Il clima invernale porta nuovi disastri a Gaza

E.I. L’inverno si sta abbattendo con forza su Gaza.

Le forti piogge degli ultimi mesi, a partire da novembre, hanno provocato l’allagamento di case e strade, specialmente nei numerosi campi profughi di Gaza

A dicembre, nel campo profughi di al-Shati della città di Gaza, Baha Hamad, 40 anni, stava esaminando i danni causati dalla pioggia che filtrava dal suo tetto di amianto.

“Non ho soldi per costruire il tipo di muri che impediscono all’acqua di filtrare all’interno”, ha detto a The Electronic Intifada.

La casa di Hamad ospita anche sua moglie e cinque figli, e la loro situazione non è unica. Molte case del campo necessitano di essere impermeabilizzate alla pioggia, soprattutto nelle zone che si affacciano sul Mar Mediterraneo, dove sono direttamente esposte a venti sferzanti e forti piogge.

Anche i vicoli stretti e le strade del campo si allagano facilmente.

“Le strade del campo sono state danneggiate a causa delle piogge nel corso degli ultimi anni e le case a causa delle infrastrutture carenti”, ha detto Hamad.

Alcuni di questi potevano essere evitati con un migliore drenaggio. Ma questo è il tipo di progetto infrastrutturale che i palestinesi a Gaza non possono intraprendere a causa del blocco israeliano-egiziano di 14 anni.

Anno cattivo, decennio peggiore.

Come ovunque, il 2020 è stato difficile a Gaza. Ma in questa sovraffollata, assediata e impoverita striscia di terra costiera, i blocchi e il dolore economico e umanitario derivante dalla pandemia globale di COVID-19 hanno solo esacerbato una situazione già disperata.

Più della metà della popolazione viveva già sotto la soglia di povertà. E l’economia ha sofferto drammaticamente conseguentemente al blocco israelo-egiziano su Gaza e alle ripetute operazioni militari israeliane che, secondo le Nazioni Unite, sono costate al territorio quasi 17 miliardi di dollari nel decennio 2007-2017.

L’ONU sostiene che senza il blocco e le operazioni militari israeliane, la povertà a Gaza sarebbe potuta scendere appena al 15% entro il 2017.

(Nella foto: bambini giocano in una strada allagata nel campo profughi di al-Shati. (Mohammed Al-Hajjar).

Certamente, i progetti infrastrutturali – reti fognarie, impianti di desalinizzazione dell’acqua, riparazioni all’unica centrale elettrica della zona – e un accesso sicuro e diretto a medicinali e attrezzature mediche avrebbero potuto risparmiare molto dolore ai due milioni di palestinesi di Gaza nell’ultimo anno di COVID-19.

Invece, l’impatto della pandemia è stato aggravato da una cronica e drammatica mancanza di farmaci essenziali e dispositivi di protezione individuale per i medici professionisti, mancanza di acqua potabile e pochi mezzi per l’apprendimento a distanza durante questo periodo di quarantena forzata.

Ora si aggiunge l’inverno.

Con febbraio, questo è già stato un inverno intenso per il servizio di protezione civile di Gaza. Secondo le statistiche del ministero degli Interni, da metà gennaio i soccorritori hanno risposto a oltre 130 emergenze meteorologiche, un numero che aumenterà prima della fine dell’inverno.

Niente soldi, niente riparazioni.

Lo scorso febbraio, la casa di Jamil Abu Riyala, anch’essa nel campo di Shati’, è stata danneggiata durante un periodo invernale simile, di forti piogge e tempesta, quando due lastre di amianto ondulate sono state spazzate via dal suo tetto.

Le pesanti piogge di novembre hanno poi causato perdite dal tetto. Il mese scorso, altre due lamiere si sono staccate dal tetto, che ha iniziato a perdere di nuovo.

Abu Riyala, 38 anni, non può permettersi le costanti riparazioni che questi danni richiedono, né riparare le perdite attraverso le quali l’acqua piovana penetra nelle abitazioni. L’ex fabbro vive lì con la moglie e tre figli, oltre a quattro fratelli disoccupati, uno dei quali con due figli.

