Gli insediamenti ebraici nella legislazione della Corte penale europea

Memo. Di Abdulrahman Muhammad Ali.

Introduzione

Dopo decadi di sofferenze umane scaturite dall’occupazione israeliana e dalla colonizzazione illegale dei Territori palestinesi; negoziati infruttuosi e bloccati; politiche inerti ed opzioni legali trascurate in favore della diplomazia, è ora di cercare una nuova strategia utilizzando l’azione politica ed i negoziati basati sul diritto internazionale.

Gli osservatori della questione palestinese notano che alcuni Paesi occidentali si dichiarano apertamente a favore di Israele, “giusto o sbagliato”,  la cosiddetta democrazia di molti di essi non fa nulla per la causa palestinese. I diplomatici occidentali, ad esempio, quasi sempre evitano di dichiarare che gli insediamenti israeliani sono illegali, violano il diritto internazionale e sono un ostacolo per la pace. Malauguratamente, spesso anche le Autorità Palestinesi dimostrano la stessa riluttanza.

Il sistema giudiziario europeo, rappresentato dalla Corte Europea di Giustizia, ad ogni modo, sembra avere più coraggio dei diplomatici; hanno chiaro che gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati della West Bank, della Striscia di Gaza e di Gerusalemme Est non sono parte del territorio dello Stato di Israele. In quanto tale, beni e compagnie che stanno lì non hanno il diritto ad alcun trattamento preferenziale sui dazi da parte dell’Unione Europea. Questo si basa su una decisione presa dalla Corte Europea di Giustizia il 25 febbraio 2010 nel caso Brita Gmbh v Hauptzollant Hamburghafen.

Emanato dal più alto corpo giudiziario europeo, questa sentenza è importante tanto quanto quella emessa dalla Corte Internazionale di Giustizia sul Muro di separazione costruito nella West Bank (1).

L’esistenza e la continua espansione degli insediamenti ebraici nei territori palestinesi occupati è una violazione delle Risoluzioni 242 e 338 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e degli accordi firmati basati sul principio della terra per la pace (2).

Le autorità occupanti devono adempiere alle loro responsabilità legali nei confronti della Convenzione di Ginevra del 1949, come qualsiasi “autorità occupante” fa. Riguardo alla confisca della terra palestinese, si tratta di una chiara violazione di qualsiasi diritto umanitario.

L’autorità occupante, in questo caso Israele, viola l’articolo 233 della Convenzione dell’Aja, per esempio, e l’articolo 147 della IV Convezione di Ginevra del 1949, che considera illegale e una grave violazione la presa e la confisca della terra mediante un conflitto armato (4).

La Corte Internazionale di Giustizia ha sottolineato chiaramente nella sua decisione consultiva che le conseguenze legali causate dalla costruzione del Muro di separatazione nei territori palestinesi occupati sono considerate come violazioni da parte dello stato occupante, e ha affermato:

Relativamente alla questione degli insediamenti, la Corte nota che l’articolo 49, paragrafo 6 della IV Convenzione di Ginevra ha stipulato che ‘la forza occupante non deve deportare o trasferire parti della sua popolazione civile nei territori che essa occupa’. La Corte nota, inoltre, che questa articolo non nega soltanto la deportazione o il trasferimento della popoazione così come successo durante la Seconda guerra mondiale, ma nega anche qualsiasi misura presa dallo Stato occupante per regolarizzare e promuovere il trasferimento di parti della propria popolazione civile nei territori occupati. A questo proposito, l’informazione disponibile alla Corte mostra che l’autorità occupante, dal 1977, esercita una politica programmata e ha pratiche sofisticate di sistemazione degli insediamenti nel territorio palestinese occupato che viola l’articolo 49, paragrafo 6”.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha adottato l’opinione secondo la quale questa politica e queste pratiche (es. gli insediamenti israeliani) non hanno alcuna base legale e sono, piuttosto, considerate illegali; il Consiglio di Sicurezza ha fatto appello all’autorità occupante affinché si comporti secondo i dettami della IV Convenzione di Ginevra.

Bisogna porre l’accento sul fatto che la pratica del trasferimento di popolazione nel territorio occupato viola il diritto della popolazione palestinese all’autodeterminazione in due maniere: in primo luogo, la rimozione della popolazione dalla propria terra colpisce al cuore del diritto, indebolendo le possibilità della gente di determinare il futuro del proprio territorio. Ne consegue che le espulsioni di massa o le deportazioni dalla terra occupata e il trasferimento di coloni in quei luoghi viola non solo il diritto individuale all’autodeterminazione, ma anche il diritto collettivo di autodeterminazione.

