Israele e la negazione dei diritti degli autoctoni palestinesi

Palestinechronicle.com. Di Rima Najjar. Da un po’ di tempo il discorso su Israele si è spostato da un luogo nel quale la disinformazione israeliana “hasbara” aveva il sopravvento da qualsiasi parte ci si voltasse, ad un altro luogo nel quale  le politiche criminali di Israele vengono discusse più apertamente così come il Boycott Divestment and Sanctions Movement (BDS), attualmente sostenuto anche da alcune associazioni accademiche, gruppi della chiesa e sindacati, negli Stati Uniti ed altrove.

L’associazione Jewish Voice for Peace, assieme ad altri gruppi di attivisti, è uscita con alcune dichiarazioni che non solo sostengono il BDS, ma criticano anche il sionismo e la sua definizione di nazionalismo ebraico come viene praticato dallo stato ebraico. In una lettera di protesta per la cancellazione di una ricerca prevista per la cattedra “Edward Said Professor of Middle East Studies” al CSU Fresno, Jewish Voice for Peace dichiara: “Il popolo ebraico non monolitico su questo o su altri argomenti”.

In risposta alle richieste della lotta per la liberazione della Palestina, resta però un tabù interrogare (e in tal modo delegittimare) Israele opponendosi, ad esempio, al suo “diritto di esistere” in quanto “stato ebraico” (una ripartizione del Mandato della Palestina), appartenente non alla popolazione indigena, ma agli Ebrei di tutto il mondo. Questo diritto di esistere come entità sionista presuppone che le comunità ebraiche di tutto il mondo siano una “nazione” monolitica sionista, termine col quale Israele definisce l’identità ebraica, che ne è il corollario, e nega l’auto-determinazione degli Arabi palestinesi nella loro stessa terra.

Quel che è terrificante e che non solo è tabù discutere della legalità e legittimità dell’auto-determinazione ebraica, ma è anche tabù fare delle domande. Quella che segue è la mia risposta ad una domanda fatta sul social media Q/A service chiamata Quora, che è stata prontamente gettata nel cestino assieme alla mia risposta e a quelle di altri che erano state postate qui.

Poiché la creazione di Israele si basò sulla forza delle armi, sul terrore sionista e su una pulizia etnica pianificata, sulla eradicazione della Palestina araba, così come sulle violazioni del diritto internazionale, è un obiettivo facile da delegittimare. Tale legittimazione si appoggiò quasi completamente sulla Dichiarazione Balfour (1917) che sosteneva l’istituzione in Palestina di una “casa nazionale ebraica” per gli “Ebrei”.

La Dichiarazione Balfour venne poi incorporata dalla Lega delle Nazioni, nel 1922, nel Mandato Britannico per la Palestina (con l’avvertimento che i diritti delle cosiddette“comunità non ebraiche” -formulazione assurda -, cioè del 90% della popolazione della Palestina, sarebbero stati mantenuti). Questo documento, però, non è stato mai tradotto in una “auto-determinazione in forma di stato ebraico”, e nemmeno è stato inteso come tale, nonostante il suo linguaggio ingannevole.

Le politiche e la letteratura dell’identità ebraica sono piene di contraddizioni, controversie e confusione, ma Israele, mentre nega l’esistenza legale degli Arabi palestinesi come “popolo”, definisce l’ebraicità attraverso la discendenza – una presunta ininterrotta linea di sangue dall’antichità fino ad oggi.

Lo stato di Israele ha sancito l’importanza fondamentale della discendenza nella sua Legge sul Ritorno del 1950 (modificata nel 1970), la quale dichiara che “secondo gli scopi di questa Legge, ‘Ebreo’ significa una persona nata da madre ebrea o che si è convertita al giudaismo e che non fa parte di nessun’altra religione”.

La discendenza è fondamentale in Israele per il discorso dell’identità ebraica, poiché la linea di discendenza diretta dall’antichità è la ragione principale fornita dai filosofi politico-sionisti per giustificare il fatto che gli ebrei hanno oggi il diritto all’auto-determinazione nella terra di Palestina. Secondo questo punto di vista, tutti gli ebrei conservano un legame particolare e diritti sulla terra di Palestina, garantito dal patto con Dio: alcune scuole sioniste ritengono che Israele sia lo stato erede dei regni di Saul, Davide e Salomone. Questa rivendicazione viene espressa, tra l’altro, nella Dichiarazione di Indipendenza di Israele, la quale afferma che gli ebrei oggi rintracciano le loro origini in una vita nazionale precedente nella geografia della Palestina e perciò hanno un diritto inalienabile al “ritorno”, che ha la precedenza sulla legge positiva… Questa rivendicazione di una linea di discendenza ininterrotta dall’antichità attribuisce diritti collettivi sulla “terra di Israele” ad un intero gruppo, sulla base della sua (presunta) linea di sangue. L’affermazione incompatibile che l’ebraicità sia multirazziale, in virtù del suo carattere di religione alla quale molti altri si sono convertiti, è semplicemente assente in questa formulazione.

