B’Tselem: il mondo non può più stare in silenzio a guardare i crimini israeliani.

New York-PIC. I Palestinesi stanno lottando per la sopravvivenza sotto l’occupazione israeliana mentre il mondo rimane in silenzio riguardo al terrorismo senza sosta di Israele, ha avvertito B’Tselem.

Rivolgendosi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 18 ottobre 2018, il direttore di B’Tselem, Hagai El-Ad, ha dichiarato: “È molto difficile, se non impossibile, trasmettere pienamente l’indignazione, l’oltraggio e il dolore di un popolo cui è stato negato il beneficio dei diritti umani per più di cinquanta anni. Qui, in queste camere, è difficile articolare il significato della carne e del sangue delle vite esposte cui i Palestinesi sono sottoposti sotto l’occupazione”, ha detto Hagai.

“Ma non importa quanto sia difficile descriverlo, il vero disagio è affrontare una vita così intollerabile giorno dopo giorno, cercare di vivere, crescere una famiglia e sviluppare una comunità, in queste condizioni”, ha affermato.

“Sono trascorsi quasi due anni da quando ho avuto l’onore di parlare di fronte al Consiglio. Altri due anni di occupazione, due anni in cui è continuata la routine dei primi 49 anni di occupazione. Dall’ultima volta che ho parlato qui, 317 palestinesi sono stati uccisi dalle forze di sicurezza israeliane”, ha aggiunto Hagai.

“Israele ha demolito 294 case palestinesi e ha continuato a eseguire arresti su base giornaliera, compresi di minori; i coloni israeliani hanno vandalizzato e sradicato migliaia di ulivi e viti; le forze di sicurezza israeliane hanno continuato a entrare regolarmente nelle case dei Palestinesi, a volte arrivando nel cuore della notte per svegliare i bambini, registrare i loro nomi e fotografarli; i Palestinesi hanno perso innumerevoli ore di attesa ai check-point, senza alcuna spiegazione. E così la routine dell’occupazione procede.

“Tutto questo è spesso definito ‘lo status quo’. Tuttavia non c’è nulla di statico in questa realtà. È un processo calcolato e deliberato di lento smembramento di un intero popolo, frammentazione della loro terra e interruzione della loro vita: separare Gaza dalla Cisgiordania, frantumare la Cisgiordania in piccole enclave e murare Gerusalemme est dal resto della Cisgiordania.

“Alla fine, ciò che rimane sono frammenti isolati, più facili da opprimere: una famiglia in attesa di sfratto nel quartiere di Gerusalemme Est di Silwan; una comunità come quella di ‘Urif, a sud di Nablus, che prova ad aggrapparsi alla propria terra e coltivarla nonostante la violenza incontrollata dei coloni, longa manus di Israele; o Area A della Cisgiordania, convenientemente considerata “sotto pieno controllo palestinese”, ma in realtà essenzialmente Bantustan, lentamente ma inesorabilmente circondati da insediamenti israeliani sempre più nuovi o in espansione”, ha affermato  Hagai nel suo discorso.

“Niente di tutto ciò è casuale. Tutto ciò è guidato dalla politica. Due degli ultimi e più cospicui esempi sono la condotta di Israele nelle recenti proteste a Gaza e i suoi piani per Khan al-Ahmar, una comunità pastorale palestinese. Circa 200 persone vivono a Khan al-Ahmar, a pochi chilometri a est di Gerusalemme, in un’area in cui Israele si è a lungo sforzato di ridurre al minimo la presenza palestinese ed espandere gli insediamenti.

“Per prima cosa, non si dibatte qui sul fatto che le case siano state costruite senza il permesso delle autorità israeliane. Ciò non è accaduto perché i Palestinesi siano intrinsecamente violatori della legge, come suggeriscono alcuni in Israele. Piuttosto, è perché non hanno altra possibilità. È quasi impossibile per i Palestinesi ottenere permessi di costruzione dalle autorità israeliane perché il regime di pianificazione stabilito da Israele in Cisgiordania è concepito, secondo progetto, per servire i coloni ed espropriare i  Palestinesi”, ha affermato Hagai.

“In secondo luogo, il governo ha omesso di menzionare che i due siti di ricollocazione così generosamente offerti lasciano a desiderare: uno è accanto a una discarica e l’altro vicino a un impianto di trattamento delle acque reflue. Inoltre, la delocalizzazione comprometterebbe completamente la capacità della comunità di guadagnarsi da vivere.

“La Striscia di Gaza, con una popolazione di quasi due milioni di abitanti, è diventata essenzialmente una prigione a cielo aperto. I suoi detenuti hanno messo in atto proteste negli ultimi sei mesi, dopo aver sofferto per oltre un decennio a causa di un blocco imposto da Israele che ha portato al collasso economico, all’impennata dei tassi di disoccupazione, all’acqua potabile inquinata e alla diminuzione degli approvvigionamenti energetici, e, in ultima analisi, alla disperazione profonda.

“Dal 30 marzo, oltre cinquemila Palestinesi sono stati feriti da colpi di arma da fuoco israeliani e più di 170 morti, tra cui almeno 31 minori. I più giovani erano solo dei ragazzini. Majdi a-Satari, Yasser Abu a-Naja e Naser Musbeh avevano solo undici anni quando sono stati uccisi”, ha avvertito il direttore di B’Tselem.

“Finché questo processo metodico e implacabile non innesca indignazione e azione internazionale, Israele può continuare a portare avanti con successo questa contraddizione in termini: oppressione di milioni mentre in qualche modo è ancora considerato una ‘democrazia’.

“Basta dare un’occhiata ai meccanismi di pianificazione discriminatoria e ai sistemi giuridici separati nei territori occupati. Ricordano il grande apartheid del Sud Africa.

“Io non sono un traditore, né un eroe. Gli eroi sono i Palestinesi che sopportano quest’occupazione con coraggio e perseveranza; che si svegliano nel mezzo della notte per trovare i soldati che irrompono nelle loro case; chi sa che se una persona amata è uccisa, l’impunità è quasi garantita ai responsabili; che restano sulla loro terra sapendo che è solo questione di tempo prima che arrivino i bulldozer.

“Rifiutiamo l’occupazione. La rifiutiamo perché la realtà attuale è totalmente e assolutamente  incompatibile con ciò che è corretto e giusto. È una realtà totalmente e assolutamente incompatibile con una vita di libertà e dignità per tutti i 13 milioni di persone – Israeliani e Palestinesi – che vivono tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. E questo è il futuro per cui lottiamo .

“Il mondo deve far sapere a Israele che non starà più a guardare, che agirà contro il continuo smantellamento del popolo palestinese”, ha promesso Hagai.

Traduzione per InfoPal di Laura Pennisi