La storia non scritta dell’alleanza di Israele con la dittatura dello Scià

972mag.com. (Da InvictaPalestina.org). Per anni Israele ha mantenuto strette relazioni politiche, economiche e di sicurezza con lo Scià dell’Iran. Documenti appena desecretati rivelano che i leader israeliani erano ben consapevoli della soppressione degli oppositori politici.

L’anno 2019 segna il quarantesimo  anniversario della rivoluzione islamica in Iran, con la quale gli Ayatollah presero il controllo del Paese e abbatterono la monarchia assolutista dello Scià. Le masse iraniane, che all’epoca stavano affrontando  vari cambiamenti ideologici, rovesciarono il regime corrotto e oppressivo dello Scià.

Molto è stato scritto nel corso degli anni sui legami di Israele con lo Scià Mohammad Reza  e la sua dittatura. Solo quando è stato  ritenuto opportuno dal censore dell’IDF e dai funzionari politici e di sicurezza in Israele, le informazioni – e persino i documenti segreti di quel periodo – sono stati resi pubblici.

Negli archivi di stato israeliani, si possono trovare  ora i fascicoli del Ministero degli Esteri relativi alle relazioni con l’Iran, recentemente desecretati. Questi includono più di 10.000 pagine relative al periodo 1953 – 1979, pesantemente censurate se confrontate con file simili in altri Paesi.

I documenti denunciano estese relazioni di Israele con un Paese straniero, eccezionali non solo perché questi rapporti politici e di sicurezza riguardavano un Paese musulmano, ma anche perché i rapporti con la dittatura dello Scià erano strategici e centrali per la sicurezza dello Stato di Israele, sia da un punto di vista economico che politico. All’epoca, le relazioni di Israele con molti altri Paesi erano limitate principalmente alla vendita di armi in cambio di voti nei forum internazionali.

Così, per esempio, Israele acquistava  dal regime dello Scià una porzione significativa del suo petrolio (e in alcuni anni tutto), mentre l’Iran usava Israele come intermediario per vendere il suo petrolio a Paesi terzi. L’alleanza sul petrolio richiedeva che Israele e lo Scià garantissero la sicurezza delle rotte marittime. Ciò rafforzò la loro collaborazione nella lotta contro i ripetuti tentativi egiziani di Gamel Abdel Nasser di promuovere in Medio Oriente alleanze ideologiche e militari ostili a Iran e Israele, in particolare negli Stati del Golfo e nella Penisola Arabica.

Le società israeliane private e di proprietà statale, che spaziavano dal tessile, all’agricoltura, agli elettrodomestici, all’acqua, ai fertilizzanti, all’edilizia, all’aviazione, alla navigazione, al gas, alle gomme e persino alle protesi dentarie, operarono a lungo in Iran. Per alcuni anni, l’Iran fu una delle principali destinazioni delle esportazioni israeliane. Contemporaneamente, il mondo accademico  israeliano godette  di una cooperazione relativamente ampia con accademici in Iran.

Lo Shah non riconobbe mai ufficialmente Israele.

Di fatto, l’Iran riconobbe  lo Stato di Israele nel marzo 1950, ma a causa delle pressioni interne di coloro che si opponevano a Israele e alle politiche filo-occidentali e filo-americane dello Scià, nonché delle pressioni esterne degli Stati Arabi, l’Iran evitò di riconoscere ufficialmente Israele.

A partire dal 1961 lo Scià ebbe una rappresentanza “segreta” a Tel Aviv, e Israele ne ebbe una permanente a Teheran, che a un certo punto divenne un’ambasciata comprendente attaché militari. A causa della natura delicata dell’accordo, i rappresentanti israeliani in Iran generalmente si astenevano dal condurre relazioni con il regime dello Scià attraverso i burocrati del Ministero degli Esteri e di altri Ministeri del governo. Svolgeva invece la sua attività attraverso una ristretta cerchia di politici e di fedelissimi dello Scià, nonché dei vertici della struttura di difesa dell’Iran. A volte tali rapporti venivano condotti direttamente con lo stesso Scià e il suo Ministro di Corte .

