ONG: furto di reperti archeologici dimostra che Israele non ha la coscienza pulita

 

-93750588Gerusalemme-PIC. Le Organizzazioni non-governative hanno sollevato pesanti critiche nei confronti di Israele dopo che, lunedì scorso, il Tribunale distrettuale di Gerusalemme si è rifiutato di fornire i nomi degli archeologi che stavano portando avanti gli scavi nei siti archeologici della Cisgiordania occupata.

Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, il Tribunale ha dichiarato che i nomi degli archeologi devono rimanere segreti, così come il luogo in cui sono conservati i reperti venuti alla luce durante gli scavi.

Questa azione è da attribuirsi alla paura di Israele di incorrere in boicottaggi accademici, e le conseguenti difficoltà che ne potrebbero derivare per i progetti archeologici in corso nei territori occupati.

La decisione è stata presa in risposta a una petizione firmata dall’associazione per i diritti umani Yesh Din, e dalla ONG archeologica Emek Shaveh, nei confronti del governo militare israeliano in Cisgiordania (l’Amministrazione Civile) e dell’ufficiale del personale del Dipartimento di archeologia, responsabili del rilascio delle licenze per gli scavi archeologici nei territori occupati.

Le parti attrici hanno chiesto informazioni che i militari si sono rifiutati di fornire, nel contesto di una richiesta di libertà di informazioni. Principalmente le informazioni riguardavano i nomi degli archeologi e i luoghi in cui le autorità israeliane conservano i reperti archeologici che vengono alla luce in Cisgiordania.

La decisione del giudice del Tribunale distrettuale Yigal Marzel si è concentrata in particolare sulla questione del rilascio dei nomi degli archeologi. Il giudice Marzel ha riconosciuto l’importanza di pubblicare i nomi, come da consuetudine in Israele, non solo per motivi di trasparenza ma anche perché le scoperte derivate dagli scavi spesso sono pubblicate a livello accademico.

Tuttavia, il governo dell’occupazione ha fatto in modo di convincere il giudice Marzel che pubblicare i nomi degli archeologi, i quali hanno testimoniato in un’udienza ex parte (senza le parti attrici) avrebbe rappresentato un serio rischio di boicottaggio accademico, in quanto gli archeologi avevano lavorato nei territori occupati con una licenza emessa dal regime militare.

Le autorità dell’occupazione israeliana hanno evidenziato anche il rischio che gli archeologi non possano pubblicare nei giornali accademici internazionali, e che gli accademici di altre nazioni potrebbero rifiutarsi di lavorare con loro in futuro o di invitarli alle conferenze, mettendo così a repentaglio le loro carriere professionali. Dunque, come deciso dal tribunale, il rischio personale corso dagli archeologi e dal futuro della ricerca è sufficiente a giustificare la non pubblicazione dei nomi. Alcuni archeologi erano d’accordo a consegnare i loro nomi alle parti attrici, e così hanno fatto.

Il tribunale inoltre ha rifiutato la richiesta delle parti attrici di sapere dove Israele conserva i reperti archeologici venuti alla luce. I rappresentanti dell’organizzazione hanno dichiarato, ancora una volta a porte chiuse e senza le parti attrici presenti, che con la pubblicazione di questa informazione si correrebbe il rischio che i reperti vengano trafugati.

In risposta alla decisione, Yesh Din ha rilasciato una dichiarazione in cui si legge: “La paura delle autorità israeliane del boicottaggio nei confronti degli archeologi in Cisgiordania e del rischio per le relazioni internazionali […] è l’ammissione che Israele sa di avere la coscienza sporca, e che deve quindi occultare le proprie attività archeologiche in Cisgiordania. È un peccato che il tribunale abbia deciso di appoggiare una politica di occultamento e oscurità che nega al pubblico il diritto di sapere e la possibilità di commentare e criticare.

Anche Emek Shaveh ha risposto: “Soprattutto, la decisione del tribunale dimostra che l’archeologia in Cisgiordania è trattata alla stregua di un’attività militare, e non di ricerca accademica. È fondamentale ai fini della ricerca rivelare i nomi dei ricercatori e pubblicare le loro scoperte. Se è possibile tenere nascosti i nomi degli archeologi in Cisgiordania e il pubblico non ha alcun modo di sapere dove siano conservati i reperti, allora si può concludere che l’archeologia in Cisgiordania è fondamentalmente una questione politica”.

Traduzione di Giovanna Vallone