In secondo luogo, anche in assenza di un’espulsione di massa o di trasferimenti, queste politiche possono servire ad ostacolare elementi chiave del diritto all’autodeterminazione. Il trasferimento di coloni nei territori occupati potrebbe essere usato come uno strumento per privare le popolazioni autoctone della propria terra o delle altre risorse naturali essenziali al loro tradizionale stile di vita (5).

L’articolo 8/2/b/viii dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale afferma che i “crimini di guerra” inlcudono “altre gravi violazioni delle leggi e delle norme applicabili in conflitti armati internazionali nel contesto delineato del diritto internazionale, specificatamente, qualsiasi degli atti che seguono… (viii) Il trasferimento, diretto o indiretto, da parte della forza occupante di parti della propria popolazione civile nei territori che essa occupa, o la deportazione o dil trasferimento di tutta o parte della popolazione del territorio occupato all’interno o all’esterno di questo territorio”.

Secondo gli elementi di questi reati che sono stati adottati dall’Assemblea degli Stati Membri il 09/09/2002, che sono spiegazioni degli articoli 6,7 e 8 degli Statuti di Roma (6), questo reato (7) ha bisogno di essere accompagnato dai seguenti elementi:

  1. L’esecutore, direttamente o indirettamente, trasferisce parte della propria popolazione nel territorio che occupa, o deporta o trasferisce tutta la popolazione del territorio occupato o parte di essa all’interno o all’esterno;

  2. Il comportamento è iniziato nel contesto di un conflitto armato internazionale e ad esso era associato;

  3. L’esecutore era consapevole delle circostanze fattuali che provavano l’esistenza di un conflitto armato (8).

La proibizione della deportazione o del trasferimento della popolazione fuori o dentro il teritorio occupato da parte della forza occupante è considerato un principio fermo e consuetudinario e non permette alcuna eccezione, a parte per quelle situazioni citate nel secondo paragrafo dell’articolo 49 della Convenzione di Ginevra; tali eccezioni sono la sicurezza delle stesse popolazioni e per ragioni militari imperative. Questo è un principio affermato nell’articolo 49, paragrafi 1 e 29, ed è stato ribadito nell’articolo 51, paragrafo 310 e nell’articolo 76, paragrafo 111 della quarta Convenzione di Ginevra12. Inoltre, l’articolo 85, paragrafo 4 dell’Allegato (Protocollo I) proibisce il trasferimento o la deportazione della popolazione all’esterno o all’interno del territorio occupato da parte della forza occupante. Questo articolo afferma: “In aggiunta alle gravi violazioni definite nei paragrafi precedenti e nelle Convenzioni, ciò che segue dovrà essere considerato come una grave violazione di questo Protocollo, qualora il reato sia commesso in piena volontà ed in violazione delle Convenzioni e del Protocollo:

  1. Il trasferimento da parte della forza occupante di parte della propria popolazione civile nel territorio che essa occupa, o la deportazione o il trasferimenti di tutta o di parte della popolazione del territorio occupato all’interno o all’esterno di questo territorio, in violazione dell’articolo 49 della quarta Convenzione…

La proibizione impedisce allo stato occupante di trasferire la propria popolazione civile nei territori occupati dal momento che questa volontà porta ad un cambio nella struttura geografica del territorio occupato e restringerà i diritti alla proprietà della terra della popolazione residente nel territorio occupato (il diritto dei rifugiati di ritornare alle loro case, per esempio), e creare cambiamenti fisici.

Il trasferimento, diretto o indiretto, della popolazione di uno Stato occupante nel territorio occupato, attraverso lo stabilimento di insediamenti, viola uno alla volta i precetti del diritto umanitario, perché lo Stato occupante sta agendo come una forza amministrativa e militare nel territorio che occupa. Questo è vietato, nonostante i propri obiettivi (13).

Il processo di trasferimento deve essere portato via dallo Stato occupante e richiede un chiaro coinvolgimento governativo. Atti illegali commessi da individui che agistono per conto proprio nel ricollocare i coloni ebrei nei territori palestinesi occupati senza l’approvazione o il supporto dello Stato occupante, o la sua conoscenza, non possono essere attribuiti allo Stato occupante.

Il trasferimento della popolazione dentro e fuori da un territorio occupato può essere fatto direttamente o indirettamente secondo il testo dell’articolo 8/(2)/(b)/(viii) dello Statuto di Roma. Questa frase, che non c’era né nella Quarta Convenzione di Ginevra, né nel Protocollo I, è stata agginta su richiesta degli Stati Arabi ed è stata approvata a maggioranza.

