Corte Penale Internazionale e Palestina: un caso di dubbia giustizia

Kanbar-Commentary-PhotoAl-Shabaka. Di Sarah Kanbar. E’ passato ormai un anno da quando la Palestina è diventata membro della Corte Penale Internazionale e da quando l’Ufficio del Procuratore della suddetta Corte ha dato il via alle indagini preliminari sulla “questione palestinese”. Mentre il rifiuto quasi totale da parte di Israele di collaborare con la CPI per questioni legate alla Palestina ha ostacolato tali indagini, il paese non rappresenta l’unico impedimento affinché sia fatta giustizia: l’ufficio del Procuratore stesso ha avuto un ruolo predominante nel rallentare il processo.

Nel novembre del 2015 la relazione annuale sulle indagini preliminari (qui di seguito), redatto dal Procuratore Capo Fatou Bensouda, ha fornito un aggiornamento sull’andamento delle indagini. Secondo le informazioni contenute nella relazione, non è ancora chiaro come l’Ufficio del Procuratore procederà per mettere in atto “i due obiettivi principali dello Statuto di Roma: porre fine del conflitto tramite l’incoraggiamento di procedimenti spontanei nazionali, e la prevenzione dei reati” in Palestina. Inoltre, due elementi della relazione – la dichiarazione dell’Ufficio del Procuratore riguardo la condizione di Stato della Palestina e i possibili crimini già identificati – rivelano critiche più ampie all’Ufficio, da un lato la preoccupazione per la sua imparzialità e dall’altra il fallimento nel soddisfare le speranze delle vittime di ottenere giustizia.

Queste mancanze dell’Ufficio potrebbero quindi vanificare il ruolo della CPI in quanto palcoscenico in cui giudicare e valutare le atrocità che si stanno susseguendo in Palestina. La società civile deve tenere sotto controllo l’attività della CPI e assicurarsi che essa rimanga un organo imparziale e apolitico.

Palestina: un banco di prova per la Corte Penale Internazionale

La CPI, che ha iniziato la sua attività nel 2002, è un organo giudiziario giovane e ancora in via di sviluppo. Finora, quasi tutti i casi in atto riguardano stati africani. La CPI sta iniziando a lavorare anche in altre regioni tramite esami e indagini preliminari. Ciò si riflette nel numero crescente di casi arrivati all’Ufficio del Procuratore e nell’avvio di procedimenti dopo il completamento di anni di indagini preliminari.

La CPI deve però affrontare il problema dell’assenza di fondi, il che la mette nella posizione di aver bisogno di aiuti finanziari da parte degli stati che ne fanno parte. La CPI non può fare sempre affidamento sui fondi e, anche qualora li ricevesse, il solo fatto di averne bisogno la rende oggetto di attenzioni nei programmi politici di alcuni Stati. La CPI dunque è un organo importante e deve dimostrarsi imparziale.

Durante una riunione recente dell’Assemblea degli Stati membri della CPI, l’organo responsabile per la gestione e la supervisione del tribunale, i membri di una delegazione palestinese e alcuni rappresentanti della società civile hanno espresso la loro opinione dicendo che la gestione, da parte della CPI, della questione Palestinese rappresenterà un banco di prova. Hanno elencato vari motivi per cui sarebbe necessario che la CPI giudicasse i crimini in Palestina, tra cui la storia dei continui conflitti che in questo paese vanno avanti da più di 60 anni, le negoziazioni non andate a buon fine, le testimonianze delle violazioni dei diritti umani – che vanno dalle relazioni sul campo redatte dalle ONG (Organizzazioni Non Governative) al parere consultivo sul Muro tra Israele e Palestina espresso nel 2004 dalla stessa CPI.