Stanno affrontando la peggiore situazione finanziaria che hanno mai vissuto e le riparazioni, necessarie come sono, non fanno che aumentare questo fardello.

“Non ho i soldi per pagare i materiali di cui ho bisogno per tappare i buchi nel mio tetto”, ha detto Abu Riyala a The Electronic Intifada. Ma non fare riparazioni significa anche potenziali costi aggiuntivi.

“Sfortunatamente, l’acqua è penetrata in casa mia e ha danneggiato i mobili”.

Anche Hamad, ex pescatore ed ora disoccupato, non ha i soldi per riparare i danni alla sua casa causati dal tempo inclemente.

La loro situazione è condivisa da altri residenti del campo ogni inverno.

“Le case nel campo sono affollate. Molte di loro saranno gravemente danneggiate se le strade si allagheranno. Negli anni precedenti, abbiamo cercato di mettere fuori delle barriere di sabbia, ma non ci hanno aiutato molto”, ha detto Abu Riyala a The Electronic Intifada.

Si prevede che questo inverno sarà ancora più duro, a causa delle restrizioni pandemiche di lockdown che hanno costretto la chiusura di molte attività, spingendo ancora più persone nella povertà.

Nel campo profughi di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, i residenti sono in condizioni ancora peggiori. Lì, Suzan Huneidek, 40 anni, suo marito e sei figli, di età compresa tra 3 e 15 anni, devono raccogliere legna da ardere per mantenere calda una casa che sta perdendo da due mesi.

Il marito di Huneidek, Muhammad, 42 anni, era un contadino ma da cinque anni è disoccupato. Semplicemente non hanno soldi per le riparazioni. E hanno sempre freddo.

L’anno più difficile.

Huneidek cerca di bruciare la legna per tenere al caldo i suoi bambini e per riunirli tutti in una stanza vicino alla porta, dove l’acqua piovana non filtra.

“Combattiamo duramente per assicurarci cibo da qualsiasi parte. Faccio le pulizie nelle case per soldi. Ma non possiamo sfuggire all’asprezza dell’inverno. Durante le piogge di dicembre, l’acqua filtrava nei letti dei miei figli e li ho dovuti coprire con la mia coperta”, ha detto.

Muhammad ha riferito che la famiglia non è stata in grado di sostituire i materassi e le coperte umide per i bambini.

“Questo è l’inverno più duro di sempre. A volte non possiamo garantire il cibo. E non ci possiamo permettere nulla per proteggerci dal freddo”, ha detto l’ex agricoltore a The Electronic Intifada.

(Nella foto: Suzan e Muhammad Huneidek non possono permettersi di riparare il tetto del loro alloggio a Khan Younis. (Mohammed Al-Hajjar).

Nel quartiere di Sheikh Radwan della città di Gaza, Muhammad Radi, 40 anni, ha trascorso due notti con l’acqua piovana che gocciolava dal tetto della sua casa. Ha provato a riparare le perdite diverse volte ma senza successo.

Aveva l’abitudine ogni anno di prendere un materiale speciale per ripararli e alcuni anni montava teli di nylon per deviare l’acqua piovana sulla strada.

Non può più permettersi tali misure. L’ex operaio edile, ora disoccupato, a volte non può garantire nemmeno il cibo ai suoi quattro figli.

“Quest’anno è duro per tutti noi. Passo tutto il tempo a pensare a come garantire il cibo ai miei quattro figli, ma sono disoccupato da tre anni”, ha raccontati Radi a The Electronic Intifada. “Ricevo solo pacchi alimentari dall’UNRWA ogni due o tre mesi”.

L’UNRWA è l’organismo delle Nazioni Unite che si prende cura dei rifugiati palestinesi.

Durante l’inverno, ha continuato Radi, i residenti del campo normalmente andavano a raccogliere legna da ardere per mantenere calde le loro case piene di amianto e che perdevano acqua, ma le restrizioni pandemiche hanno impedito loro di farlo.

“Questo inverno è duro per noi”, ha detto Radi. “Fin dall’inizio, la mia casa non era adatta all’abitazione umana. Adesso fa troppo freddo anche per gli animali.”

Ola Mousa è un’artista e scrittrice di Gaza.

Traduzione per InfoPal di Silvia Scandolari