Il trasferimento indiretto include la confisca della terra, i piani di insediamento del governo e la concessione di protezione per i coloni e l’insediamento. “Trasferimento” include anche incentivi economici fortini dallo Stato occupante per incoraggiare i coloni a costruire nel territorio occupato; questi incentivi possono includere prestiti ai coloni e l’offerta di esenzione dalle tasse per i coloni e gli investitori stranieri.

Tutto ciò è stato confermato dalla decisione della Corte Europea di Giustizia nel caso di Brita.

La Corte Europea di Giustizia, oggi chiamata “Corte di Giustizia”, è la più alta Corte dell’Unione Europea sulle questioni di Diritto Comunitario. La principale funzione della Corte è di interpretare il Diritto Comunitario ed implementarlo uniformente in tutti gli Stati membri. Ha 27 Giudici che rappresentano i 27 Stati membri, è stata fondata nel 1952 ed ha sede a Lussemburgo. Gioca un ruolo nel dirimere i conflitti e le dispute tra le istituzioni dell’Unione Europea. Le decisioni giuridiche nazionali non possono essere impugnate dalla Corte di Giustizia in appello, ma le Corti nazionali possono chiedere alla Corte di Giustizia di decidere su questioni relative al Diritto Comunitario (14).

Ci sono 8 procuratori generali che aiutano i giudici principali nella Corte di Giustizia. L’avvocato generale è responsabile di fornire opinioni legali per i casi sottoposti alla corte; lui o lei possono rivolgere domande alle parti coinvolte nelle dispute prima di fornire la propria opinione prima che i giudici emettano la sentenza finale. Sebbene l’opinione dell’Avvocato generale sia meramente consultativa per i giudici, in pratica, essi adottano la stessa opinione (15).

La decisione emanata dalla Corte di Giustizia nel caso di Brit Gmbh vs Hamburghafen, ha incluso l’opinione della Corte sulla questione degli insediamenti palestinesi secondo la propria interpretazione degli obblighi dell’accordo di Associazione EU- Israele. Ciò si è basato non sul diritto finanziario europeo, ma sul diritto internazionale pubblico con il quale la Corte ha confermato i confini del 1967 con i territori palestinesi sotto l’amministrazione di Israele e gli insediamenti ebraici che non costituiscono parte dello Stato occupante.

Sfortunatamente, questa sentenza non è stata affrontata dalla giurisprudenza araba o dai ricercatori nonostante la sua importanza legale (16).

Farò ora luce sui principali punti menzionati nell’opinione dell’Avvocato Generale a darò una breve spiegazione di ciò che è stato scritto sulla decisione della Corte.

Brita e la Corte Europea di Giustizia

  1. La natura della disputa

Brita è una compagnia tedesca che importa strumenti per la produzione di acqua frizzante, accessori e sciroppi prodotti da un fornitore israeliano, Soda Club Ldt., un’industria ubicata a Mishor Adumin, una zona occupata nella West Bank a Gerusalemme Est (17). Mishor Adumin è considerato essere uno dei più importanti fulcri economici nei territori occupati (18).

Durante i primi sei mesi del 2002, Brita ha inoltrato delle richieste per il libero passaggio di beni importati e più di 60 richieste alle Autorità doganai Tedesche per ricorrere a tariffe agevolate sui beni importati provenienti da Soda Club, in ossequio all’accordo di parnership firmato tra Israele e l’Unione Europea. La fonte delle merci era catalogata come “Israele” (19).

Le Autorità doganali Tedesche hanno deciso di garantire una tariffa commerciale agevolata temporanea per i prodotti di Soda Club importati da Brita, ma hanno chiesto che venissero fatte delle verifiche circa il luogo di provenienza delle merci.

Le autorità doganali israeliane hanno confermato alla controparte tedesca che le merci provenivano da una compagnia ubicata in un’area sotto il controllo dell’autorità commerciale israeliana e, perciò, rientravano legalmente nel contesto dell’accordo di associazione EU-Israele. Secondo i termini dell’accordo, quindi, queste merci, avevano diritto al trattamento preferenziale (20).

Il 6 febbraio 2003, l’autorità doganale tedesca ha chiesto ad Israele, mediante informazioni supplementari, se le merci importate da Brita e provenienti da Soda Club fossero state prodotte negli insediamenti palestinese della West Bank, Gerusalemme Est, nella Strisci a di Gaza o nelle Alture del Golan; la domanda è rimasta senza risposta (21).