Il presidente Chaim Weizmann (a sinistra) riceve membri del corpo diplomatico, anche iraniani, il giorno dell’indipendenza, il 23 aprile 1950. (David Eldan / GPO)

Nel corso degli anni, Israele cercò di nascondere il suo coinvolgimento negli apparati di sicurezza dello Shah e nelle soppressioni da questi  attuate , eppure gli Iraniani  erano ben consapevoli degli aiuti di Israele al regime. In particolare, dello stretto legame di Israele con il servizio di sicurezza dello Scià, la SAVAK, responsabile della persecuzione politica, della tortura e dell’omicidio degli oppositori politici del monarca.

Data l’ampiezza delle relazioni tra i due Paesi, mi concentrerò sui documenti relativi all’assistenza israeliana agli apparati di sicurezza e ai metodi di repressione della dittatura dello Scià, che alla fine avrebbero causato la sua caduta. Questi documenti attestano la profondità del coinvolgimento israeliano nel regime, l’importanza strategica di Israele in questa  relazione e il timore delle conseguenze della caduta dello Scià – una preoccupazione che divenne palpabile negli anni precedenti la fine del suo governo.

La stabilità attraverso l’oppressione.

La consapevolezza israeliana delle politiche oppressive dello Scià risulta evidente da un telegramma inviato il 22 aprile 1955 dall’ambasciata israeliana a Londra. Il telegramma  riferiva di un diplomatico iraniano che dice al suo interlocutore israeliano che il governo iraniano stava mettendo al bando il comunismo ovunque e che gli Americani erano soddisfatti di queste azioni.

Otto anni dopo, il 9 settembre 1963, il direttore del Dipartimento del Medio Oriente del Ministero degli Esteri israeliano, Nathaniel Lorch, scrisse che le tradizionali processioni religiose che si svolgevano quel mese si erano trasformate in manifestazioni di massa contro il regime dello Shah, e che il governo “era rimasto sorpreso  dall’uso delle manifestazioni religiose  come protesta politica. Le rivolte si sono diffuse in un certo numero di città. Il governo ha usato una grande forza per sopprimere le rivolte e ha annunciato ufficialmente che 86 persone sono state uccise e 193 ferite. Gli ultimi giorni sono trascorsi tranquillamente. Il regime controlla la situazione sia a Teheran che nelle sue province “.

Lorch affermava  che “gli slogan anti-israeliani dei manifestanti  sono stati solo una piccola parte di tutti gli slogan, e successivamente il tono anti-ebraico e anti-israeliano è completamente scomparso.” Lorch inoltre osservava che “dovrebbe essere vanificato ogni tentativo di presentare le relazioni israelo –iraniane come causa dei disordini” .

Da un rapporto del 3 gennaio 1964 stilato dal Dr. Zvi Doriel, capo della delegazione israeliana a Teheran: “Continua senza significativi turbamenti  la stabilità interna e il potere esclusivo  dello Scià, ottenuti con la soppressione dei religiosi e di altri oppositori del regime in giugno,  così come da quella che il regime considera una stagione elettorale di successo. Continua il processo di disintegrazione del Fronte Nazionale [la coalizione nazionalista che si opponeva allo Scià – E.M.]”.

Mohammad Reza  durante una visita alla Casa Bianca insieme al re di Giordania Hussein e al Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, nel 1976.

Lo Scià, secondo i rapporti israeliani, si appoggiava fortemente anche  al partito in carica  Iran Novin Party, promuovendo al contempo una parvenza di opposizione. Secondo un’inchiesta del 25 novembre 1964 realizzata da Israel Haviv del Dipartimento del Medio Oriente del Ministero degli Esteri, invece di mantenere il sistema di uno Stato governato dall’Iran Novin, lo Scià  sostenne l’esistenza del Partito Popolare come partito d’opposizione fittizio per dare alla vita parlamentare  iraniana un carattere più democratico.

