Inviato dell’ONU preannuncia “costi catastrofici” se la crisi di Al-Aqsa non sarà risolta

Palestinechronicle.comL’inviato dell’ONU in Medio Oriente ha dichiarato che entro venerdì sarà necessario trovare una soluzione per risolvere la crisi della Spianata delle Moschee a Gerusalemme, che minaccia di causare “costi potenzialmente catastrofici ben oltre le mura della Città Vecchia”.

“È estremamente importante che la soluzione alla crisi attuale venga trovata entro venerdì”, ha detto lunedì  Nickolay Mladenov ai giornalisti, dopo una riunione a porte chiuse davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

“Il rischio di scontri in zona sarà sempre maggiore se non risolveremo la crisi attuale prima del prossimo venerdì di preghiera”.

Inoltre lunedì l’ambasciatore del Regno Unito alle Nazioni Unite ha invitato “tutte le parti a condannare gli atti di violenza”.

Matthew Rycroft ha riferito ai giornalisti nella sede dell’ONU di New York quanto sia importante che tutto il Consiglio di sicurezza si “unisca e faccia il possibile per facilitare il raggiungimento di un accordo di pace in Medio Oriente”.

Il Quartetto per il Medio Oriente, rappresentato da Russia, Stati Uniti, Unione Europea e ONU, ha rilasciato una dichiarazione in cui incoraggia Israele e Giordania a lavorare insieme per allentare le tensioni, sottolineando il ruolo speciale che gioca il Regno hashemita, come indicato nel suo trattato di pace con Tel Aviv.

Nel frattempo lunedì la Corte Reale di Giordania ha rilasciato una dichiarazione in cui comunica che il re Abdullah II ha discusso la crisi con il primo ministro Benjamin Netanyahu, rimarcando la necessità di rimuovere le misure di sicurezza adottate dall’esercito israeliano.

Nella dichiarazione, Abdullah ha anche sottolineato l’importanza di concordare le misure in futuro per evitare la ricorsività di questi inasprimenti e per garantire il rispetto della situazione storica e legale del luogo santo.

Le tensioni si sono riacutizzate quando Israele ha installato i metal detector e le telecamere a circuito chiuso nel punto d’ingresso della moschea al-Aqsa, gestita dai musulmani, dopo l’uccisione, il 14 luglio, di due poliziotti israeliani da parte di tre uomini armati.

I palestinesi vedono la mossa come un tentativo dello Stato ebraico di esercitare il proprio controllo sull’area sacra.

Per questo motivo si sono rifiutati di entrare nella moschea in segno di protesta e hanno pregato per strada, all’esterno.

Durante le proteste contro le misure di sicurezza, sono scoppiati alcuni scontri che hanno provocato la morte di cinque palestinesi e centinaia di feriti. Negli scontri sono stati uccisi anche tre israeliani.

Il capo della Lega araba, Ahmed Abul Gheit, domenica ha accusato Israele di “giocare con il fuoco” per via delle nuove misure di sicurezza e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan le ha chiamate un insulto al mondo musulmano.

L’area in questione, conosciuta dai musulmani come Nobile Santuario e dagli ebrei come Monte del Tempio, si trova a Gerusalemme est, territorio occupato.

È stata occupata da Israele nella guerra dei sei giorni del 1967 e successivamente annessa allo Stato ebraico in una mossa mai riconosciuta ufficialmente dalla comunità internazionale.

Traduzione di Simona Pintus