Caccia al filo-palestinese, il neo-maccarthismo nella propaganda guerrafondaia

InfoPal. Di Lorenzo Poli. In questi giorni, con l’Operazione “Spade di ferro” dell’esercito israeliano su Gaza, la logica della guerra sta creando, in tutta Europa, un clima da caccia alle streghe, un nuovo maccarthismo che minaccia la libertà di espressione e di manifestazione criminalizzando le opinioni non allineate al coro guerrafondaio occidentale.

Proibizione manifestazioni pro-Palestina in Francia. Il ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin ha vietato le manifestazioni in sostegno della Palestina in seguito alla guerra tra Israele e il gruppo radicale palestinese Hamas, per timore di disordini. Nonostante il divieto, giovedì migliaia di persone si sono radunate nelle piazze di diverse città francesi per protestare contro la dura reazione di Israele ed esprimere il proprio sostegno alla popolazione palestinese. A Parigi la polizia è intervenuta con gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere circa 3mila manifestanti che si erano riuniti in Place de la République. Durante la manifestazione sono state arrestate dieci persone, e altre dieci sono state arrestate a Lille. In un appello televisivo, il presidente francese Emmanuel Macron ha invitato i francesi a non fomentare divisioni all’interno del Paese -cosa che lui ha contribuito a fare in questi anni – sottolineando che «chi confonde la causa palestinese con la giustificazione del terrorismo commette un errore morale, politico e strategico». Peccato che a confondere ancora una volta le carte sia proprio lui definendo un esempio di resistenza armata palestinese come un “atto terroristico”.

Repressione solidarietà pro-Palestina in Italia. Con una decisione senza precedenti, il ministro dell’istruzione, Giuseppe Valditara, ha disposto l’invio di ispettori in due istituti scolastici milanesi – l’Educandato statale Setti Carraro e il liceo Manzoni di Milano -, auspicando l’arresto degli studenti che stanno manifestando il loro sostegno alle azioni intraprese dalla resistenza palestinese. Ovviamente la giustificazione di questa sua azione avviene in nome della lotta all’«antisemitismo», il che fa ridere che sia proprio Valditara a supportarla in quanto noto per alcune sue affermazioni. «Farò partire immediatamente nostre ispezioni nelle scuole coinvolte, chiedendo alla Procura di promuovere un’azione penale per odio razziale», ha affermato il 9 ottobre Valditara, mentre si trovava in visita alla Scuola della comunità ebraica di via Sally Mayer a Milano per portare solidarietà dopo gli attacchi di Hamas. «Queste persone devono essere perseguite dalla Procura della Repubblica e spero finiscano in prigione, sono di mentalità nazista, personaggi che devono essere isolati e condannati senza se e senza ma». Valditara ha dato mandato alla direttrice dell’ufficio scolastico regionale di predisporre una dettagliata relazione alla questura. A offrire sostegno alla causa palestinese si sono uniti anche gli studenti del movimento Osa di Roma, i quali hanno dichiarato che «terrorista è Israele» e che il movimento «si batterà nelle scuole» organizzando una agitazione studentesca nei territori di tutto lo Stivale «in solidarietà al popolo palestinese».

I membri di Osa hanno affermato che «la controffensiva della resistenza palestinese di questi giorni è la naturale e legittima risposta alla barbara occupazione pluridecennale dei territori palestinesi da parte di Israele». Il collettivo ha definitivo «false e pretestuose» le dichiarazioni del ministro Valditara, che «dimostrano la volontà di attaccare e criminalizzare chi denuncia i crimini di Israele ed è per la libertà della Palestina».