Nel settembre 2003, l’autorità doganale tedesca ha ritirato il trattamento preferenziale che aveva precedentemente garantito a Brita ed alle merci provenienti da Soda Club sulla base del fatto che non fosse certo che le suddette merci importate avessero titoli per beneficiare dell’accordo di associazione EU-Israele. Di conseguenza, l’autorità doganaletedesca ha chiesto alla compagnia tedesca una liquidazione riparatoria dei dazi doganali che ammontavano ad un totale di 19,155.46 Euro (22).

Brita, quindi, ha intrapreso un’azione legale davanti alla Finanzgericht Hamburg (Corte finanziaria) ed ha chiesto l’annullamento della decisione presa dall’autorità doganale tedesca riguardo al risarcimento dei dazi doganali (23). La Corte finanziaria ha preso parere che la diposta è dipesa, da un lato, dall’interpretazione dell’accordo di associazione EU-Israele e dall’altra dall’accordo di associazione ad interim tra l’Unione Europea e l’OLP. Come risultato, la Corte finanziaria ha deferito la disputa alla Corte Europea di Giustizia.

  1. L’opinione legale dell’Avvocato generale sottoposta ai giudici

L’Avvocato Generale ha presentato il suo giudizio legale il 29 ottobre 2009. Durante la presentazione ha sottolineato che l’applicazione dell’Accordo di associazione EU-Israele ha presentato degli ostacoli, specialmente riguardo alla questione relativa al “Certificato di origine dei prodotti” richiesto. Ha confermato che la Commissione Europea ha allertato gli importatori a dubitare della validità di questi certificati rilasciati dall’autorità doganale israeliana (24).

Riguardo ad una Comunicazione tra la Commissione Europea, il Consiglio ed il Parlamento Europeo, datato 12 maggio 1998, l’Avvocato Generale ha affermato esserci un ostacolo nell’implementazione dell’accordo di associazione EU-Israele, specialmente il Protocollo 4, applicabile perfino prima dell’implementazione dell’accordo nel 2000, che la maggior parte dei prodotti certificati come provenienti da “Israele” fossero effettivamente prodotti nei territori occupati palestinesi (25).

Ha aggiunto che il 23 novembre 2001, la Commissione Europea ha rilasciato una dichiarazione ufficiale affermando che “i risultati delle procedure di verifica condotte dalla Commissione confermano che Israele ha rilasciato molti “Certificati di origine” (confermanti) che i prodotti che provengono da aree sotto la propria amministrazione dal 1967, provengono da Israele”. Inoltre, questi prodotti non hanno diritto ai benefici provenienti dal trattamento preferenziale sotto l’accordo di associazione EU-Israele (26).

La Commissione ha confermato che gli importatori europei che presentano una prova documentaria dei certificati di origine dei prodotti nella speranza di assicurare un trattamento preferenziale ai prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani nella West Bank, nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme Est e nelle Alture del Golan sono informati del fatto che dovranno prendere tutte le precauzioni necessarie dal momento che tutte le merci provenienti da questi territorio potrebbero essere sottoposte a tariffe doganali (27).

L’Avvocato Generale ha spiegato davanti alla Corte di Giustizia che l’accordo di associazione EU-Israele si applica ai territori israeliani secondo l’articolo 83. Ha aggiunto che i confini dello Stato israeliano erano definite nel Piano di Partizione dell’Assemblea Generale dell’Onu nel 1947 come da Risoluzione 181. Successivamente, lo Stato di Israele è stato dichiarato esistente dentro i confini definiti dal Piano di Partizione (28).

Ha aggiunto inoltre che la Risoluzione 242 del 22 novembre 1967 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu relativa all’accordo di associazione ad interim Ue-Olp affermava che era stato chiesto alle forze israeliane di ritirarsi dai territori occupati e di rispettare la sovranità degli Stati in quell’area (29).

L’Avvocato Generale ha confermato ai giudici che in accordo alle sopracitatae circostanze del caso, la Corte non può che concludere che il territorio della West Bank, di Gerusalemme Est, della Striscia di Gaza non sono parte del territorio dello Stato di Israele (30).

Come risultato, l’Avvocato Generale ha sottolineato che è stato difficile dire che i prodotti provenienti dalla West Bank e dai territori occupati in generale, dovrebbero godere del trattamento preferenziale sulla base dell’accordo di associazione (31). Perciò, garantire tali trattamenti preferenziali a prodotti originati nella West Bank non è accettabile secondo i dettami stessi dell’accordo di associazione (32).

L’Avvocato Generale ha aggiunto che durante l’incontro sull’accordo di associazione, tenutosi il 3 dcembre del 2004, la Commissione europea chiese all’autorità doganale israeliana di definire l’origine di manifattura dei prodotti sul certificato di origine dei prodotti che provenissero da Israele. Lo scopo della richiesta, come asserito dall’Avvocato Generale, era di differenziare i prodotti manufatti in Israele, ammessi al trattamento preferenziale previsto dall’accordo, dai prodotti manufatti negli insediamenti israeliani, non ammessi ai benefici (33).

