Sheikh Jarrah, o la pulizia etnica della Palestina

Di Chiara Parisi per InfoPal. Sheikh Jarrah, o la pulizia etnica della Palestina

In questi giorni gli eventi che si sono susseguiti nell’ormai ben noto quartiere di Sheikh Jarrah, nella Gerusalemme Est occupata, hanno scosso l’opinione pubblica di tutto il mondo. Le immagini delle violenze da parte della polizia israeliana su civili, manifestanti pacifici e fedeli in preghiera, insieme ai bombardamenti sulla Striscia di Gaza hanno mostrato al mondo cosa significhi vivere sotto occupazione militare. In effetti, le violenze accadute in questi ultimi giorni non sono che l’ultima, ennesima, espressione di una politica di occupazione e dispossession che va avanti da ormai decenni.

Innanzitutto, perché si parla di Sheikh Jarrah? Alcuni residenti del quartiere di Sheikh Jarrah sono minacciati di espulsione dalle loro abitazioni private, sulle quali alcuni israeliani rivendicano un titolo di proprietà. Il 6 maggio 2021, la Corte suprema israeliana avrebbe dovuto esprimersi su questi casi di espropriazione ma ha deciso di rimandare la sentenza, a causa del “clima di tensione” nella città a seguito delle manifestazioni esplose per denunciare queste pratiche illegali.

La questione di Gerusalemme è una delle più intricate dal punto di vista giuridico. Nel piano di partizione sancito dalle Nazioni Unite nella risoluzione 181 del Consiglio di Sicurezza, Gerusalemme ha assunto uno status internazionale. Questa posizione è stata ribadita dalle numerose risoluzioni dell’Assemblea generale che hanno trattato la questione. Tuttavia, al di là del diritto internazionale, la realtà sul campo ha dimostrato tutt’altra verità. Infatti, l’amministrazione de facto della parte ovest della città passò nelle mani dello Stato israeliano già dal 1948, espandendosi poi fino alla parte orientale, nel 1967. Nonostante le condanne da parte delle Nazioni Unite, il potere israeliano sulla città si rafforzò fino a dichiarare unilateralmente “Gerusalemme capitale indivisibile di Israele” nel 1980. Tuttavia, questa decisione arbitraria e unilaterale non ha alcun fondamento legale nel diritto internazionale e lo status di Gerusalemme resta, almeno in teoria, internazionale. Pertanto, Israele non detiene alcun diritto di amministrazione sulla città ma, malgrado ciò, l’occupazione militare, già in atto nei territori della Cisgiordania e di Gaza si è estesa alla parte orientale della città.

L’occupazione militare, che nel caso palestinese è una delle più lunghe mai registrate nella storia moderna, comporta degli obblighi ben precisi in capo alla forza occupante, previsti dal diritto internazionale umanitario e in particolare dalla IV Convenzione di Ginevra e dal Protocollo aggiuntivo II. Si noti che Israele rifiuta l’applicazione del diritto umanitario nei territori occupati, poiché nega l’esistenza stessa dell’occupazione militare. Tuttavia, nel 2004 la Corte internazionale di giustizia ha affermato, in maniera del tutto esplicita, che i territori di Cisgiordania e Gaza sono sottoposti a occupazione militare israeliana insieme a Gerusalemme Est, oltre ad aver rilevato numerose violazioni del diritto internazionale da parte di Israele. Tramite questa affermazione, la Corte ha riconosciuto inoltre che Gerusalemme Est fa parte dei Territori palestinesi occupati. Di conseguenza, lo Stato di Israele deve amministrare i territori occupati in bona fide e ha l’obbligo di proteggere le persone che vi risiedono, i loro diritti e i loro beni. Tuttavia, le violazioni dei diritti dei palestinesi sono all’ordine del giorno.

L’occupazione militare ha portato a intensificare e facilitare la colonizzazione dei Territori palestinesi occupati. L’attività di insediamento è particolarmente intensa a Gerusalemme Est, dove il numero di colonie è raddoppiato negli ultimi anni. La colonizzazione dei territori occupati corrisponde già di per sé a una violazione del diritto internazionale umanitario, che proibisce alla forza occupante di trasferire o anche solo di incoraggiare i suoi cittadini a stabilirsi nei territori occupati. Ai termini del diritto internazionale penale, ciò costituisce un caso di possibili crimini di guerra. All’insediamento degli israeliani nella parte orientale di Gerusalemme, si accompagnano le espropriazioni illegali dei palestinesi residenti. Questo corrisponde a quello che sta accadendo in questi giorni a Sheikh Jarrah. Nel quartiere residenziale di Gerusalemme, alcune famiglie sono minacciate di trasferimento forzato sul fondamento di leggi israeliane del 1950 e del 1970 : la prima di esse vieta ai palestinesi di recuperare le proprietà perse durante la guerra del 1948, mentre la seconda, al contrario, permette agli ebrei di rivendicare un diritto di proprietà su terreni persi durante lo stesso conflitto. Oltre ad essere totalmente discriminatorio, questo sistema ha portato un grande numero di estremisti israeliani a rivendicare un titolo di proprietà su abitazioni palestinesi, sostenendo che quelle terre erano appartenute ai loro antenati, senza poter o dover attestare ciò tramite documenti ufficiali. La confisca delle terre private è contraria al diritto internazionale e viola il diritto fondamentale di proprietà. Tuttavia, il disegno politico israeliano va al di là della singolo caso di forcible displacement delle abitazioni palestinesi. I trasferimenti forzati dei palestinesi, così come il trasferimento dei coloni nei territori occupati, contribuisce all’attuazione della politica di pulizia etnica.

Il termine di pulizia etnica fu utilizzato dal Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia, per descrivere le politiche e i crimini attuati durante il conflitto che ebbe luogo tra il 1991 e il 2001, in particolare in Bosnia-Erzegovina. La pulizia etnica comporta il trasferimento forzato di un gruppo di persone al fine di rendere omogeneo un territorio, dal punto di vista etnico, religioso o culturale. I trasferimenti e gli spostamenti forzati si accompagnano, quindi, ad un progetto geo-strategico ben preciso, al fine ultimo di omogeneizzare la composizione demografica di un territorio per controllarlo e in seguito annetterlo al proprio Stato. Quindi, la politica di popolamento del territorio palestinese attraverso la colonizzazione e l’espropriazione corrisponde ad un progetto di omogenizzazione demografica della Palestina, e in particolare di Gerusalemme, al fine di poter rivendicare e annettere le terre popolate da gruppi israeliani, in maniera del tutto illecita.

L’Osservatore permanente dello Stato di Palestina presso le Nazioni Unite ha denunciato, in molte occasioni, la pulizia etnica in corso nei Territori palestinesi. La sostituzione della popolazione palestinese residente nei quartiere di Gerusalemme Est con quella israeliana, partecipa a questo obiettivo in quanto mira a modificare in profondità la sua composizione demografica. Questa pratica contravviene non soltanto al diritto internazionale, ma minaccia direttamente il diritto del popolo palestinese ad autodeterminarsi sui territori destinati alla creazione di uno Stato indipendente. La questione territoriale è fondamentale in Palestina e il controllo delle terre palestinesi contribuisce alle mire espansionistiche dello Stato di Israele. Queste sono le ragioni che hanno portato i palestinesi a ribellarsi all’ennesima manifestazione di una politica ingiusta, e illegittima, poiché i trasferimenti forzati di Sheikh Jarrah non minacciano solo alcune famiglie, ma tutto un popolo, che lotta per l’affermazione dei suoi diritti sulla sua terra.