A 69 anni dalla Nakba, continua la tragedia del popolo palestinese

al-NakbaIl 15 maggio i Palestinesi in patria e all’estero commemorano il 69° anniversario della Catastrofe, la Nakba, ovvero, la sottrazione della loro terra ad opera del colonialismo sionista.  Tale evento creò una nuova realtà politica chiamata “Israele” sulle rovine del 78 per cento dei Territori palestinesi, mutando radicalmente la sua mappa rispetto al 1948.

La Nakba rappresentò e tuttora rappresenta un tragico punto di svolta nel corso della storia e della vita dei Palestinesi, dopo il saccheggio della loro terra, cultura, proprietà, ricchezza e destino, dei massacri e pulizie etniche sistematiche e dello sradicamento e dislocazione, per mano delle bande sioniste, di decine di migliaia di autoctoni.

I fatti della Nakba, in realtà, iniziarono ben prima del 15 maggio 1948, quando le bande sioniste invasero villaggi e cittadine palestinesi attaccando e sterminando parte della popolazione locale e inducendo alla fuga la restante.

Come confermato da molti storici e ricercatori, tra i quali l’ebreo israeliano Ilan Pappe ne “La pulizia etnica della Palestina”, il dislocamento forzato dei Palestinesi fu un processo programmato e pianificato al fine di ripulire la Palestina della sua popolazione araba, e fu accompagnato da campagne intensive di terrore e massacri che indussero i sopravvissuti a lasciare i loro villaggi e città, che vennero occupati dai colonizzatori sionisti.

Secondo i dati della ormai vasta documentazione storica, durante la fase della Nabka, le bande sioniste presero il controllo dei 774 tra villaggi e città, distruggendone 531 e commettendo oltre 70 stragi e massacri degli autoctoni palestinesi. Come conseguenza di tali crimini, oltre 15 mila palestinesi perirono durante la Nakba.

800 mila fuggirono o vennero dislocati dai loro villaggi e città – internamente, in diverse località della Cisgiordania, di Gerusalemme e della Striscia di Gaza, ed esternamente, in alcuni paesi arabi, tra cui Siria, Libano, Giordania, Iraq, ecc.

Rifugiati

Secondo L’Ufficio centrale palestinese di Statistica, il numero dei Palestinesi nel mondo, alla fine del 2016, era di circa 12,7 milioni di persone, ciò significa che dagli eventi della Nakba del 1948 si è moltiplicato per 9,1 volte.

Per quanto riguarda i Palestinesi attualmente residenti nella Palestina storica, alla fine del 2016 erano circa 6,41 milioni. Si prevede che, secondo i tassi di crescita attuali, entro la fine del 2020 saranno circa 7,12 milioni.

Alla fine del 2016, i rifugiati interni palestinesi costituivano il 42 per cento di tutti i residenti palestinesi in Palestina, mentre il numero totale di rifugiati registrati dall’UNRWA, nel gennaio 2015, erano di circa 5.590.000.

Il 29 per cento dei rifugiati palestinesi vive in 58 campi, distribuiti in Giordania (10), Siria (9), in Libano (12), in Cisgiordania (19) e nella Striscia di Gaza (8). Tali stime sono approssimative, in quanto rappresentano i rifugiati palestinesi registrati presso l’UNRWA, ma è molto alta la presenza di “non-registrati”, gli sfollati dal 1949 al giugno 1967.

Per quanto riguarda il territorio, l’occupazione sfrutta più del 85 per cento della Palestina storica, pari a circa 27.000 km², lasciando ai Palestinesi soltanto il 15 per cento.

Le autorità di occupazione israeliane hanno stabilito una zona cuscinetto (buffer-zone) al confine della Striscia, di oltre 1.500 metri lungo il confine orientale di Gaza, controllando quindi circa il 24 per cento dei 365 km² della Striscia di Gaza. Inoltre, controllano oltre il 90 per cento della superficie della Valle del Giordano, che rappresenta il 29 per cento del totale della Cisgiordania.

Tragedia continua

La tragedia palestinese continua a causa del rifiuto israeliano di rispettare le Risoluzioni internazionali relative al Diritto al Ritorno dei rifugiati nelle loro case e al risarcimento dei danni causati loro.

Le autorità di occupazione continuano tuttora nelle loro politiche di sradicamento e di dislocazione forzata dei Palestinesi attraverso la demolizione di case a Gerusalemme e in Cisgiordania, la confisca e l’annessione di terre, l’aggressione continua alla moschea di Al-Aqsa e ai luoghi santi islamici e cristiani, le ripetute offensive e attacchi alla Striscia di Gaza, la distruzione delle sue infrastrutture e l’assedio soffocante che dura da 11 anni.

Nonostante la tragica realtà del dopo-Nakba e il dramma che il popolo palestinese continua a vivere da 69 anni, tra i giovani si diffonde una “dimensione di consapevolezza” per la responsabilità che portano sulle loro spalle per cambiare tale realtà di colonialismo sionista, di soprusi e ingiustizie. Con l’Intifada di Gerusalemme, anti-occupazione, scoppiata a ottobre del 2015, è emersa la nuova generazione che, pur non avendo vissuto la Nakba, subisce quotidianamente l’oppressione israeliana.

Leggi israeliane anti-celebrazione della Nakba

Dopo circa sette decenni dalla Nakba, il governo e i partiti israeliani continuano a porre ostacoli alle commemorazioni di tale evento, in modo particolare ai Palestinesi che vivono nei Territori occupati nel 1948.

Il partito “Yisrael Beiteinu” ha proposto un disegno di legge che autorizza l’imposizione di sanzioni alle istituzioni accademiche che consentono la commemorazione della Nakba nei Territori palestinesi occupati del ’48.

Il ministro Avigdor Lieberman ha affermato che tutti gli eventi per ricordare l’anniversario della Nakba “toccano i simboli dello Stato ebraico”.

La proposta di disegno di legge autorizza il presidente del Consiglio di istruzione superiore dello stato ebraico a imporre sanzioni severe sulle università, i college e le istituzioni accademiche che permettono agli studenti palestinesi di svolgere attività per commemorare la Nakba.

Il Consiglio dei Ministri israeliano ha inoltre approvato una legge che pone enfasi sul regime di apartheid ai danni della popolazione palestinese nei Territori occupati nel 1948. In base a tale “legislazione nazionale”, la lingua dello Stato di Israele è l’ebraico.

Vale la pena ricordare che Israele vuole essere riconosciuto come stato “ebraico e democratico”, e come “nazione del popolo ebraico”. Un paradosso linguistico e ideologico.

In base a un disegno di legge in materia di rifugiati, si afferma che “i diritti nazionali sono concessi solo al popolo ebraico” e “agli ebrei è concesso il monopolio del diritto di immigrazione”, eliminando così una delle costanti palestinesi nei negoziati e ponendo fine al processo di pace.

I palestinesi ritengono tale legge una continuazione delle politiche praticate dal governo israeliano contro di loro, e la legalizzazione della discriminazione razziale.

(Fonte: Quds Press)

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