Prigionieri palestinesi, l’appello ai parlamentari dell’Europa

Riceviamo dal Palestinian Return Centre (Prc) di Londra – e pubblichiamo.

Lettera – appello in sostegno ai prigionieri palestinesi in sciopero della fame da inviare ai premier e parlamentari degli Stati dell’Unione Europea.

Egregio signor Primo Ministro 

Le scrivo perché sostengo la necessità di porre fine alla disperata situazione in cui si trovano migliaia di prigionieri palestinesi. Le disumane condizioni che essi devono sopportare hanno innescato ondate di scioperi della fame tra i prigionieri palestinesi, uno dei quali, Khaden ‘Adnan, segnatamente ne ha sopportato uno per 65 giorni.

Oltre 20mila palestinesi – vale a dire il 20% della popolazione dei Territori occupati da Israele – sono stati imprigionati dall’occupazione israeliana. Attualmente sono 4.897, i prigionieri politici, 269 dei quali si trovano in detenzione amministrativa, 10 sono le donne e 176 i minori, anche bambini, 22 sono i deputati del Consiglio legislativo palestinese (Clp).

Alcune realtà che seguono il caso dei prigionieri fanno una stima di circa 2mila detenuti palestinesi attualmente in sciopero della fame, in un estremo tentativo di migliorare le proprie orribili condizioni. Segue una lista di pratiche israeliane che essi denunciano con lo sciopero della fame:

  • Tortura e altri trattamenti disumani o degradanti, terrore psicologico;
  • Molti prigionieri sono privati del diritto a ricevere le visite. Ad alcuni detenuti palestinesi Israele vieta tale diritto anche da 10 anni!
  • Il ricorso alla detenzione amministrativa è notoriamente una crudele forma di detenzione. E’ una prassi delle autorità israeliane quella di arrestare e lasciar perire nelle prigioni i palestinesi a tempo indeterminato e senza processo, spesso per anni;
  • Ai prigionieri palestinesi Israele nega cure e trattamenti medici di base, e tale pratica è causa di malattie gravi e croniche

La scorsa settimana, oltre 7mila palestinesi si sono riuniti a Copenhagen in una conferenza organizzata dalla mia organizzazione, con sede in Gran Bretagna, il Palestinian Return Centre (Prc). In quell’occasione abbiamo stilato una petizione che è stata sottoscritta da migliaia di individui. In essa si porta il messaggio dei prigionieri; il loro appello rivolto alla comunità internazionale e agli Stati membri dell’Unione Europea (Ue). A queste realtà i prigionieri palestinesi chiedono di:

  • impegnarsi per porre fine alla sofferenza di migliaia di prigionieri palestinesi, i cui diritti, evidentemente, continuano ad essere violati da Israele;
  • formare un comitato d’indagine europeo il cui mandato sia quello di commissionare visite e ispezioni sulle condizioni dei prigionieri al Comitato Internazionale della Croce Rossa (Cicr) e ad altre organizzazioni internazionali;
  • obbligare le autorità israeliane a fermare la politica delle detenzioni arbitrarie inflitte ai civili palestinesi. Fermare la politica della tortura e tutte quelle che implicano punizioni collettive e permettere loro di incontrare i propri familiari;
  • adottare misure punitive qualora Israele non dovesse osservare le disposizioni contenute dalle Carte legali per i Diritti Umani internazionali.

Per molti anni, la dura condizione dei prigionieri palestinesi è piombata nel buio e questo è solo uno dei tanti episodi di abusi che i palestinesi devono sopoortare – su base quotidiana – come conseguenza delle illegali politiche espansioniste di Israele.

I palestinesi nelle prigioni di Israele dei quali stiamo parliamo, non sono criminali!

Il degrado delle loro vite deriva da un’occupazione illegale. Essi non dispongono di strumenti diversi dalle forme di protesta; atti disperati e coraggiosi di resistenza estrema e non-violenta.

Come aveva detto Khader ‘Adnan a conclusione del suo sciopero della fame: “Io sfido il mio oppressore non per la mia personale salvezza, ma per quella di migliaia di prigionieri privati dei Diritti Umani fondamentali mentre la comunità internazionale sta a guardare”.

La presente è una sollecitazione affinché si presti ascolto al loro appello.