Siria: “Coalizione di volonterosi” a sostegno di una No Fly Zone

Di Franklin Lamb.
Più o meno dal giorno di San Valentino, complice il tempo splendido, straordinariamente mite per questo periodo dell’anno, le decine di parchi di Damasco stanno ricevendo un gran numero di visitatori, alcuni dei quali sono militari siriani in licenza, che si godono il verde con le fidanzate, le famiglie e gli amici. Nel grande parco con decine di panchine e sculture, chiamato al-Manshia, situato nei pressi del Ponte del Presidente, tra due alberghi a 5 stelle, il Dama Rose e il Four Seasons, alcuni soldati, probabilmente da fuori Damasco, completamente esausti, se ne stanno sdraiati, addormentati, sotto il caldo sole benefico.
I soldati scherzano, ridono, e sembrano contenti di ricevere i ringraziamenti della gente per prestare servizio nell’Esercito della Repubblica araba siriana, di spiegare come stanno andando loro le cose, personalmente, e di sentirsi chiedere se c’è qualcosa di cui hanno bisogno. La natura del nazionalismo siriano e i suoi rapporti con la Madre Siria possono sorprendere, ma sono spontanei e naturali. Io amo il mio Paese, ma, onestamente, non provo l’orgoglio e i legami profondi che sembrano sentire i siriani per i 10 mila anni di storia del loro Paese, culla della civiltà. Difenderei e lotterei per il mio Paese, se dovesse affrontare una guerra legittima.
Nei passati 30 mesi di frequenti visite a Damasco, la città non mi è mai sembrata più “normale”. Ho passato la scorsa notte a leggere, e non mi è capitato di sentire una sola bomba ne’ un colpo di mortaio o di artiglieria, per la prima volta in oltre due anni. Per molti mesi ho evitato lo storico mercato al-Hamidiyah, il più grande mercato centrale, che si trova all’interno delle mura dell’antica Damasco, accanto alla moschea degli Omayyadi. L’ho fatto in quanto sarei stato una tra le pochissime persone a girovagare tra i labirinti di bancarelle, e me ne sarei reso conto davanti alle suppliche di comprare qualcosa da parte dei negozianti, per aiutare a dar da mangiare alle loro famiglie, molte delle quali vivono nei dedali di vicoli adiacenti.
Oggi il suq al-Hamidiyah, sebbene non ancora frequentato come prima del marzo 2011, è tuttavia abbastanza affollato da permettere agli stranieri di passarvi senza essere notati…, be’, certe volte, nei primi cento metri circa. Nei quartieri di Damasco le persone non spariscono più nelle loro case ai primi segni del tramonto, e le strade e molti caffè sono affollati ben oltre le 9 di sera.
“Quo vadis Syrie” (“dove vai, Siria”), mi ha chiesto ieri uno studente di materie classiche passato a Diritto internazionale, mentre si stava sugli scalini della Facoltà di Legge, ieri pomeriggio, a godersi un po’ di sole. “La nostra crisi sta per finire e possiamo cominciare a ricostruire la nostra Madre Siria, o i nostri nemici hanno altri piani per distruggerci? Temo che la calma possa sparire presto, con un nuovo uragano”. Il suo commento si riferiva probabilmente alla sensazione che una ex “coalizione di volonterosi” stia insistendo per una No Fly Zone “umanitaria”. Secondo fonti del Congresso, alcuni alleati americani si immaginano e progettano l’ampliamento di una No Fly Zone che si estenda fino a 25 miglia in territorio siriano, che servirebbe a far transitare gli aeromobili provenienti dalle basi giordane.
Qualsiasi No Fly Zone (Nfz) sarebbe molto diversa da come viene attualmente promossa e pubblicizzata da alcuni guerrafondai a Washington, a Tel Aviv e in molte capitali europee, così come tra elementi del Consiglio di cooperazione del Golfo e nella Lega degli Stati arabi. Dopo il secondo round a Ginevra 2, la Casa bianca e la solita cricca di bombaroli del Congresso e della lobby sionista pare stiano ripensando all’idea di una Nfz per la Siria. Sarebbe pianificata ed eseguita con gli Usa e con una non meglio specificata “coalizione di volonterosi”, utilizzando, per iniziare, aeromobili a portata di mano in Giordania e in Turchia.
Accompagnata dalla falsa idea di “aiuto non letale” (virtualmente ogni aiuto “non letale” è in realtà letale, in quanto favorisce alcune forze nell’ucciderne altre per mezzo di visori notturni, dispositivi di telecomunicazione, dispositivi Gps, stipendi, false identità e molto altro), una Nfz umanitaria limitata diventerebbe quasi certamente una caccia a qualsiasi cosa si muova, com’è successo in Libia nel 2011, com’è stato studiato e verificato personalmente dal sottoscritto e da molti altri osservatori. Ciò che osservammo nell’allora, ma non più, Jamhariya (regime delle masse), fu che il termine improprio “Responsabilità umanitaria limitata di protezione” (R2P) promosso per la Libia dall’ambasciatore delle Nazioni unite dell’amministrazione Obama, Susan Rice, ed ora da Samantha Power per la Siria, copriva in realtà un concetto di Nfz utile essenzialmente a ottenere un cambio di regime a tutti i costi, con azioni di guerra, perdite umane e perdite di fondi.