Gli Iraniani  sono in grado di ‘reprimere qualsiasi movimento di resistenza’.

In una riunione del 19 dicembre 1964 tra il Ministro degli Esteri israeliano Abba Eban e il Ministro degli Esteri iraniano  Abbas Aram, quest’ultimo  elogiò i rapporti tra Israele e Iran e affermò che con nessun altro Paese le relazioni dell’Iran erano così strette. Tuttavia, gli Iraniani preferivano mantenere questi rapporti sottotono. Meir Ezri, un rappresentante israeliano a Teheran, riferiva in una missiva inviata il 5 maggio 1965 di un incontro con il Ministro degli Esteri in cui Aram si lamentava della natura pubblica delle attività di Israele nel Paese, sostenendo che avrebbero potuto  danneggiare le relazioni dell’Iran con i Paesi Arabi.

Ezri rispose al Ministro dicendo che “l’interesse di Israele nel Medio Oriente è l’esistenza di un Iran sovrano e prospero guidato dallo Scià, considerato un amico di Israele … Non crediamo che gli Arabi saranno mai amici dell’Iran, nonostante tutti gli sforzi iraniani. La nostra amicizia ci obbliga a portare all’attenzione dell’Iran ciò che sappiamo degli sforzi arabi  verso gli interessi iraniani più vitali”.

Israele, come notato, era consapevole della brutale repressione dell’opposizione iraniana. Il 27 gennaio 1966 David Turgeman, che faceva parte della missione israeliana in Iran, riferì che i leader del Partito comunista Tudeh erano stati condannati a morte in contumacia,  tassello di una strategia più ampia volta a  mettere i membri dell’opposizione sotto processo. Pochi mesi dopo, il 21 luglio, Turgeman riferì che lo Scià e gli alti vertici del governo erano fiduciosi e che “non vi è alcun pericolo interno posto dagli oppositori di sinistra e in ogni caso le forze di sicurezza sono in grado di soffocare qualsiasi resistenza o movimento clandestino”.

Turgeman non aveva dubbi sulla natura del regime. In un report dell’8 marzo 1967 scrisse, in concomitanza con le riforme di salvaguardia della famiglia, che “dobbiamo ammettere che la nuova legge è un classico esempio di benefici concessi da un regime assolutista illuminato”.

L’attaché dell’IDF è l”eroe del giorno’.

Ciò non impedì a Israele di considerare l’Iran una questione sostanziale. In un report preparato il 23 febbraio 1966, il direttore del Dipartimento del Medio Oriente del Ministero degli Esteri, Mordechai Gazit, scrisse che “per alcuni aspetti è stato detto che le relazioni Iran-Israele sono una sorta di alleanza segreta non scritta che offre a Israele una serie di vantaggi nei settori dell’economia, della sicurezza, del Medio Oriente e dell’anti-nasserismo”.

Gazit aggiunse che “Israele è impegnato nel rinnovamento degli aerei dell’aeronautica iraniana e degli aeromobili dell’aviazione civile con ingenti guadagni.Esperti israeliani sono stati impiegati nella propaganda persiana anti-Nasser … una cooperazione di intelligence molto ravvicinata con  la piena copertura del territorio iraniano … Stretta collaborazione tra l’IDF e l’esercito iraniano … Gli attaché sono in quotidiano contatto con lo staff dei generali iraniani e questo, di fatto, senza false modestie … L’acquisto dell’ IMI Systems, oltre agli accordi “Uzi” e altre acquisizioni sono in avanzato stadio di discussione. ”

Un rappresentante iraniano al Beit Berl College, Kfar Saba. (Fritz Cohen / GPO)

I documenti pubblicati non descrivono in dettaglio il contenuto della partnership tra Israele e la notoriamente disprezzata Savak. Tuttavia, i documenti presentano   un’analisi dettagliata della cooperazione militare. Ad esempio, secondo un telegramma del 4 gennaio 1967, il Primo Ministro iraniano chiese all’addetto militare israeliano a Teheran, colonnello Ya’aqov Nimrodi, di coordinare l’addestramento del capo delle sue guardie del corpo. In una conversazione tenutasi un mese più tardi con Meir Ezri, il rappresentante israeliano a Teheran, il Primo Ministro disse a Ezri che “aveva ordinato al comandante della gendarmeria di acquistare un fucile mitragliatore Uzi e  di aver approvato il budget secondo la richiesta del membro dell’IDF a Teheran”.

