“A Gaza servono soccorsi urgenti, stanno finendo il cibo e i vestiti”

Di Alessandro Barbieri e Emily Pomponi. Parla Abu Amir Mutasen Eleiwa, il corrispondente dell’Unione ebraica francese per la pace (UJFP) nella Striscia di Gaza e coordinatore di numerosi progetti avviati a Gaza riguardanti l’agricoltura, oltre che responsabile dell’asilo nido solidale di Khuza’a. 

Prima di riuscire ad entrare a Gaza, sabato, è rimasto bloccato al Cairo per alcuni giorni, da dove era in costante contatto con la sua famiglia nella loro casa di Nusseirat (la prima località, vicino alla costa, a sud di Wadi Gaza). Insieme stanno mettendo in campo quelli che considerano gli aiuti prioritari (la casa della famiglia ospita un centinaio di sfollati) e il loro primo appello, il 10 novembre,  riguardava proprio la possibilità donare del cibo per le famiglie più indigenti.

Quando era in Egitto, pochi giorni fa, Abu Amir aveva spiegato la situazione:

“Non è stato possibile distribuire gli aiuti nelle scuole perché il numero di abitanti è molto alto e richiede quantità enormi di cibo e di indumenti. Se una delle scuole viene avvicinata, i volontari saranno assediati perché non potranno distribuire gli aiuti a tutti a causa dell’elevato numero di persone in ogni scuola. La rabbia della popolazione nei confronti delle istituzioni è intensa per la mancanza di aiuti, vista la tragica situazione in cui si trovano gli abitanti della Striscia di Gaza. Per questo gli aiuti sono stati distribuiti nelle case. Sotto l’inferno dei bombardamenti, la società gazawi continua a mostrare le sue risorse di solidarietà. Sta a noi fare tutto il possibile per aiutare”.

L’ambasciata del Cairo ha fatto sapere che i gazawi che si trovano ad el-Arish o nei dintorni sarebbero potuti essere ammessi venerdì, mentre quelli che si trovano al Cairo sabato. Così sabato Abu Amir si è recato a Rafah per entrare a Gaza, allo scopo di raggiungere il team che sta distribuendo gli aiuti.

La famiglia di Abu Amir ha fatto tutto il possibile per dissuaderlo: “Noi abbiamo una possibilità, anche se minima, di uscire, ma tu se entri, non uscirai mai!” Hanno, inoltre, tracciato il seguente quadro: “Non abbiamo cibo, niente acqua, nemmeno per il bagno, niente coperte o materassi, tutto è andato alle famiglie di rifugiati che vivevano con noi, nessun modo di spostarsi se non a piedi o con un asino… per non parlare della difficoltà e del costo (circa 120 €) del viaggio da Rafah a Nuseirat”.

Abu Amir è riuscito ad  arrivare mercoledì della settimana scorsa a Nusseirat e ha scritto un messaggio all’UJFP:

“Cari Sarah e Pierre, sono arrivato ieri molto tardi e non ho potuto contattarvi perché non c’è internet. Dal momento in cui sono entrato al valico di Rafah, e per tutto il viaggio di ritorno verso la mia casa, gli edifici erano distrutti e le strade inutilizzabili. Sì, hanno riportato Gaza indietro di 50 anni. Al mattino sono andato a ispezionare l’area di Nusseirat e ho trovato persone che camminavano per strada senza sapere dove andare. Persone che vivevano senza il necessario per vivere. Quello che mi ha colpito è stato vedere tanti bambini che camminavano a piedi nudi e indossavano abiti leggeri, non adatti al freddo dell’inverno. Di conseguenza, è necessario lanciare una campagna di donazioni per fornire rapidamente soccorso alla popolazione di Gaza. Ora sto valutando cosa si può fornire agli sfollati con le risorse disponibili”.

L’Unione ebraica francese per la pace fa sapere che “sono stati creati e testati diversi meccanismi di trasferimento di denaro, anche dal nostro sito internet, per aiutare l’associazione a rifornire la popolazione. Funzionano e garantiscono il pagamento dei commercianti. Hanno già permesso ad Abu Amir, insieme a una ONG gazawi con cui l’UJFP collabora da diversi anni, di realizzare una serie di azioni che dimostrano la volontà della società gazawi a mantenere la coesione sociale nelle attuali terribili circostanze”.