Gli insediamenti ebraici sono illegali secondo la sentenza della Corte Europea di Giustizia

La Corte Europea di Giustizia ha riferito nella sua sentenza prelimilare sui numerosi provvedimenti legali applicabili relativi al caso in esame, prima di spiegare la logica legale assunta per la decisione finale.

  1. Lo scopo legale

La Corte ha fatto riferimento all’articolo (31) della Convenzione di Vienna sulla legge dei Trattati che afferma che qualunque trattato deve essere interpretato in buona fede e in accordo col significato ordinario dato ai termini del trattao nel loro contesto ed alla luce del suo progetto e della sua proposta. La Corte ha affermato che l’articolo 31/3 stipulava che nell’interpretazione di qualsiasi trattato, si sarebbe dovuto tenere conto di qualsiasi legge di diritto internazionale rilevante ed applicabile nei rapporti tra Stati. Così come l’articolo (34) della Convenzione di Vienna, sosteneva che un trattato non crea nessuno obbligo o diritto per un terzo Stato senza il suo consenso34.

La Corte ha confermato che l’accordo di associazione Eu-Israele è entrato in vigore il primo giugno 200 e l’articolo (6) di questo accordo prevedeva che “il libero commercio tra Israele e la Comunità Europea sarà rinforzato in accordo alle modalità strutturate nell’accordo e sulla base degli articoli dell’accordo sulle Tariffe ed il Commercio del 1994 e di altri accordi multilaterali sul commercio di beni allegati all’accordo che istituisce l’Organizzazione Mondiale del Commercio35.

Relativamente all’articolo (8) dell’accordo di associazione, la Corte ha detto che l’articolo prevede che i dazi doganali sono proibiti sui prodotti industriali come definito in quel contratto tra le due parti nel caso di importazione o esportazione (36).

Ha anche riferito sullo scopo territoriale dell’accordo di associazione, definito nell’articolo (83) come segue: l’accordo si applicherà sul territorio che stabilisce la Comunità Eropea e, dall’altro lato, sul territorio dello Stato di Israele (37).

La Corte sostenuto che il Protocollo (4) dell’accordo di associazione ha definito le regole relative alla definizione di “prodotti di provenienza” così come i metodi di cooperazione amministrativa38. Ha asserito che l’articolo (2) del Protocollo (4) ha stabilito che i prodotti interamente manufatti in Israele, nel senso indicato dall’articolo 4 del Protocollo 4, devono essere trattai come prodotti in Israele (39). La Corte ha inoltre fatto riferimento all’articolo (32) del Protocollo 4 che afferma che le procedure per verificare “la prova di origine dei prodotti”, laddove le autorità doganali richiedono la verifica per la prova di origine di questi prodotti, dovrà essere resa dallo stato esportatore entro un massimo di 10 mesi (40).

Quindi la corte ha fatto riferimento all’accordo di associazione ad interim Eu-Olp (che era rivolto ai benefici dell’Autorità palestinese) entrato in vigore il primo luglio 1997. L’articolo 3 stipula che l’Olp e la Comunità Europea devono progressivamente creare una libera area di commercio in accordo con i dettami del General Agreement on Tariffs and Trade del 1994 e degli altri accordi multilaterali sul commercio di beni allegatli all’accordo che stabilisce il World Trade Organization (41). Gli articoli 5 e 6 dell’accordo prevedono che i prodotti importati dalla West Bank e dalla Striscia di Gaza non saranno soggetti ad alcun dazio doganale (42). La Corte indicava che lo scopo territoriale dell’accordo è definito per il beneficio dell’Autorità Palestinese nella West Bank e nella Striscia di Gaza. Qualsiasi trattato ha il proprio scopo territoriale che deve essere applicato; il primo è quello di essere applicato sui territori dello Stato di Israele ed il secondo sui territori della West Bank e della Striscia di Gaza (43).

  1. La logica legale adottata dalla Corte nella sua sentenza

La Corte ha affermato che l’accordo di associazione Ue-Israele stipula che le autorità doganali israeliane sono quelle competenti per definire i certificati che attestino la prova di origine per i prodotti fabbricati in Israele. L’accordo di associazione ad interim Ue-Olp ha dato al Dipartimento per le dogane l’autorità competente per definire i certificati che attestino la prova di origine per i prodotti fabbricati nella West Bank e nella Striscia di Gaza (44).