I delegati e i rappresentanti della società civile hanno anche dichiarato che l’Ufficio del Procuratore è in possesso di una moltitudine di informazioni tale da poter portare a termine tutte le indagini in maniera efficiente, nonostante essi abbiano riconosciuto che Israele ha reso difficile l’accesso alle informazioni sull’assalto nella Striscia di Gaza del 2014. Inoltre hanno espresso la propria paura che, rallentando le indagini, l’Ufficio perda nuovamente l’appoggio delle vittime – in questo caso i Palestinesi.

La CPI è stata criticata molte volte per il fatto che le vittime, spesso vulnerabili, che ripongono molte speranze nella Corte, rimangono deluse dal fallimento di quest’ultima nel trovare una soluzione. Aspettando la fine di un processo estremamente lento senza ricevere un responso, le vittime di crimini atroci si sentono abbandonate e questo le porta a perdere la fiducia in un sistema giudiziario che funziona con l’aiuto degli Stati che ne fanno parte.

Durante le indagini preliminari, l’Ufficio del Procuratore studia le comunicazioni e le informazioni per determinare se siano necessarie ulteriori indagini o un processo. Il Rapporto del Procuratore Capo raccoglie questo materiale durante la fase delle indagini e nella fase di revisione delle informazioni. L’Ufficio non ha facoltà investigative durante le indagini preliminari. Il suo compito è quello di revisionare e determinare se un caso risponde ai parametri dell’Articolo 53 dello Statuto di Roma, che dà inizio a un’indagine a meno che il Procuratore Capo non stabilisca che non ci sono i “presupposti ragionevoli” per procedere. Lo Statuto di Roma non fornisce un lasso di tempo entro il quale l’Ufficio deve portare a termine le indagini preliminari, e qualsiasi informazione aggiuntiva può essere presa in considerazione dopo che sono state avviate le indagini. Potrebbero quindi volerci anni prima che si possa procedere con le indagini o che l’Ufficio respinga il procedimento.

Due critiche potrebbero essere mosse alla CPI, secondo la relazione. La prima, che la preoccupazione dell’Ufficio nel voler rimanere imparziale abbia soltanto posticipato le indagini preliminari portando l’Ufficio a esulare dal suo incarico sulla condizione di Stato della Palestina, questione che è stata al centro dell’attenzione del precedente Procuratore Capo. In secondo luogo, attraverso le considerazioni riguardo i crimini di Israele ai danni dell’umanità e i crimini di guerra, la CPI potrebbe rivelarsi soltanto un’altra organizzazione internazionale che deluderà ancora una volta i Palestinesi non riuscendo a prendere provvedimenti nei confronti di Israele e dichiararla colpevole. 

La relazione dell’Ufficio del Procuratore e la questione della condizione di Stato

Vale la pena ricordare che, dopo il 2009, quando per la prima volta l’Autorità Palestinese ha sottoscritto una Dichiarazione secondo l’Articolo 12(3) alla CPI, accettando la giurisdizione del tribunale, l’Ufficio del Procuratore ha evitato un’indagine preliminare sulla Palestina poiché non la considerava uno Stato. Nella prima relazione sulle Attività di Indagini Preliminari del 2011, l’Ufficio ha scritto che bisognava riconoscere la Palestina come Stato affinché questa potesse sottoscrivere la dichiarazione. Nella relazione dell’anno successivo, l’Ufficio ha deciso che soltanto un’organizzazione internazionale come le Nazioni Unite avrebbe potuto accertarsi che la Palestina fosse uno Stato o no.

Questo ritardo fu criticato pesantemente, in particolare perché non rientra tra le competenze dell’Ufficio intervenire su questioni legali che riguardano la condizione di Stato per presentare una dichiarazione. Inoltre, esistevano altre possibilità per determinare se la Palestina potesse sottoscrivere una dichiarazione o anche solo accedere allo Statuto di Roma: ad esempio, rimettersi alla Camera Preliminare, organo che ha l’autorità di prendere una decisione in situazioni come questa.