Caso Patrick Zaki. Dopo gli appuntamenti a Che tempo che fa e all’Arsenale della Pace di Torino, la sindaca di Brescia, Laura Castelletti, ha revocato l’invito in città al ricercatore italo-egiziano per la giornata inaugurale del Festival della Pace di novembre. “È divisivo” – è la motivazione della sindaca – “Le sue parole su Israele non rappresentano il messaggio che la città vuol trasmettere”, spiega la sindaca che nei giorni scorsi era stata criticata dal centrodestra per non aver voluto illuminare Palazzo Loggia – sede del Comune – con i colori di Israele. Anche la Castelletti, piuttosto che al coraggio dell’opinione, si appiattisce sul cerchiobottismo e impedisce ad una persona di dire la propria opinione. Dopo essere stato per mesi sacralizzato dal mainstream come italiano vittima della ferocia del dittatore egiziano Al-Sisi, Zaki oggi si ritrova a subire la censura e la limitazione della libertà di espressione nel suo Paese “democratico”. Bisognerebbe chiedere alla sindaca Castelletti se Patrick Zaki, oltre ad essere stato pericoloso per l’Egitto, oggi lo sia diventato anche per l’Italia. Bisognerebbe chiedere se parlare di Palestina non equivalga forse a parlare di pace e diritti umani per un popolo oppresso che da 75 anni vive sotto la repressione e la militarizzazione di un regime d’apartheid razzista e coloniale. Vergognose sono state tutte le iniziative – compreso il Festival della Pace di Brescia – che hanno annullato la sua presenza solo per essersi espresso a favore dei diritti umani di un popolo e per il suo diritto a difendersi, oltretutto previsto dal diritto internazionale.

Caso Ovadia. Come da sempre fa, Moni Ovadia ha espresso una legittima critica a Israele e a tutti i suoi governi per il regime d’apartheid razzista e coloniale che impone al popolo palestinese da ben 75 anni. La sua è un’espressione di profonda adesione ai principi della nostra Costituzione e dell’antifascismo. L’attore e scrittore aveva pronunciato frasi critiche verso il governo israeliano dopo l’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre e i successivi bombardamenti sulla Striscia di Gaza. «Ho detto che la responsabilità di tutto quello che è accaduto ricade sul governo. Non ho detto “Viva Hamas”», scandisce Ovadia, «ho solo aggiunto che hanno lasciato marcire la situazione. Ho scritto cose molto, molto più forti in questo senso in passato». Dopo le sue accuse, era stata fatta circolare la richiesta delle sue dimissioni, in particolare dal senatore di Fratelli d’Italia Alberto Balboni. Moni Ovadia è stato costretto alle dimissioni da Direttore del Teatro Comunale Abbado di Ferrara. «Tutto questo succede solo perché ho espresso un’opinione: sono finito in questa persecuzione, in questa aggressione, solo per questo» ha dichiarato Ovadia. Al Corriere della Sera ha annunciato le sue dimissioni dalla direzione del Teatro Comunale Abbado di Ferrara. «Non volevo fare un passo indietro, volevo farmi cacciare e poi sporgere denuncia, ma lo faccio per i lavoratori che non devono essere danneggiati», ha aggiunto, «così venerdì rassegnerò le dimissioni. La maggioranza del Cda e del Consiglio comunale ha comunque gli strumenti per mettermi nell’angolo». Viene costretto alle dimissioni dalla direzione di un teatro uno dei più importanti artisti del nostro Paese.

Le dimissioni di Moni Ovadia da direttore del Teatro Comunale di Ferrara sono conseguenza del clima antidemocratico e intollerante da caccia alle streghe che soffia in Italia e in Europa. E’ indecente poi che venga attaccato da quelli che intitolano le strade a Giorgio Almirante e portano nel simbolo l’eredità dei fascisti italiani che furono complici e corresponsabili dei rastrellamenti e dello sterminio nazista.