Perciò, per interpretare l’articolo 83 dell’accordo Ue-Israele nel senso che l’autorità doganale israeliana è competente per la definizione dei certificati nel rispetto dei protoddi provenienti dalla West Bank si priverà l’autorità doganale palestinese della possibilità di esercitare la competenza conferita dalla Comunità Europea. Inoltre, la Corte ha considerato che la concessione dei certificati di provenienza ai prodotti della West Bank da parte dell’autorità doganale israeliana sarebbe anche contraria all’articolo 34 della Convenzione di Ginevra (45).

La Corte ha aggiunto che l’articolo 83 dovrebbe essere interpretato come significante del fatto che i prodotti originati nella West Bank non rientrano nello scopo territoriale dell’accordo di associazione con Israele e quindi non vanno qualificati secondo il trattamento preferenziale stipulato in quel trattato (46).

Quindi, la Corte ha confermato che l’autorità doganale tedesca ha il diritto di rifiutare la sovvenzione a Brita ed il suo trattamento preferenziale dei prodotti sotto l’accordo di assocuazione essendo l’origine di questi prodotti la West Bank e non Israele (47).

Riguardo al documento sulla prova di origine dei prodotti, l’articolo 32/6 dell’accordo di associazione Ue-Israele afferma che lo Stato esportatore è l’unico che concede questi certificati mentre lo Stato importatore può, attraverso le autorità dogalani, verificare la fonte originale dei prodotti. La Corte ha aggiunto che la richiesta delle autorità doganali tedesche di informazioni aggiuntive dalle autorità doganali israeliane riguardo l’origine dei prodotti non riguarda la questione se la manifattura dei prodotti è stata intrapresa in una determinata area, ma riguarda la verifica del posto esatto in cui il prodotto esportato verso Brita da Soda Club è stato fabbricato, con lo scopo di determinare se questo posto rientra nella giurisdizione e scopo territoriale dell’accordo (48).

La Corte ha chiarito che l’Unione Europea, senza dubbio, è dell’idea che i prodotti manufatti nelle località sotto l’amministrazione/occupazione israeliana dal 1967 non hanno i requisiti per ottenere il trattamento preferenziale previsto dal trattato49. Ha sostenuto la sua opinione al paragrafo 66 quando ha affermato che le autorità doganai israeliane non hanno risposto alla lettere mandata dalle autorità doganali tedesche in cui si chiedeva se i prodotti esportati fossero stati manufatti negli insediamenti israeliani nella West Bank, nella Striscia di Gaza, a Gerusalemme Est o nelle Alture del Golan.

Quindi, la Corte ha finalmente stabilito che le autorità doganali di qualunque Stato europeo che importi prodotti possano rifiutare di garantire il trattamento preferenziale fornito dall’accordo di associazione, qualora i prodotti risultano originati nella West Bank (50). La Corte ha anche stabilito che le autorità doganali di qualsiasi Stato europeo che importi prodotti non sono costrette dal certificato della prova di origine o dalla risposta data dallo Stato esportatore a domande sottoposte dallo Stato importatore qualora questa risposta non contenga sufficienti informazioni per l’implementazione dell’articolo 32/6 del Protocollo allegato all’accordo di associazione per determinare la reale origine dei prodotti (51).

Conclusioni

Guardando questo caso, che è stato considerato dal più alto corpo giudiziario dell’Unione Europea, possiamo affermare che insistere sul linguaggio del diritto internazionale applicato alla questione palestinese possa dare dei risultati. La Corte Europea di Giustizia ha stabilito che gli insediamenti israeliani nei territori occupati della West Bank e di Gerusalemme Est sono illegali e violano il diritto internazionale. La Corte ha affermato nella sua sentenza sul caso Brita che gli Stati Europei non devono riconoscere lo status quo creato dagli insediamenti israeliani, e ogni Stato europeo deve proibire le tariffe preferenziali per tutti i prodotti che provengano dagli insediamenti israeliani.

Dall’altro lato c’è la società civile europea che supporta la causa palestinese, come la campagna per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (52). Nel mondo arabo ognuno dovrebbe allertare le autorità locali verso tutti i prodotti che provengano da ogni insediamento ebraico illegale. Deve essere fatto riferimento a questa risoluzione della Corte europea su questa questione per assicurare che queste merci non beneficino di nessun trattamento preferenziale. Una copia della risoluzione della Corte dovrebbe, forse, essere mandata ai sindacati ed alle associazioni impiegatizie, ed ai ministeri nazionali del Commercio e degli Esteri in ogni Stato europeo per incoraggiarli ad applicare la sentenza alle merdi classificate da Israele come “israeliane” ba che, di fatto, vengono prodotti negli isediamenti ebraici illegali.