Una posizione diversa riguardo la condizione di Stato palestinese è in seguito emersa nella relazione del 2015. Il Procuratore Capo Bensouda ha affermato che è necessario un chiarimento da parte delle Nazioni Unite riguardo lo status della Palestina per stabilire qualora potesse accedere allo Statuto di Roma. Il Procuratore ha poi scritto che l’Ufficio ha stabilito che la Palestina avrebbe potuto sottoscrivere una dichiarazione sotto l’Articolo 12(3) sulla base della Risoluzione 67/19 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (la stessa Risoluzione che aveva portato la Palestina a diventare uno Stato osservatore nel 2012). Tuttavia, Bensouda ha anche affermato che la CPI può ancora avere da ridire sulla condizione di Stato sulla base della giurisdizione territoriale o personale.

Inoltre, come hanno puntualizzato molti studiosi ed esperti, l’Ufficio del Procuratore non possiede l’autorità per prendere una decisione su come determinare la condizione di Stato. Invece di proclamare lo Stato della Palestina e di conseguenza sottoscrivere una dichiarazione secondo l’Articolo 12(3) o accedere allo Statuto di Roma, l’Ufficio avrebbe potuto concludere che la Palestina poteva sottoscrivere una dichiarazione in quanto possedeva i requisiti elencati dall’Articolo 12 dello Statuto di Roma. Questo Articolo permette che uno Stato non membro acconsenta affinché la Corte possa esercitare la sua giurisdizione su un crimine che cade sotto le sue competenze. Fondamentalmente, dichiarare che la Palestina può agire in quanto Stato secondo l’Articolo 12(3) è andare al di là delle competenze limitate dell’Ufficio del Procuratore.

Crimini israeliani e giurisdizione dell’Ufficio del Procuratore

La relazione del 2015 è comunque un passo positivo nella revisione dei documenti relativi ai numerosi crimini in Palestina. L’Ufficio è attualmente entrato nella seconda fase delle indagini, durante la quale deve determinare se ci sono crimini che cadono sotto la giurisdizione della Corte penale internazionale – nello specifico crimini contro l’umanità e crimini di guerra.

I crimini contro l’umanità sono definiti dall’Articolo 7 dello Statuto di Roma. Molti tipi di azioni sono elencate sotto questa categoria, nonostante la descrizione delle intenzioni con le quali vengono commessi sia più specifica. Se però la definizione include molte delle azioni commesse da Israele, è comunque l’Ufficio a determinare se esse siano crimini o meno. I crimini di guerra, definiti dall’Articolo 8, sono elencati in maniera più estesa e richiedono che ci sia un conflitto armato in corso, gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra, violazioni della legge e degli usi di guerra.

L’Ufficio del Procuratore ha rese note, nella relazione che sta attualmente revisionando, le informazioni che riguardano i presunti crimini commessi a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est sia da parte dei gruppi armati palestinesi che dalle Forze di Difesa israeliane. Sta esaminando il lancio immotivato di razzi e mortai da parte dei palestinesi verso Israele, gli attacchi partiti da zone civili, l’uso di zone civili per scopi militari, e l’esecuzione dei palestinesi che avrebbero collaborato con Israele. L’Ufficio sta anche revisionando il materiale riguardante i crimini commessi dalle Forze di Difesa israeliane a Gaza durante l’assalto della Striscia nel 2014, quali gli attacchi diretti rivolti a palazzi e infrastrutture in cui risiedevano civili, ma anche a edifici appartenenti all’ONU, ospedali e scuole. Questi includono anche bombardamenti su zone civili ad alta densità demografica come al-Shujayya e Khazaa.

Non è chiaro se l’Ufficio arriverà alla conclusione che questi crimini, specialmente i crimini contro l’umanità, cadono sotto la propria giurisdizione. Ad esempio, alcuni crimini contro l’umanità in questione come l’apartheid, sono questioni che a prima vista sembrerebbero nuove alla CPI. Questo significa che non ci sono precedenti su cui basarsi, il che rende imprevedibile l’esito delle indagini.

