Gaza-Days of Palestine/Imemc. Vivo in un territorio molto piccolo di 365 chilometri quadrati, noto anche come la più grande prigione a cielo aperto del mondo, situata nella Palestina colonizzata. Le guardie carcerarie sono oppressori potenti, garanti dell'”apartheid”, noti anche come sionisti.
Questi carcerieri ci tengono chiusi a chiave, tranne per le poche volte in cui aprono uno spiraglio e lasciano fuggire uno di noi. Per più di 12 anni ci hanno privato di elettricità, acqua potabile pulita e – la cosa peggiore di tutte – la speranza.
Sempre più noi prigionieri ci sentiamo come se fossimo sepolti in un cimitero per i vivi. Abbiamo due scelte: rimanere fermi e morire di morte lenta per malattia, guerra o disperazione o rischiare tutto nell’evasione dalla prigione. Alcuni prigionieri, come il mio amico Mohammed Abu Shammala, riescono a fuggire verso la libertà. Ma i carcerieri hanno potenti alleati sparsi in tutto il mondo, dediti a rendere vita dura ai fuggitivi. Questi hanno raggiunto Mohammed in Turchia fino nell’edificio in cui aveva cercato di costruirsi una nuova vita assieme ad altri rifugiati siriani e palestinesi. Gli scagnozzi dei carcerieri hanno lanciato bombolette di gas nella sua stanza, costringendolo a fuggire dal balcone, da cui è scivolato ed è caduto dal quarto piano. Non si è mai svegliato dal coma ed è morto una settimana dopo. La sua famiglia, ancora nel cimitero/prigione, voleva riportare a casa il suo corpo, ma tutti crediamo che ora lui sia in un posto migliore. La sua tragedia è passata praticamente inosservata. Le morti dei prigionieri non emergono quasi per nulla dalla scena mondiale.
Tutto ebbe inizio nel 1948, quando un popolo che un tempo era stato esso stesso prigioniero, organizzò una grande evasione dalla propria prigione. Finalmente liberi, viaggiarono verso una nuova terra e costruirono una prigione secondo il loro progetto. Si vendicarono facendo agli altri ciò che era stato loro fatto. Gli abitanti autoctoni della “nuova” terra furono o assassinati sui due piedi o gettati nella prigione appena architettata, mentre i carcerieri pieni di crudele soddisfazione ne chiudevano la porta. Ad oggi, il 66 percento delle persone ammassate all’interno è stato cacciato fin lì dalle case dei propri avi.
Mantenendo vive le braci della rabbia e dell’odio con la narrativa della loro stessa cattività tramandata attraverso le generazioni, i carcerieri, mettendo in campo le loro armi letali, spesso hanno tramato per uccidere i leader dei prigionieri ed anche chi ha la sola colpa di trovarsi in mezzo, nel corso delle proprie attività quotidiane.
Di recente, quei detenuti che hanno avuto l’audacia di rifiutarsi di morire hanno deciso di non collaborare più con i loro carcerieri nella speranza della loro misericordia. Si sono radunati ai cancelli della prigione ogni venerdì, gridando che è tempo di tornare in patria e lottando per far crollare le mura della prigione. I carcerieri, non abituati a una tale insubordinazione da parte delle masse, hanno ordinato ai loro di sparare a caso, facendo capire che non avrebbero tollerato una fuga massiccia. Ora che avevano assaporato la libertà, i carcerieri la volevano solo per loro stessi.
Tuttavia, i prigionieri hanno continuato a radunarsi ogni settimana presso il muro che li rinchiude, alzando le loro voci e rischiando la vita nella speranza di essere ascoltati da coloro che hanno ancora cuore e senso morale.
Settimana dopo settimana, i prigionieri si sono recati al muro per urlare la loro protesta, per poi tornare nelle loro tombe e provare a fuggire di nuovo. È passato più di un anno dall’inizio di questa sfida. Centinaia di prigionieri sono stati assassinati o mutilati al punto da non poter più protestare. Ma altri prendono il loro posto, sapendo che se non fanno nulla moriranno nella loro prigione-cimitero. Quale differenza fa?
I prigionieri sanno che altri hanno combattuto e perso la stessa battaglia. Ma molti altri hanno vinto. Hanno scelto di resistere e combattere. E ora, alcuni di questi prigionieri-guerrieri rifiutano lo stuzzicante miraggio di una fuga permanente. Sanno che la prigione-cimitero sarebbe un paradiso in terra se le sue mura fossero abbattute. La loro terra è la loro casa, storia, identità e vita.
Io sono uno di quei prigionieri guerrieri. Non lascerò mai il mio cimitero-prigione fino a quando non sarà di nuovo un paradiso.
Traduzione per InfoPal di Nicola Greppi