Quindi dove lascia posto per vivere ai Palestinesi, il popolo indigeno della Palestina? Ricordate che il fatto di essere indigeni viene definito come “popolazioni costituite da discendenti esistenti delle persone che già abitavano l’attuale territorio di un paese, totalmente o parzialmente, nel momento in cui persone di differenti culture od origini etniche sono arrivate da altre parti del mondo, le hanno sopraffatte, conquistandole, colonizzandole o in altro modo, le hanno ridotte in una situazione non più dominante o colonizzate; chi, oggigiorno, vive maggiormente in conformità con le sue particolari usanze e tradizioni sociali, economiche e culturali, che con le istituzioni del paese del quale essi ora fanno parte, sotto una struttura statale che incorpora principalmente caratteristiche nazionali, sociali e culturali di altri segmenti della popolazione che è predominante”.

Nel 1986, fu aggiunta la seguente riga, piuttosto importante: “Qualsiasi individuo che identifica se stesso o se stessa come indigeno ed è stato accettato dal gruppo o dalla comunità come uno dei suoi componenti, deve essere considerato come persona indigena”.

Oggigiorno, Israele prosegue con la sua pretesa di legittimità soprattutto screditando i Palestinesi, il popolo indigeno, con una campagna implacabile di pubbliche relazioni, diplomazia e di attuazioni legislative, talmente riuscita da rendere impotente la comunità internazionale che non riesce a mantenere il diritto internazionale per quanto riguarda il popolo palestinese, compreso il diritto all’auto-determinazione. Gli sforzi legali, ad esempio, sono attualmente focalizzati sulla criminalizzazione delle attività di boicottaggio (BDS).

Il Gruppo di Lavoro sull’Antisemitismo dell’Unione Parlamentare Europea ha, di conseguenza, incluso nella sua definizione di anti-semitismo: “Vietare al popolo ebraico il suo diritto all’auto-determinazione, ad esempio affermando che la esistenza dello stato di Israele sia di per sé una azione razzista”.

Nel 2016, gli Stati Uniti hanno approvato l’Anti-Semitism Awareness Act, nel quale la definizione di anti-semitismo è quella scritta dall’Inviato Speciale per Monitorare e Combattere l’anti-semitismo del Dipartimento di Stato in una informativa dell’8 giugno 2010. Alcuni esempi di anti-semitismo in essa elencati comprendono: “Non permettere al popolo ebraico il proprio diritto all’auto-determinazione, e vietare ad Israele il diritto ad esistere”.

Secondo il mio parere, Israele sarà legittimato solo quando smetterà di ostacolare il diritto dei Palestinesi all’auto-determinazione, un diritto “autorevolmente” riconosciuto dalle leggi internazionali: “Lo status dei Palestinesi in quanto popolo autorizzato ad esercitare il diritto all’auto-determinazione è stato risolto legalmente, e ancor più autorevolmente dalla Corte di Giustizia Internazionale, nel suo parere consultivo del 2004 riguardante le Conseguenze Legali della Costruzione di un Muro nei Territori Palestinesi Occupati”.

Le contro-argomentazioni avanzate da Israele e dai suoi supporter per razionalizzare e legittimare le politiche che rifiutano i diritti dei Palestinesi ed affermano invece quelli del “popolo ebraico” includono le pretese secondo le quali la determinazione di Israele a restare uno stato ebraico sia coerente con le pratiche di altri stati, come la Francia; Israele non deve trattare i non-cittadini Palestinesi in modo uguale agli ebrei proprio perché essi non sono cittadini, ed il trattamento dei Palestinesi da parte di Israele non riflette nessun “proposito” o “intento” di dominare, ma piuttosto è una situazione temporanea imposta su Israele dalle realtà dei conflitti in corso e dalle richieste di sicurezza. Una rivendicazione ulteriore è che Israele non può essere considerata colpevole per crimini di apartheid in quanto il diritto di voto dei cittadini palestinesi di Israele si basa su due errori di interpretazione giuridica: una eccessiva comparazione letterale con la politica di apartheid del Sud-Africa e il distaccamento dalla questione del diritto di voto dalle altre leggi, soprattutto le disposizioni del diritto basilare che proibiscono ai partiti politici di contestare il carattere ebraico, e quindi razziale, dello stato.

Sì, la Palestina esiste e continuerà ad esistere grazie alla incredibile fermezza palestinese.

Come ha espressamente dichiarato anche dal rabbino Brant Rosen: “La scelta che ci troviamo alla fine di fronte è tra uno stato ebraico e la legge internazionale, la giustizia ed i diritti umani per tutti”.

Traduzione di Aisha Tiziana Bravi