I manifestanti della società civile dovrebbero esporre la frode commesa da Israele quando rivendica che i prodotti manufatti negli insediamenti siano originati nello Stato di Israele e non provengano invece dai territori occupati.

L’autore ha un dottorato in Diritto internazionale/ Francia e  un Certificato dal Research Center of the Hague Academy of International Law

1 Per maggiori informazioni riguardo a questo argomento, leggere il libro “Israel and the international law” curato dall’ al Zaytuna centre for studies 2011;

2 Accordo ad interim firmato a Washington il 28 settembre 1995, articolo XXX1.7;

3 Articolo 23 (g) dalla Convenzione (IV) Rispetto delle Leggi ed Usi di Guerra sul Territorio e suo allegato: Regolazioni riguardo le leggi ed usi di guerra sul territorio. L’Aja, 18 ottobre 1907 “Per distruggere o ridurre la proprietà del nemico, a meno che tale distruzione o ridimensionamento sia demandata d’imperio dalle necessità della guerra”;

4 Articolo (147) Le infrazioni gravi indicate nell’articolo precedente sono quelle che implicano l’uno o l’altro dei seguenti atti, se commessi contro persone o beni protetti dalla Convenzione: […] la cattura di ostaggi, la distruzione e l’appropriazione di beni non giustificate da necessità militari e compiute in grande proporzione facendo capo a mezzi illeciti e arbitrari;

Catriona J. Catriona J. Drew, “Self-determination and population transfert”, In, Human Rights, self-determination and political change in the occupied Palestinian territory, edited by Stephen Bowen, Martinus Nijhoff Publishers, 1997, pp. 141-142

COTTIER (M.), FENRICK (W.), SELLERS (P.), Andreas ZIMMERMANN (A.), “War Crimes”, PP. 173-288, In THRIFTERER (O.) (ed.) Commentary on the Rome statute of the International Criminal Court, Observers, Notes, Article by Article. Baden-Baden, 1999. Simpson, Gerry (ed.), War crimes law / Gerry Simpson. Ashgate/Dartmouth, 2004, pp. XXXIII, 484 p. CHUTER (D.), War crimes : confronting atrocity in the modern world. Lynne Rienner Publishers, 2003. MAC GOLDRICK (D.), War crimes trials before international tribunals : legality and legitimacy. Domestic and international trials, 1700-2000 / ed. by R.A. Melikan, 2003. NIEMANN (G.), War Crimes, Crimes Against Humanity, and Genocide in International Criminal Law. Handbook of Transnational Crime & Justice / ed. Philip Reichel. Thousand Oaks, CA [etc.]: Sage, 2005, pp. 204-229.

9 Articolo (49) I trasferimenti forzati, in massa o individuali, come pure le deportazioni di persone protette, fuori del territorio occupato e a destinazione del territorio della Potenza occupante o di quello di qualsiasi altro Stato, occupato o no, sono vietati, qualunque ne sia il motivo.La Potenza occupante potrà tuttavia procedere allo sgombero completo o parziale di una determinata regione occupata, qualora la sicurezza della popolazione o impellenti ragioni militari lo esigano. Gli sgombri potranno aver per conseguenza lo spostamento di persone protette soltanto nell’interno del territorio occupato, salvo in caso di impossibilità materiale. La popolazione in tal modo evacuata sarà ricondotta alle sue case non appena le ostilità saranno cessate nel settore che entra in linea di conto.

10 Articolo (51) paragrafo 3 Il lavoro sarà eseguito esclusivamente nell’interno del territorio occupato dove si trovano le persone di cui si tratta. Ognuna di queste persone occupate sarà mantenuta, per quanto possibile, nel suo luogo abituale di lavoro.

11 “Persone protette accusate di offesa sarabbo detenute nel territorio occupato, e se costrette sconteranno lì la loro pena”.

12 Si veda International Committee of the Red Cross, Commentary on the fourth Geneva Convention, ICRC,
http://www.icrc.org/ihl.nsf/7c4d08d9b287a42141256739003e636b/6756482d86146898c125641e004aa3c5 ; si veda ROUCOUNAS (E.J) , Les infractions grave au droit humanitaire (article 85 du Protocole Additionnel I aux Conventions de Genève, 31 Revue Hellénique de droit international 116 (1978).