Il Procuratore Capo Bensouda ha anche dichiarato che l’Ufficio possiede informazioni sulle violenze negli insediamenti e il trattamento dei palestinesi nelle carceri israeliane e nei tribunali militari. Questi non sono necessariamente crimini di guerra e di conseguenza potrebbero non rientrare nelle competenze della CPI. Inoltre, le informazioni sui tribunali israeliani potrebbero sollecitare un intervento della CPI o una sentenza che dichiara il sistema giudiziario israeliano capace di giudicare processi secondo giustizia. Essendo la CPI un tribunale di ultima istanza, uno dei suoi obiettivi è incoraggiare processi a livello nazionale. Se l’Ufficio del procuratore decide che Israele può giudicare questi crimini secondo giustizia, allora potrebbe anche concludere che non ci sia bisogno delle indagini – e Israele ancora una volta non verrebbe ritenuto responsabile.

La Corte Penale Internazionale sotto processo

Il risvolto positivo dell’avere un organo giudiziario come la CPI è che essa garantisce che le vittime, che per lungo tempo hanno subito atrocità, abbiano l’opportunità di presentare il proprio caso davanti alla giustizia. La condanna, nel marzo 2016, dell’ex politico serbo-bosniaco Radovan Karadzic per i crimini di guerra commessi ai danni dei musulmani bosniaci testimonia il grande potenziale dei tribunali penali internazionali. La Palestina sembrerebbe l’ultimo banco di prova per determinare se la CPI può continuare a rappresentare uno strumento per prevenire i crimini e punire chi li commette al massimo livello di giurisdizione, o se alla fine fallirà perché si piegherà alle influenze politiche.

Nonostante meno della metà dei rifugiati palestinesi creda che la Corte arriverà a una soluzione duratura, l’Ufficio del Procuratore deve continuare le indagini preliminari sulla Palestina. Se identificherà potenziali crimini quali apartheid o il trattamento delle minoranze nei tribunali militari ma non porterà avanti i procedimenti, i palestinesi non potranno fare alcun ricorso e si ricorderanno soltanto di quanto le organizzazioni internazionali siano inefficienti nel trovare una soluzione giusta al conflitto. Inoltre, Israele continuerà ad agire impunito. Ma se la CPI userà la legge come meccanismo di cambiamento e porterà le responsabilità a livello nazionale, non sarebbe solo un grande successo per i Palestinesi. Sarebbe un successo anche per la CPI stessa, che dimostrerebbe la sua competenza e resistenza alle pressioni esterne.

Le organizzazioni di giustizia internazionali e le organizzazioni palestinesi dovrebbero continuare a tenere sotto controllo i lavori della CPI e dell’Ufficio, scrutinando le decisioni quando vengono prese. Gli ufficiali palestinesi dovrebbero continuare a trattare la CPI come un organo non politicizzato e quindi evitare la tentazione di usarlo come uno strumento per riaffermare la condizione di Stato. Nonostante la tendenza della CPI a essere influenzata dai politici, c’è ancora speranza che essa possa condannare gli israeliani colpevoli dei loro crimini – anche se potrebbero volerci anni. Se è vero che la Palestina sta intraprendendo un viaggio molto lungo insieme alla CPI, si spera che stia andando almeno nella direzione giusta.

 

 

dell’Ufficio intervenire su questioni legali che riguardano la condizione di Stato per presentare una dichiarazione. Inoltre, esistevano altre possibilità per determinare se la Palestina potesse sottoscrivere una dichiarazione o anche solo accedere allo Statuto di Roma: ad esempio, rimettersi alla Camera Preliminare, organo che ha l’autorità di prendere una decisione in situazioni come questa.