Due mesi dopo, il 13 aprile, l’allora capo di stato maggiore Yitzhak Rabin parlò con lo Scià, interessato agli aerei e ai carri armati israeliani, e quando si parlò della cooperazione israelo-iraniana questi si mostrò “ben informato su quello che stava accadendo e in particolare sul livello di sicurezza  e sulle  armi”.

Una relazione dell’Ambasciatore israeliano a Teheran, Dr. Zvi Dorel, il 29 agosto 1967, recitava come segue: “Abbiamo stabilito una collaborazione stretta, amichevole e pratica tra l’IDF e i servizi di sicurezza e le loro controparti iraniane, con un’esecuzione congiunta di programmi e missioni di importanza nazionale, con continue visite reciproche da parte dei capi delle forze armate e dei loro alti funzionari”.

“Vari problemi di sicurezza, vitali per Israele, sono stati risolti in stretta collaborazione con gli Iraniani”, proseguiva Dorel. “L’addetto militare è riconosciuto dallo stato maggiore e dal ministero degli Esteri iraniano, mantiene ampi rapporti con l’esercito iraniano e si occupa di un impressionante elenco di questioni di importanza nazionale e gode di particolare affetto da parte dei circoli militari iraniani …  Sono stati condotti negoziati avanzati per  l’acquisto di prodotti israeliani e programmi BEDEC per milioni di dollari … Il capo di Stato israeliano e il capo dei servizi di sicurezza hanno incontrato lo Scià diverse volte … l’esercito iraniano vede l’IDF e i servizi di sicurezza come alleati e come coloro che sono coinvolti nel creare contatti e questioni professionali … Nei circoli dell’esercito il colonnello Nimrodi, un attaché dell’IDF, è considerato  un eroe”.

Lo Scià nei gossip israeliani.

Secondo un telegramma datato 27 dicembre 1967 (non è chiaro chi lo abbia inviato): “La presenza israeliana è stata accettata dall’opinione pubblica iraniana come un dato di fatto che non può essere cancellato … L’Iran considera i regimi arabi ‘rivoluzionari’ non solo come la fonte di un nazionalismo arabo estremista, ma anche come minaccia al regime. Questo è conveniente e incoraggiante non solo per le strette relazioni tra i nostri servizi di sicurezza e quelli dell’Iran, ma anche per la diplomazia  delle capitali occidentali, in particolare degli Stati Uniti e del Regno Unito, persino nel coordinamento e nella cooperazione della loro politica verso il  Medio Oriente (per esempio nei confronti dei Curdi e dello Yemen)”.

Tuttavia, nonostante gli stretti rapporti, il regime dello Scià non gradiva particolarmente che queste relazioni – o le critiche al regime – fossero pubblicizzate. La cerchia ristretta dello Scià protestò ripetutamente  contro i resoconti dei media israeliani sia sul rapporto tra i due Paesi sia sull’edonismo della famiglia reale. Ad esempio, nell’agosto 1967 il ministero degli Esteri iraniano  protestò per un articolo di gossip sulla famiglia reale pubblicato su LaIsha, una rivista israeliana di lifestyle per donne, , anche se il rappresentante israeliano di Teheran spiegò che si trattava “di una rivista di poca importanza, letta da ragazze adolescenti”.

