da lì», ha detto il ministro degli Esteri palestinese Riyad al-Malki a Afp.
I funzionari palestinesi hanno riferito che nel 2000 il presidente egiziano Hosni Mubarak e l’allora principe alla corona saudita Abdullah dissero al leader dell’Olp Yasser Arafat: «Noi accettiamo solo ciò che accettano i palestinesi».
«Ai colloqui di Camp David, nel 2000, gli arabi aiutarono Arafat ad affrontare le pressioni statunitensi. Ma ora nessuno ci sostiene. Ora il re saudita è impegnato nei conflitti con l’Iran, lo Yemen, il Libano, la Siria e l’Iraq e il presidente egiziano è impegnato nel Sinai».
Le relazioni tra i sauditi e Israele si sono distese negli ultimi mesi, e rapporti recenti raccontano di un viaggio del principe saudita a Tel Aviv per un incontro segreto con funzionari israeliani.
Il 16 novembre Gadi Eizenkot, capo dello staff generale israeliano, affermò che il paese era pronto a condividere «informazioni di intelligence» con l’Arabia Saudita e che entrambi i paesi hanno l’interesse comune di opposizione all’Iran.

Parole vuote.
Ma molti palestinesi dicono di voler rifiutare ogni accordo di pace guidato dall’Arabia Saudita, che si è compromessa nella questione del diritto al ritorno dei profughi palestinesi e che ha cercato di «normalizzare» le relazioni arabe con Israele.
«Questo non sarà mai accettato da nessun palestinese in nessun luogo», ha detto a MEE il generale Sobhi Abu Arab, il capo generale della sicurezza nazionale del campo profughi di ‘Ain al-Helweh, a Sidone, Libano.
«Questa non è un’idea nuova. Ogni tanto viene riproposta ma Abu Mazen non la accoglierà mai. Sono parole vuote che vengono usate da decenni».
Zafer al-Khateeb, un attivista palestinese di ‘Ain al-Helweh, dice che Israele ha cercato l’opportunità con l’Arabia Saudita per «rompere il tabù della normalizzazione araba con Israele».
«Loro sanno che il diritto al ritorno non può essere cancellato, il che non vuol dire che non c’è altro in pentola. C’è sicuramente da lavorare, ma ad oggi non c’è nulla di sicuro sul terreno», egli ha aggiunto.

Traduzione di Stefano Di Felice