13 Progress Report of the Special Rapporteur Awn Shawkat AL- KHASAWANEH on the Human Rights dimensions of population transfer, including the implantation of settlers, U.N.doc. E/CN.4/sub.2/1994/18 (30 June 1994) par. 73, Preliminary Report of the Special Rapporteurs Awn Shawkat AL-KHASAWNEH and Ribot HATANO on Human Rights dimensions of population transfer, including the implantation of setters U.N.doc E/CN.4/sub.2/1993/17 (6 July 1993).

14 Si faccia riferimento ai seguenti articoli per saperne di più sulla Corte di Giustizia e sulla sua giurisdizione: Sito ufficiale della Corte: http://curia.europa.eu/jcms/jcms/Jo2_7024/
Alcune informazioni generali sulla Corte:
http://en.wikipedia.org/wiki/European_Court_of_Justice#Advocates-General

15 Fare riferimento ai seguenti articoli per saperne di più sulle funzioni dell’Avvocato generale: Avvocato generale http://www.ena.lu/ Laure CLEMENT-WILZ, ” The function of the advocate general at the european court of justice”, http://www.u-paris2.fr/1268901575081/1/fiche___article/&RH=RECHERCHE_EN

16 Questa questione è stata considerata in brevi studi http://www.alhaq.org/etemplate.php?id=508 European Court of Justice: Israeli Settlement Goods do not Fall into Israeli Customs Authority 2 March 2010
http://www.mondialisation.ca/index.php?context=va&aid=17830 , La Cour européenne de Justice dessine les frontières d’Israël, par Gilles Devers, 27 février 2010
http://www.ism-france.org/news/article.php?id=13481&type=communique , Décision Brita de la Cour de Justice Européenne sur l’importation dans l’UE de produits de territoires occupés (Jérusalem Est), Par Gilles Devers, 25-02-201

18 Mishor adumin è uno dei numerosi insediamenti situati in quella che si chiama Ma’ale Adumin. La sua popolazione supera le 35,000 unità ed è situata sull’autostrada n.1 che la univa a Gerusalemme Est. Questi insediamenti hanno circondato Gerusalemme Est in una vasto piano di insediamento, organizzato più di dieci anni fa. La compagnia Soda Club è una della più famise nell’insediamento di Mishor Adumin ed è stata criticata fortemente dalle commissioni svedesi dopo che l’organizzazione di Israele per il diritto al lavoro pubblicò un report in cui si dimostravano la discriminazione e lo sfruttamento dei lavoratori palestinesi negli stabilimenti di Soda Club. Dopo una grande campagna di Svezia contro Soda Club per Empire Company che distribuisce prodotti di Soda Club per spingere a produrre merce che arriva sul mercato svedese fuori da Mishor Adumin poiché quest’area è donsiderata illegale dal diritto internazionale e la compagnia ha accettato con riluttanza

20 Si veda la clausola 30-32 della sentenza della Corte:http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=EN&Submit=rechercher&numaff=C-386/08

24 Si veda la clausola 27 del parere dell’Avvocato Generale:http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=EN&Submit=rechercher&numaff=C-386/08

25 Si veda la clausola 29 del parere dell’Avvocato Generale:http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=EN&Submit=rechercher&numaff=C-386/08

26 Si veda la clausola 31 del parere dell’Avvocato Generale:http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=EN&Submit=rechercher&numaff=C-386/08

27 Si veda la clausola 31 del parere dell’Avvocato Generale:http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=EN&Submit=rechercher&numaff=C-386/08

28 Si veda la clausola 109 del parere dell’Avvocato Generale:http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=EN&Submit=rechercher&numaff=C-386/08

29 Si veda la clausola 111 del parere dell’Avvocato Generale:http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=EN&Submit=rechercher&numaff=C-386/08

30 Si veda la clausola 112 del parere dell’Avvocato Generale:http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=EN&Submit=rechercher&numaff=C-386/08

31 Si veda la clausola 115 del parere dell’Avvocato Generale:http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=EN&Submit=rechercher&numaff=C-386/08

32 Si veda la clausola 120 del parere dell’Avvocato Generale:http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=EN&Submit=rechercher&numaff=C-386/08

33 Si veda la clausola 122 del parere dell’Avvocato Generale:http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=EN&Submit=rechercher&numaff=C-386/08

43 Si veda la clausola 46 e 47 della sentenza della Corte:http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=EN&Submit=rechercher&numaff=C-386/08

44 Si veda la clausola 49-51 della sentenza della Corte:http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=EN&Submit=rechercher&numaff=C-386/08

52 Boycott, Désinvestissement, Sanctions :Le cadre juridique de l’action des militants
http://www.enfantsdepalestine.org/IMG/pdf/cadre-juridique-de-laction-des-militants-bds-2mai.pdf

Traduzione per InfoPal a cura di Romina Arena