Secondo un telegramma inviato da Y. Margolin il 13 settembre 1967, il ministero degli Esteri esaminò la possibilità di appellarsi al Procuratore Generale per avviare un procedimento penale contro LaIsha e per richiedere che qualsiasi pettegolezzo pubblicato sulla famiglia dello Scià fosse prima approvato dalla censura dell’IDF.

Secondo un telegramma inviato nell’agosto del 1972 dall’ambasciatore Ezri al direttore generale del Ministero della Difesa, i negoziati per l’acquisto di aerei cisterna israeliani da parte della dittatura dello Scià stavano progredendo. Il 29 ottobre di quell’anno un rapporto preparato dal Ministero degli Esteri sulle esportazioni di sistemi di difesa israeliani alla dittatura rivela che tra il 1968 e il 1972 la IMI Systems  vendette all’Iran attrezzature per 20,9 milioni di dollari; Israel Aerospace Industries vendette  per $ 1,3 milioni; Soltam  16,9 milioni di dollari in mortai; Motorola vendette per $ 12 milioni; Tadiran  per $ 11,3 milioni e installò una fabbrica di apparecchiature radio in Iran; e il ministero della Difesa israeliano vendette attrezzature per un valore di 700.000 dollari.

Un fronte unito contro il comunismo.

Una lettera dal viceministro delle finanze del ministero delle Finanze al vice direttore generale della Direzione della Cooperazione Internazionale della Difesa del Ministero della Difesa israeliano datata 28 giugno 1973 afferma che “Recentemente, i funzionari israeliani hanno aumentato le loro attività in Iran, tra cui:  reparti di produzione dell’IDF e del nostro ministero della Difesa, industria aerea, Tadiran, Motorola e altri stanno cercando di vendere i loro servizi e prodotti all’esercito iraniano, al Ministero della Difesa iraniano e ad agenzie governative analoghe”.

“Lo spettro di attività è ampio, va dalla fornitura di prodotti militari ed elettronici fabbricati in Israele, all’esportazione di sistemi per la loro creazione e assemblaggio sul posto,ovvero formazione, costruzione, assemblaggio e manutenzione di impianti di terra attraverso gli appaltatori. Da ciò che è stato portato alla nostra attenzione, vediamo che le attività di vari organismi israeliani sono simili e forse anche sovrapposte”, scriveva il vice supervisore.

La polizia iraniana fu addestrata in Israele da Motorola nell’utilizzo di apparecchiature di comunicazione, ma secondo un telegramma inviato il 2 luglio 1975 da A. Levin della missione israeliana a Teheran all’Agenzia per la Cooperazione Internazionale allo Sviluppo, gli Iraniani chiesero di “ricevere” una  formazione completa nelle strutture di polizia israeliane. “Levin ha raccomandato che la richiesta fosse accettata e alla fine ha informato il Ministero degli Esteri che” la polizia di Israele accetta il corso per gli ufficiali di collegamento iraniani “e che la parte teorica del corso  includerà “visite alle strutture di polizia”.

Manifestanti  di sinistra durante le manifestazioni contro il regime dello Shah. Dietro di loro è scritto: “Lunga vita all’antimperialismo e alle forze democratiche” – 1 gennaio 1979.

Queste relazioni esistevano fino ai livelli più alti. Il Primo Ministro Golda Meir incontrò lo Scià nel 1972 e in un rapporto del 19 maggio affermò che questi “pensa che le relazioni e la cooperazione tra Paesi che si oppongono al comunismo dovrebbero essere rafforzate: Persia, Israele, Turchia ed Etiopia”. Due anni più tardi, quando Meir si dimise e Yitzhak Rabin prese il potere, anche il nuovo Primo Ministro israeliano visitò l’Iran. Secondo un telegramma dell’8 dicembre 1974, Rabin incontrò il capo dei servizi di sicurezza iraniani.

L’inizio della fine.

Fu durante quegli anni che Israele iniziò a ritenere che il regime fosse instabile. In un rapporto preparato dal Ministero degli Esteri datato 11 settembre 1972, poco dopo la visita di Meir a Teheran, si  sottolineava che “l’agitazione sociale è manifesta tra studenti e intellettuali e la stabilità del regime viene mantenuta attraverso la polizia”. Quattro anni dopo , nel giugno 1976, Israele aveva già capito che lo Scià era nei guai.

