Alcune verità sul Qatar

Oumma.com. Alcune verità sul Qatar.

Selezione dall’intervista con Haoues Seniguer, ricercatore e docente di scienze politiche all’Università di Scienze Politiche di Lione, specialista dell’Islam e del mondo arabo.

Qual è la natura del regime del Qatar?

Il Qatar è un regime autoritario e neo-patrimoniale. Inoltre ha delle tendenze oligarchiche molto marcate, segnate da un’impronta fortemente familiare, dal momento che è dominato da poche persone, che girano tutte intorno alla famiglia Al Thani, a partire dalla quale si organizza il sistema gerarchico dei differenti livelli del potere centrale. Questo è il motivo per cui questa famiglia occupa delle funzioni di stato ed economiche estremamente importanti. Ricordiamo inoltre che l’attuale emiro è salito al potere nel giugno 1995 nel corso di un colpo di stato contro il proprio padre!

Per comprendere la natura fondamentalmente autocratica del regime, è sufficiente fare riferimento alla “Costituzione permanente dello Stato del Qatar”, emessa l’8 giugno 2004, la quale, fin dall’articolo 1 mostra l’indirizzo generale: “Il Qatar è un paese arabo indipendente. L’Islam è la sua religione e la shari‘a è la fonte principale della sua legislazione. Il Capo dello Stato del Qatar è l’emiro e la sua posizione è ereditaria. Egli è il responsabile della ratifica e della promulgazione delle leggi”, ecc.

Dobbiamo ricordare poi che “la legge sulla cittadinanza del Qatar”, adottata il 30 ottobre 2005 in sostituzione della legge del 1961 sulla nazionalità, istituzionalizza la discriminazione politica, economica e sociale dei cittadini naturalizzati, essendo questi ultimi ineleggibili, non avendo accesso al servizio pubblico nei primi cinque anni dalla naturalizzazione (periodo che diventa di dieci anni in caso di seconda naturalizzazione), né il diritto di essere nominato in un organo legislativo. Queste discriminazioni politiche sono aggravate da un’emarginazione economica e professionale: si potrebbero trovare moltissimi esempi che non lasciano dubbi circa la vera natura del regime del Qatar.

I filo-qatarioti insistono tuttavia sulla pretesa “redistribuzione” della manna gasiera alla popolazione.

Il Qatar ha quasi due milioni di abitanti, di cui l’80% sono stranieri. Vi sono tra i 200.000 e i 300.000 originari qatarioti, cifra molto ridotta per un territorio grande come la Corsica e così ricco. Quindi, se si parla di sistema redistributivo, bisogna essere molto chiari su che cosa questo significhi.

Non si tratta certamente di generosità disinteressata. Se il regime, infatti, è estremamente generoso con i suoi “figli legittimi” questo è perché, da un lato, come abbiamo già detto, essi sono ben pochi rispetto agli immigrati non europei, sfruttati e sottopagati, e, dall’altro, perché ciò consente alle autorità statali di mantenere delle clientele, evitando il malcontento, in particolare da parte della classe dei commercianti.

Come si deve interpretare la visita del Qatar a Gaza, visto che questa monarchia intrattiene delle relazioni con Israele?

Possiamo parlare, con le parole del politologo e consulente Karim Sader, di un “Qatar che coltiva paradossi”. Per rispondere alla tua domanda direttamente, il mio parere è che dobbiamo evitare l’ingenuità di suggerire, come ho sentito o letto qua e là, che la visita dell’Emiro del Qatar nella Striscia di Gaza nel mese di ottobre 2012 sia dovuta al coraggio politico o ad una provocazione (riuscita) nei confronti di Israele.

Questa è una storiella. Anche se delle voci critiche hanno effettivamente tuonato dalla cima più alta dello stato ebraico, nei territori palestinesi non entra nessuno senza l’espressa autorizzazione dei servizi di sicurezza israeliani. Coloro che credono, senza dubbio alcuni in buona fede, che si tratti di un atto di eroismo da parte di Hamad bin Khalifa Al Thani, sottovalutano la capacità coercitiva israeliana, o esagerano le capacità diplomatiche del Qatar, che a sua volta dipende dal favore di paesi protettori come gli Stati Uniti, alleato di Israele, nonostante alcuni problemi recenti con l’Amministrazione Obama II.

Infine, questa visita non è stata ben accolta in Palestina da alcuni segmenti della popolazione, così come dall’Autorità Nazionale Palestinese, che vi hanno visto un fattore ulteriore di divisione, e un tentativo di sviamento da preoccupazioni strettamente politiche a vantaggio di considerazioni più banalmente economiche ed umanitarie, sebbene anche queste ultime contino. Recentemente un collega ricercatore, di ritorno da una missione in Palestina, mi ha confidato che vi è una diffidenza crescente dei palestinesi, specialmente a Gaza, nei confronti di Hamas.