Caso Adania Shibli. Il 14 ottobre, la Fiera del Libro di Francoforte annunciava la cancellazione della cerimonia di premiazione di Adania Shibli, artista e scrittrice palestinese autrice del libro “Un dettaglio minore”. La motivazione, diffusa in una nota da Litprom, agenzia letteraria che organizza il premio, è “la guerra in Israele”. In compenso, “spazio addizionale sarà concesso alle voci israeliane”, ha fatto sapere, quasi in contemporanea, Juergen Boos, direttore della fiera tedesca. Il libro della Shibli si trascina dietro polemiche fin da questa estate, cioè da quando il giornalista sionista Ulrich Noller, membro della giuria del premio, si era dimesso contro la decisione di premiare la scrittrice palestinese. Verrebbe da dire che questo è un gesto razzista, ma sorvoliamo. Cosa dice di così scomodo questo libro? Racconta la vera storia di una beduina palestinese stuprata e uccisa dai soldati israeliani nel 1949. Per questo contenuto il romanzo è stato accusato di “descrivere Israele come una macchina assassina”. Un eufemismo in confronto a 75 anni di colonialismo e razzismo sistematici di uno Stato occupante verso un popolo. Il volume, tradotto e pubblicato in tedesco nel 2022, si è aggiudicato il prestigioso premio LiBeraturpreis, dato ad autori provenienti dall’Asia, Africa e Mondo arabo. Ma oggi la scrittrice Adania Shibli non può ritirarlo perché ha la colpa di essere palestinese. Le dichiarazioni di Boos e la cancellazione della cerimonia di premiazione della Shibli hanno sollevato la protesta delle case editrici arabe e di molti autori. Dall’Autorità del libro di Sharja, fino all’Associazione degli editori arabi degli Emirati, passando per molte case editrici indipendenti arabe e scrittori, è arrivato l’annuncio del ritiro della loro partecipazione dall’evento a Francoforte. “Sosteniamo il ruolo della cultura e dei libri – scrive in un comunicato l’associazione degli editori arabi degli Emirati –, per incoraggiare il dialogo e la comprensione fra le persone”. E concludono: “Crediamo che questo ruolo sia importante ora più che mai”. Anche il celebre scrittore algerino, Said Khatibi, ha annunciato la cancellazione della sua partecipazione perché, come scrive su Facebook, “speravamo che la letteratura giocasse un ruolo importante per costruire un dialogo fra le parti”. A tentare di spegnere le polemiche è la Litprom che ha comunicato di voler riorganizzare la cerimonia dopo la fine della fiera, ma ormai il danno è fatto.

Caso Mariam Abou Daqqa. L’ultimo caso di neo-maccarthismo è avvenuto ieri con l’arresto arbitrario in Francia della femminista ed attivista palestinese Mariam Abou Daqqa, la cui colpa è di essere palestinese e di essere militante politica del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, tacciato dalle potenze occidentali come “organizzazione terrorista”.

Il popolo palestinese subisce da decenni l’occupazione illegale dei suoi territori. Gaza è una prigione a cielo aperto. Negli ultimi mesi i palestinesi sono stati vittime di uccisioni, raid, deportazioni dalle loro case con il silenzio compiacente dei media mainstream occidentali, senza che una parola di condanna da parte dei “sepolcri imbiancati” che ora condannano gli attacchi di Hamas. Ad oggi, come da 75 anni, esiste un aggressore, Israele, e un aggredito, il popolo palestinese. Esiste uno stato che pratica l’apartheid razzista paragonabile – se non peggiore – a quella dei bantustan in Sudafrica che occupa territori illegalmente e viola il diritto internazionale. Esiste una comunità internazionale, in primis gli Usa e la UE, che sta zitta di fronte ai crimini israeliani e che avvalla da anni le continue prepotenze dei governi israeliani.

Il popolo palestinese subisce da decenni un’occupazione militare illegale da parte di Israele e il suo non è “terrorismo”, ma “resistenza palestinese”. Esiste un popolo che resiste e lotta per veder riconosciuti i suoi diritti, che fioriranno solo con la fine dell’occupazione illegale israeliana che dura da decenni. È ipocrita che oggi tutta la politica, con eccezione di qualcuno, esprima solidarietà a Israele e al governo fascista di Netanyahu, nemico degli Accordi di Oslo del 1993, contestato persino dai suoi cittadini. Ad oggi bisogna fermare questo interminabile massacro, costruire la pace sul rispetto dei diritti e della sicurezza dei popoli e ritornare ad un clima democratico di confronto e dibattito che oggi ormai sembra perduto.