Un telegramma inviato all’epoca dall’ambasciatore israeliano Uri Lubrani affermava che la politica di liberalizzazione dello SCIà, che includeva l’assunzione di poteri dalla SAVAK, aveva  fatto sì che “quegli  elementi opportunistici che fino a poco tempo prima erano stati nascosti o dormienti ne aprofittassero ed iniziassero  ad esprimere la loro opposizione al regime”. Questo costrinse lo Scià a restituire parte dell’autorità alla SAVAK, nel tentativo di controllare la situazione.

L’ambasciatore Lubrani  aggiungeva che “oggi in Iran il sentimento di molti è che lo status dello Scià abbia iniziato molto velocemente a essere minato, un processo che non può essere invertito e che alla fine porterà alla sua sconfitta e a un drastico cambiamento nella forma di governo. È molto difficile fare una stima del tempo che ci vorrà  e la mia valutazione personale, non basata su dati oggettivi, è che ciò avverrà più o meno nei prossimi cinque anni. Non c’è risposta alla domanda su chi o cosa sostituirà l’attuale regime. È ragionevole presumere che la monarchia finirà e che, almeno nella prima fase, i militari prenderanno il suo posto. La grande domanda è chi li guiderà e quale direzione prenderanno”.

Una dimostrazione pro-Shah a Tabriz, in Iran, 1978.

Per quanto riguarda le conseguenze per lo Stato di Israele, l’Ambasciatore Lubrani scriveva che “le implicazioni di una nuova situazione per le relazioni Israele-Iran nel caso in cui  il governo dello Shah dovesse essere minacciato saranno molto serie,  considerato che  l’attuale regime dello Scià è il più positivo per Israele. Qualsiasi cambiamento in questo governo andrà, a nostro giudizio, a scapito delle nostre relazioni con questo Paese

Lubrani sottolineava inoltre come all’epoca Israele avesse estese attività in Iran, comprese ” relazioni che riguardavano la fornitura di petrolio dall’Iran, (sia per rifornirsi di carburante che per l’oleodotto di Eilat-Ashkelon), inclusa la vendita per i progetti legati alla sicurezza” e che “gli accordi sulla sicurezza recentemente firmati  implicano un impegno israeliano nei confronti delle aree sensibili dell’Iran, così come gli impegni finanziari iraniani sono significativi per la nostra economia nazionale”.

Col passare del tempo, Israele si preoccupò sempre più del destino del regime. Due anni dopo, il 14 agosto 1978, Lubrani inviò un telegramma al Ministero degli Esteri a Gerusalemme, in cui dipingeva un quadro desolante del futuro dello Scià. L’ambasciatore  aveva incontrato il vice capo della polizia Ja’afri, del quale riferiva che “a breve termine non prevede difficoltà nel mantenere la legge e l’ordine e crede che il regime militare sia in grado di affrontare qualsiasi tentativo di ribellione. D’altra parte, crede che questa situazione non possa continuare indefinitamente e che se il governo non adotterà misure di ampia portata per cambiare il sistema di governance e le sue priorità, il regime esistente crollerà”.

Ja’afri credeva che lo Scià ignorasse la sua vera situazione. Criticò anche il capo della SAVAK per “non aver introdotto cambiamenti nel sistema che la gente aveva  odiato per anni”. Ja’afri sosteneva che il regime aveva  commesso un errore quando aveva utilizzato  l’esercito e “causato molte vittime”, mentre riconosceva ” le relazioni speciali che abbiamo avuto con lui e ha promesso di aiutarci se necessario”.

L’ultima speranza.