Una posizione diversa riguardo la condizione di Stato palestinese è in seguito emersa nella relazione del 2015. Il Procuratore Capo Bensouda ha affermato che è necessario un chiarimento da parte delle Nazioni Unite riguardo lo status della Palestina per stabilire qualora potesse accedere allo Statuto di Roma. Il Procuratore ha poi scritto che l’Ufficio hastabilito che la Palestina avrebbe potuto sottoscrivere una dichiarazione sotto l’Articolo 12(3) sulla base della Risoluzione 67/19 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (la stessa Risoluzione che aveva portato la Palestina a diventare uno Stato osservatore nel 2012). Tuttavia, Bensoudaha anche affermato che la CPIpuò ancora avere da ridire sulla condizione di Stato sulla base della giurisdizione territoriale o personale.

Inoltre, come hanno puntualizzato molti studiosi ed esperti, l’Ufficio del Procuratore non possiede l’autorità per prendere una decisione su come determinare la condizione di Stato. Invece di proclamare lo Stato della Palestina e di conseguenza sottoscrivere una dichiarazione secondo l’Articolo 12(3) o accedere allo Statuto di Roma, l’Ufficio avrebbe potuto concludere che la Palestina poteva sottoscrivere una dichiarazione in quanto possedeva i requisiti elencati dall’Articolo 12 dello Statuto di Roma. Questo Articolo permette che uno Stato non membro acconsenta affinché la Corte possa esercitare la sua giurisdizione su un crimine che cade sotto le sue competenze. Fondamentalmente, dichiarare che la Palestina può agire in quanto Stato secondo l’Articolo 12(3) è andare al di là delle competenze limitate dell’Ufficio del Procuratore.

Crimini israeliani e giurisdizione dell’Ufficio del Procuratore

La relazione del 2015 è comunque un passo positivo nella revisione dei documenti relativi ai numerosi crimini in Palestina. L’Ufficio è attualmente entrato nella seconda fase delle indagini, durante la quale deve determinare se ci sono crimini che cadono sotto la giurisdizione della Corte penale internazionale – nello specifico crimini contro l’umanità e crimini di guerra.

I crimini contro l’umanità sono definiti dall’Articolo 7 dello Statuto di Roma. Molti tipi di azioni sono elencate sotto questa categoria, nonostante la descrizione delle intenzioni con le quali vengono commessi sia più specifica. Se però la definizione include molte delle azioni commesse da Israele, è comunque l’Ufficio a determinare se esse siano crimini o meno. I crimini di guerra, definiti dall’Articolo 8, sono elencati in maniera più estesa e richiedono che ci sia un conflitto armato in corso, gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra, violazioni della legge e degli usi di guerra.

L’Ufficio del Procuratore ha dichiarato nella relazione che sta attualmente revisionando le informazioni che riguardano i presunti crimini commessi a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est sia da parte dei gruppi armati palestinesi che dalle Forze di Difesa israeliane. Sta esaminando il lancio immotivato di razzi e mortai da parte dei palestinesi verso Israele, gli attacchi partiti da zone civili, l’uso di zone civili per scopi militari, e l’esecuzione dei palestinesi che avrebbero collaborato con Israele. L’Ufficio sta anche revisionando il materiale riguardante i crimini commessi dalle Forze di Difesa israeliane a Gaza durante l’assalto della Striscia nel 2014, quali gli attacchi diretti rivolti a palazzi e infrastrutture in cui risiedevano civili, ma anche a edifici appartenenti all’ONU, ospedali e scuole. Questi includono anche bombardamenti su zone civili ad alta densità demografica come al-Shujayya e Khazaa.

Non è chiaro se l’Ufficio arriverà alla conclusione che questi crimini, specialmente i crimini contro l’umanità, cadono sotto la propria giurisdizione. Ad esempio, alcuni crimini contro l’umanità in questione come l’apartheid, sono questioni che a prima vista sembrerebbero nuove alla CPI. Questo significa che non ci sono precedenti su cui basarsi, il che rende imprevedibile l’esito delle indagini.