L’esperienza libica, valutate tutte le differenze tra i due Paesi, i loro governi e la qualità dei loro eserciti, può essere un prologo per la Siria. Sostenuta da un mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la Nato attaccò la Libia citando la sua urgente “responsabilità di proteggere” i civili, minacciati da presunte scorribande sanguinose nel Paese. In pochi giorni assistemmo al passaggio dal “controllo attento di un limitato numero di obiettivi” alla promozione di “molte decine di obiettivi esclusivamente militari”, che necessitò oltre 10 mila bombardamenti e l’utilizzo di oltre 7700 bombe guidate di precisione: dal terreno e da ciò che imparammo in quelle settimane in Libia dalle vittime e dai testimoni oculari, ci sembrò che gli obiettivi fossero diventati qualsiasi cosa si muovesse, o potesse sembrare avere uno scopo militare o simile.
Human Rights Watch ha documentato quasi 100 casi di civili bombardati e uccisi durante la campagna R2P. Altre stime sono molto più gravi di quelle di Hrw. Ad oggi nessuna risposta è arrivata ai civili libici che hanno chiesto alla Nato “perché ci avete distrutto la casa e ammazzato la famiglia”, nonostante le investigazioni abbiano chiarito che i piloti Nato hanno spesso disatteso le istruzioni ricevute ed abbiano “fondamentalmente bombardato come se stessimo giocando ai videogame”, come dichiarato dai contriti uomini dell’aviazione britannica.
Susan Rice, ora consigliere della sicurezza nazionale di Obama, si è incontrata con i funzionari sauditi, lo scorso febbraio, per discutere di una Nfz e relativa strategia, nonostante lo scetticismo della Casa Bianca. Rice ha detto al Comitato per le relazioni estere del senato degli Stati Uniti, il mese scorso, che Usa e Arabia Saudita stanno di nuovo collaborando sulla Siria, dopo un anno di divergenze in parte aspre.
Tra coloro che chiedono all’amministrazione Obama una Nfz , che probabilmente decimerebbe l’aviazione e i carri armati siriani, ci sono i così detti “ribelli”. Essi tendono ad essere d’accordo con la Francia sul fatto che le elezioni presidenziali di aprile, nelle quali il presidente in carica Bashar al-Assad sarà probabilmente rieletto, saranno per loro fonte di problemi.
Inoltre, Israele, secondo una fonte del Congresso, ha offerto il suo aiuto “dietro le scene” mettendo a disposizione le proprie basi aeree, se necessario, e collaborando lungo il confine siriano meridionale con la Palestina occupata. La maggior parte dei Paesi della Lega Araba, il Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc) più Turchia, Francia, Regno Unito e alcuni membri dell’Unione Europea appoggiano anch’essi l’idea di una Nfz. Secondo un diplomatico arabo l’Arabia Saudita avrebbe già approvato grandi quantità di sistemi missilistici antiaereo a corto raggio cinesi, trasportabili a spalla (Manpads), così come missili anti carro dalla Russia e ulteriore denaro in contanti per aiutare i ribelli a rovesciare il regime di Assad. Intanto, gli Usa hanno incrementato il loro contributo per i salari dei combattenti ribelli preferiti.
Gli Usa hanno poi sinistramente posizionato le proprie batterie di difesa aerea e i propri F-16 in Giordania, che sarebbero fondamentali per qualsiasi Nfz. Gli aerei statunitensi sono dotati di missili aria-aria di lunga gittata in grado di distruggere gli aerei siriani. Ma i funzionari hanno avvisato il Congresso che gli aerei devono poter entrare in profondità nello spazio aereo siriano in caso di minacce da parte degli aerei siriani. Ciò porterebbe facilmente a una guerra totale con la Siria, e se la Russia decidesse di fornire alla Siria le armi di difesa anti-aerea a lunga gittata S-300, una Nfz limitata sarebbe estremamente rischiosa per i piloti statunitensi, e non si sa cosa ne potrebbe derivare.
Fino ad ora il presidente Obama resta sulle sue posizioni, mentre i suoi segretari di Stato e alla Difesa, attuali e passati, e molti altri funzionari e politici suggeriscono alla Casa Bianca di richiedere una Nfz. Hillary Clinton e il generale David Petraeus sono entrambi favorevoli a una Nfz, per “porre fine a questo casino”, come si è espresso il direttore in pensione della Cia.
Barack Obama per ora sembra riluttante ad approvare formalmente in Campidoglio un’altra Nfz, così come lo è stato l’estate scorsa quando ha resistito alle richieste di aggressione contro la Siria e quando i guerrafondai del Congresso chiedevano di andare in guerra contro l’Iran per conto del governo Netanyahu. La scorsa settimana Obama ha riconosciuto che gli sforzi diplomatici per risolvere il conflitto siriano sono lontani dagli obiettivi prefissati. “Ma la situazione è fluida e continuiamo ad esplorare ogni strada possibile, compresa quella della diplomazia”.
Se il presidente Obama è riuscito ad anteporre gli interessi degli Stati Uniti in tre decisioni-chiave negli ultimi sei mesi, e se egli sceglie la diplomazia alla guerra totale con la Sira per mezzo di una Nfz e, potenzialmente, con gli alleati di Damasco, potrebbe meritarsi un premio Nobel anticipato.
Franklin Lamb è visiting professor di Diritto Internazionale presso la Facoltà di Legge dell’Università di Damasco, ed è volontario del Programma di borse di studio Sabra-Shatila (sssp-lb.com)

Traduzione di Stefano Di Felice