Un mese e mezzo dopo, il 28 settembre, Lubrani riferì al Ministero degli Esteri di aver incontrato lo Scià alla luce delle enormi manifestazioni che cercavano di far cadere il regime. Durante l’incontro, lo Scià sostenne ripetutamente che i responsabili della dimostrazioni erano i comunisti. Quando lo Scià chiese a Lubrani qual era la sua posizione, egli rispose che “nelle questioni politiche ho sempre agito sia in tandem con il capo della SAVAK, sia attraverso il Ministro della Corte Reale o con Tufanian (Vice Ministro della Difesa – EM)”.

Lubrani  riassunse così l’incontro: “Ho avuto un’impressione negativa dell’uomo. Non è la persona che conoscevo, era distante e a volte assente. Non c’è dubbio che  abbia attraversato un incubo dal quale deve ancora riprendersi completamente. È pieno di terrore e incerto sul suo futuro. L’aspetto più preoccupante è la sensazione che sembra  essere rassegnato al suo destino, senza alcun desiderio di prendere in mano la situazione e di cambiarla. Aggiungerò che è possibile che io abbia trovato lo scià in un temporaneo momento di depressione”.

Dimostranti anti-Scià  protestano nella Jaleh Square di Teheran, il 7 settembre 1978. Il giorno seguente, le forze di sicurezza iraniane avrebbero aperto il fuoco, uccidendo oltre 80 manifestanti, in quello che sarebbe diventato noto come il “Black Friday”.

Israele non voleva perdere a nessun costo la sua roccaforte in Iran. Se lo scià doveva essere deposto, Israele sperava che un regime militare avrebbe preso il suo posto. In un telegramma del 30 dicembre 1978, il Direttore del Dipartimento del Medio Oriente presso il Ministero degli Affari Esteri, Yael Vered, scrive che la migliore opzione per lo Stato di Israele è “l’estrema durezza dell’esercito nella repressone e l’istituzione di un regime e di un governo militare. Che a tale soluzione venga dato il via dall’esercito nella forma di un colpo di stato militare e il tacito consenso dello Scià”.

Il 4 gennaio 1979, in un disperato tentativo di portare la calma nelle strade del paese, lo Scià nominò Shapour Bakhtiar Primo Ministro. Israele, tuttavia, non si faceva illusioni sulla sua capacità di governare. Quattro giorni dopo, Vered inviò un telegramma alle rappresentanze  israeliane in tutto il mondo, dicendo che il governo di Bakhtiar non aveva alcun sostegno pubblico e rischiava di crollare.

Vered scrisse che lo Scià e Bakhtiar avevano raggiunto un’intesa sul fatto che lo Scià “andasse in vacanza” “, ma “per quanto tempo e su chi deciderà del suo ritorno  non è chiaro e ciò in futuro potrebbe portare a una crisi. Lo Scià continua a simboleggiare l’unità dell’Iran, e la lealtà dell’esercito verso di lui, anche oggi e nonostante il numero di incrinature, è indubbia”.

Vered stimò che se Khomeini e i suoi sostenitori avessero preso il potere, le relazioni con Israele sarebbero finite. Eppure continuava a sperare che l’esercito avrebbe preso il sopravvento e che l’Iran avrebbe assunto “un’altra forma di governo simile a quella attuale ma con l’esercito, ed è probabile che la presenza (di Israele – EM) continuerà se pure, almeno inizialmente, con un profilo più basso”. Le speranze di Vered non si concretizzarono e il 16 gennaio lo Scià  fuggì dall’Iran.

L’ayatollah Khomeini torna in Iran dopo 14 anni di esilio il 1 febbraio 1979. (sajed.ir/BY-SA 3.0)

L’11 febbraio, circa una settimana dopo che Khomeini era tornato in Iran dall’esilio, il governo israeliano decise di evacuare i suoi rappresentanti a Teheran, in particolare l’Ambasciatore Yossef Harmelin, mentre allo stesso tempo valutava la possibilità di lasciare un suo rappresentante in modo da non troncare completamente i legami con il nuovo regime”. Dopo che il Mossad ha annunciato l’evacuazione deIla nostra gente , il Ministro degli Esteri ha incaricato il direttore generale  di esaminare la possibilità di lasciare una persona  con un ruolo diplomatico per non tagliare i ponti”, riportava il telegramma. “Non ci saranno annunci ufficiali riguardo la partenza dell’Ambasciatore. Se si sapesse che  Harmelin se ne va e venisse arrestato, sarebbe in pericolo, perché era l’ex capo dello Shin Bet”.

