Muhammad Elayyan è solo un bambino ma è stato convocato per un interrogatorio israeliano

MEMO. Di Hossam Shaker. Muhammad Rabi’ Elayyan è stato convocato dalla polizia israeliana per essere interrogato; il mandato è stato consegnato alla sua famiglia nella Gerusalemme occupata, che ha dovuto accompagnarlo alla stazione di polizia. Il bambino ha solo 5 anni ma non è il primo ad essere convocato per un interrogatorio.

Conosciamo la sua particolare situazione per via del supporto che ha ricevuto dai vicini che lo hanno accompagnato alla centrale di polizia martedì mattina 30 luglio. Le immagini dell’incidente hanno fatto il giro del mondo.

È partito da casa sua con il padre dal quartiere Issawiya di Gerusalemme, portando con sé un giocattolo e alcuni snack nel caso in cui gli venisse fame durante l’interrogatorio o se addirittura lo arrestassero per aver presumibilmente lanciato delle pietre.

La polizia ha notato che la sua usuale intimazione ai danni di bambini era sui social media grazie ai palestinesi ed ai loro cellulari, con i quali catturano immagini delle violenze perpetrate dalle forze di occupazione.

La polizia ha dovuto negare l’intenzione di sottoporre il bambino a interrogatorio, affermando invece che avrebbero interrogato il padre circa le accuse secondo le quali suo figlio avrebbe lanciato delle pietre alle forze di occupazione. La famiglia del bambino ha prontamente mostrato come la convocazione emessa la sera prima nominasse specificamente Muhammad Rabi’ Elayyan.

Quanto avvenuto a questo bambino palestinese rappresenta la realtà della violenza fisica e psicologica che le autorità di occupazione israeliane infliggono ai bambini palestinesi, nella maggior parte dei casi di nascosto. L’arresto e la tortura da parte di Israele nei confronti di bambini palestinesi non è nulla di nuovo, nonostante la propaganda israeliana affermi il contrario. Le sanzioni imposte dalle autorità di occupazione a questi giovani includono gli arresti domiciliari e l’espulsione scolastica. Il numero di ragazzini sotto i 14 anni ai quali sono state imposte tali sentenze oscilla tra 60 e 100 nella sola Gerusalemme. I ragazzi più grandi vengono mandati addirittura in prigione, come nel caso del sedicenne Fawzi Al-Junaidi, colpito da un soldato mentre passava vicino e poi arrestato con estrema brutalità da 23 soldati a Hebron il 7 dicembre 2017. Al-Junaidi è stato bendato e ammanettato, una scena orripilante che è stata riportata dai media di tutto il mondo.

Sul piano psicologico, il terrore peggiore inflitto ai bambini palestinesi è assistere ad alcune di queste orribili esperienze lungo la Cisgiordania occupata e Gerusalemme quando persone del loro vicinato vengono arrestate dagli israeliani. Le esperienze più traumatiche sono quelle che avvengono all’interno delle case palestinesi quando le forze di occupazione irrompono all’alba quasi giornalmente in villaggi e città per sequestrare le persone mentre dormono.

Queste violente campagne colpiscono l’intera comunità palestinese e mirano sistematicamente a dissuadere chiunque dallo sfidare l’occupazione. I cuori di decine di bambini palestinesi tremano quando assistono all’arresto dei loro padri, simbolo di protezione, dei fratelli maggiori o addirittura di madri e sorelle.

Tali esperienze rimangono incise nei loro cuori e nelle loro menti lasciando loro un motivo per riversare la rabbia contro l’occupazione ed i suoi soldati, urlando contro essi o usando altri mezzi, ad esempio lanciare pietre. Tutto ciò può portare a suo volta ad ulteriori azioni da parte delle forze di occupazione israeliane, che utilizzano proiettili contro studenti, proprio come fanno in Cisgiordania (e nella Striscia di Gaza, ovviamente).

Dall’autunno del 2015 questa è ormai la routine.

La demolizione e gli ordini di sfratto forzato rilasciati dalle autorità di occupazione israeliane alle famiglie palestinesi a Gerusalemme ed in Cisgiordania sono un altro elemento di terrore per i bambini. Quelli rilasciati nel villaggio beduino Khan Al-Ahmar ad est di Gerusalemme sono un esempio della continua oppressione dei beduini palestinesi e delle loro comunità, minacciati per anni di trasferimento forzato in tutta l’Area C di Oslo nella quale Israele detiene il controllo amministrativo e di sicurezza.

In questi villaggi, i bambini palestinesi vivono sotto la costante minaccia esistenziale nelle loro stesse case.

Effettivamente, ogni aspetto dell’infanzia palestinese è minacciato, soprattutto in alcune zone di Gerusalemme, dove le autorità israeliane hanno ordinato la demolizione di case “prive di licenza”. L’occupazione utilizza tali ordini per affermare il suo controllo e la capacità di estendere gli insediamenti illegali nel territorio palestinese. Così facendo, vengono inoltre bloccate le richieste di permesso presentate dai palestinesi locali che sanno di non poter costruire la propria casa senza licenza poiché prima o poi verrebbe distrutta.

Le demolizioni sono eventi tragici, come si è visto la scorsa settimana nel Wadi Al-Hummus, in cui bulldozer ed esplosivi hanno lasciato 100 famiglie palestinesi senza casa, per la gioia dei soldati israeliani responsabili. Non si può neppure immaginare quanto ciò abbia colpito i bambini di queste famiglie.

Fortunatamente, i palestinesi più giovani sono nati e cresciuti sotto l’occupazione israeliana ed hanno imparato l’arte della resilienza dai più grandi. Inoltre, sono abili con i social media perciò episodi come quello accaduto a Muhammad Rabi’ Elayyan mentre andava all’interrogatorio per mano degli ufficiali israeliani, saranno sempre riportati.

Traduzione per InfoPal di Giorgia Temerario