Qual è l’importanza del sostegno ai movimenti dell’Islam politico da parte del Qatar?

Ci sono almeno due strategie dietro a questo sostegno: da una parte, l’apparato statale del Qatar, combattuto tra una tendenza salafita e una tendenza piuttosto islamista, ad immagine di una società essa stessa molto conservatrice, propende maggiormente per un islamismo prossimo ai Fratelli Musulmani, che continuano ad essere la corrente meglio strutturata e meglio inserita sia nelle società a maggioranza islamica che tra i non-musulmani.

In secondo luogo, sostenendo finanziariamente i partiti islamici, con un flusso economico crescente, l’emirato subappalta in qualche modo il loro addomesticamento a favore delle grandi potenze (Stati Uniti e in Europa in particolare), garantendo la loro lealtà a un tipo di commercio essenzialmente neo-liberale!

Qual è il ruolo dello shaykh al-Qaradawi nel sistema politico del Qatar?

La storia sa essere crudele a volte, “scripta manent verba volant”… in effetti, lo sceicco Yusuf al-Qaradawi, che fustigava gli “ulamà del potere” in “Priorità del movimento islamista nella tappa successiva”, pubblicato per la prima volta in arabo, se non sbaglio nel 1990 e ristampato per la sesta volta nel 2006 al Cairo, sempre nella stessa lingua, ha visibilmente cambiato casacca da allora, perché oggi è il mufti dell’emirato.

Come in ogni regime autoritario, dove peraltro religione e politica sono strettamente intrecciate, vengono consultati soltanto teologi cooptati, che non dispongono, in quanto tali, di un reale margine di manovra e autonomia critica nei confronti della linea politica ufficiale. Pertanto, molto spesso e semplicemente, si contentano, come al-Qaradawi, di conferire a posteriori una legittimità religiosa a decisioni politiche già prese in precedenza.

In altre parole, “la teologia istituzionale” sostenuta da al-Qaradawi, procede da una teologia molto duttile che, al fine di soddisfare le frange più conservatrici dell’Islam in generale, può conferire una colorazione religiosa a delle prese di posizione politiche potenzialmente discutibili sia dal punto di vista morale che delle fonti di un Islam autenticamente compreso.

Non è forse al-Qaradawi che, sotto la forma di una fatwa apparentemente spontanea, nel febbraio 2011, da Al-Jazira, di fronte a milioni di telespettatori, ha esortato all’assassinio di Muammar Gheddafi?

E come spiegare anche che lo stesso Sheikh non condanna l’usura praticata dall’emirato per fare crescere il proprio capitale all’estero, o i prestiti ad interesse che il Qatar concede ai paesi arabi a tassi non proprio amichevoli?

Perché il Qatar, nonostante disponga di redditi colossali, riduce i lavoratori migranti dal sud-est asiatico in uno stato di semi-schiavitù?

Tutto ciò lascia molto perplessi, considerando che il Qatar è ricolmo di ricchezze illimitate, per le sue immense risorse naturali, ma investe massicciamente in prodotti di lusso, da infrastrutture di ogni genere, a squadre di calcio, ecc. È noto, per esempio, come ha sottolineato Sharan Burrow, della Confederazione Internazionale dei Sindacati, che i costruttori dei futuri stadi di calcio in vista della Coppa del Mondo che si terrà in Qatar nel 2022, “lavoreranno tra le 13 e le 15 ore al giorno, sei giorni alla settimana, per un salario giornaliero di soli 8-11 dollari”. Burrow ha inoltre aggiunto: “Non esiste un salario minimo in Qatar (…)”.

Questi lavoratori inoltre “non hanno il diritto di ricorrere al sindacato o di manifestare contro le cattive condizioni di lavoro, ma, in più, ad essi spesso viene rifiutato l’accesso ai negozi e ai caffè frequentati dai qatarioti o dai turisti”. Questo non è tutto: “Ci sono già 1,2 milioni di lavoratori in Qatar che vivono in condizioni di schiavitù nel XXI secolo”, ecc.

Ci sia concesso quindi di mettere seriamente in discussione l’immagine di “Eldorado” che alcuni vogliono applicare al Qatar e diffondere in Europa, perché, molto semplicemente, le preoccupazioni di coloro che gravitano attorno al ricco emirato sono soltanto due: per alcuni, il rigore religioso, per altri il profitto economico, o, talvolta, tutti e due allo stesso tempo!

Fonte: “Oumma.com”, 22 marzo, 7 aprile 2013 (traduzione di Europeanphoenix.it ©)