Il Procuratore Capo Bensouda ha anche dichiarato che l’Ufficio possiede informazioni sulle violenze negli insediamenti e il trattamento dei palestinesi nelle carceri israeliane e nei tribunali militari. Questi non sono necessariamente crimini di guerra e di conseguenza potrebbero non rientrare nelle competenze della CPI. Inoltre, le informazioni sui tribunali israeliani potrebbero sollecitare un intervento della CPI o una sentenza che dichiara il sistema giudiziario israeliano capace di giudicare processi secondo giustizia. Essendo la CPI un tribunale di ultima istanza, uno dei suoi obiettivi è incoraggiare processi a livello nazionale. Se l’Ufficio del procuratore decide che Israele può giudicare questi crimini secondo giustizia, allora potrebbe anche concludere che non ci sia bisogno delle indagini – e Israele ancora una volta non verrebbe ritenuto responsabile.

La Corte Penale Internazionale sotto processo

Il risvolto positivo dell’avere un organo giudiziario come la CPI è che essa garantisce che le vittime cheper lungo tempo hanno subito atrocità abbiano l’opportunità di presentare il proprio caso davanti alla giustizia. La condanna, nel marzo 2016, dell’ex politico serbo-bosniaco Radovan Karadzic, per i crimini di guerra commessi ai danni dei musulmani bosniaci testimonia il grande potenziale dei tribunali penali internazionali. La Palestina sembrerebbe l’ultimo banco di prova per determinare se la CPI può continuare a rappresentare uno strumento per prevenire i crimini e punire chi li commette al massimo livello di giurisdizione, o se alla fine fallirà perché si piegherà alle influenze politiche.

Nonostante meno della metà dei rifugiati palestinesi creda che la Corte arriverà a una soluzione duratura, l’Ufficio del Procuratore deve continuare le indagini preliminari sulla Palestina. Se identificherà potenziali crimini quali apartheid o il trattamento delle minoranze nei tribunali militari ma non porterà avanti i procedimenti, i palestinesi non potranno fare alcun ricorso e si ricorderanno soltanto di quanto le organizzazioni internazionali siano inefficienti nel trovare una soluzione giusta al conflitto. Inoltre, Israele continuerà ad agire impunito. Ma se la CPI userà la legge come meccanismo di cambiamento e porterà le responsabilità a livello nazionale, non sarebbe solo un grande successo per i Palestinesi. Sarebbe un successo anche per la CPI stessa, che dimostrerebbe la sua competenza e resistenza alle pressioni esterne.

Le organizzazioni di giustizia internazionali e le organizzazioni palestinesi dovrebbero continuare a tenere sotto controllo i lavori della CPI e dell’Ufficio, scrutinando le decisioni quando vengono prese. Gli ufficiali palestinesi dovrebbero continuare a trattare la CPI come un organo non politicizzato e quindi evitare la tentazione di usarlo come uno strumento per riaffermare la condizione di Stato. Nonostante la tendenza della CPI a essere influenzata dai politici, c’è ancora speranza che essa possa condannare gli israeliani colpevoli dei loro crimini – anche se potrebbero volerci anni. Se è vero che la Palestina sta intraprendendo un viaggio molto lungo insieme alla CPI, si spera che stia andando almeno nella direzione giusta.

Al-Shabaka è un’organizzazione no-profit la cui missione è educare e promuovere il dibattito pubblico sui diritti umani e di autodeterminazione palestinesi nel quadro del diritto internazionale.

L’autore di questo policy brief è Sarah Kanbar, che ha precedentemente pubblicato “Rooted in ourHomeland: The Construction of Syrian American Identity” (“Radicati nella nostra Patria: la costruzione dell’identità siro-americana”) in American MulticulturalStudies (Sage, 2012) e alcuni articoli per le riviste Muftah e Kalimat.

Traduzione di Giovanna Niro