“Le masse possono abbattere un regime con i carri armati”.

Israele continuava nonostante tutto a  nutrire speranza nel  nuovo regime. Tre giorni dopo, il Ministro degli Esteri Moshe Dayan incontrò l’ambasciatore giapponese in Israele. Un rapporto inviato all’ambasciata israeliana a Tokyo  riporta che Dayan disse al diplomatico che “lo stadio attuale (in Iran – E.M.) non è definitivo ma è una transizione verso un nuovo periodo. C’è preoccupazione  sul fatto che l’influenza degli estremisti di sinistra possa crescere e che oltre al cambiamento religioso degli Sciiti, si possa diffondere anche la xenofobia”.

Secondo Dayan, l’Iran avrebbe avuto ancora bisogno degli stranieri per far funzionare le sue sofisticate armi, specialmente dopo che gli Americani se n’ erano andati. Il Ministro Dayan espresse inoltre la sua preoccupazione per il destino della comunità ebraica in Iran, sostenendo che “bisogna preoccuparsi dell’influenza  di ciò che è avvenuto in Iran su altri Paesi dell’area come Egitto, Arabia Saudita, Giordania, Sudan e Marocco, anch’essi Paesi dove  i diritti civili non vengono rispettati”.

Lo stesso giorno, Dayan parlò  con il Segretario della Difesa statunitense Harold Brown, che secondo il protocollo disse  al ministro israeliano che “gli Stati Uniti non si sentono in colpa per quello che è successo allo Scià, dal momento che lo Scià non è stato capace di sviluppare una classe dirigente che avrebbe potuto aiutarlo  nell’assumersi parte delle responsabilità. Tutto il Paese era nelle sue mani, quindi gli errori sono solo suoi. C’era anche il problema della corruzione. La rivoluzione in Iran ha raggiunto le masse. C’è un forte senso di nazionalismo. Si può solo sperare che gli Iraniani capiscano quali siano i principali fattori per il loro interesse nazionale e che agiscano di conseguenza”.

Ma al di là delle preoccupazioni per la perdita di un “avamposto” israeliano in Iran, Israele aveva altre preoccupazioni non meno gravi: il timore che le masse in Medio Oriente imitassero gli Iraniani e rovesciassero i loro regimi. Secondo il verbale di una riunione dei vice direttori generali tenutasi lo stesso giorno in cui Dayan aveva parlato con Brown, Pinchas Eliav, direttore della ricerca politica presso il Ministero degli Esteri, affermò che il vero problema era che “il carattere socio-economico-politico dell’insurrezione ha dimostrato che la strada e le  masse possono abbattere un regime dotato di carri armati, di armi modernissime  e di un’aeronautica”.

“Tutte queste forze stavano davanti a una strada che è comunque una strada (forse Khomeini aveva inviato alcuni agenti e qualche elemento  comunista), l’incitamento e l’ideologia, e le masse sono riuscite a rovesciare il regime. Questo è, a mio parere, un presagio di pericolo per tutti i regimi della regione, compresi quelli radicali”.

Né Israele né gli Stati Uniti si sono mai assunti  la responsabilità del loro ininterrotto sostegno alla dittatura e allo Scià nello schiacciare la sinistra e gli elementi progressisti in Iran. La loro condotta fu determinante nella nascita della dittatura degli Ayatollah.

Eitay Mack è un avvocato israeliano per i diritti umani che lavora per fermare gli aiuti militari israeliani a regimi che commettono crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta in ebraico su Local Call.

Traduzione per Invictapalestina.org di Grazia Parolari.