E’ business come sempre per l’élite militare di Israele

Memo. Di Daud Abdullah. Mentre i fondi per la spesa nazionale americana vengono ridotti, i soldi delle tasse continuano ad affluire in Israele, dove è business come sempre per l’élite militare israeliana.
Il ministro ad interim della Difesa di Israele, Ehud Barak, è tornato a Washington questa settimana per consultazioni con alti funzionari americani. I suoi pellegrinaggi mensili al Campidoglio sembrano ora più frequenti delle visite dei membri più impegnati del Congresso. Nel complesso, confermano la supremazia dell’esercito israeliano nell’elaborazione della politica estera degli Stati Uniti e la sua totale dipendenza dal sostegno di Washington.

Sebbene ogni visita sia accompagnata da infinite speculazioni dei media riguardo all’Iran e su cosa fare, i cambiamenti creati dalle rivoluzioni del 2011 non sono meno importanti. Le reazioni di ex esponenti militari israeliani offrono qualche spiegazione. Ehud Barak ha descritto la Primavera Araba come uno “tsunami politico”, l’ex ministro della Difesa, Shaul Mofaz, come un “avvertimento strategico per Israele”, e l’ex capo di stato maggiore, Moshe Ya’alon, come un “terremoto storico”.

Tradizionalmente, sia Israele che gli Stati Uniti hanno preferito un potere forte per affrontare le sfide nazionali. Nel suo ultimo libro, “Fortezza Israele: la storia interna della elite militare che gestisce il paese – e perché non può fare la pace”, l’autore americano Patrick Tyler attribuisce ciò a “una fede comune nell’azione militare come mezzo più probabile per ottenere risultati della diplomazia o del negoziato, che hanno sempre tenuto in scarsa considerazione”.

Questo punto di vista è confermato da un rapporto del Sevizio Ricerca del Congresso, che ha stimato l’aiuto degli Stati Uniti a Israele (non adeguato all’inflazione) dal 1949 fino al 2013 è di 115 miliardi di dollari.
Nonostante questo, Istituto Nazionale Assicurazioni di Israele ha riferito nel 2010 che il 20 per cento degli israeliani viveva al di sotto della soglia di povertà.

Per quanto riguarda l’assistenza militare, in particolare, Israele ha accettato con l’amministrazione Bush, in 10 anni, un pacchetto di aiuti di 30 miliardi di dollari che ha progressivamente aumentato il finanziamento militare estero annuale di Israele (FMF) da una base di circa 2,55 miliardi di dollari per l’anno finanziario 2009 a circa 3,1 miliardi di dollari per il 2013. Non a caso, l’amministrazione Obama ha già chiesto al Congresso di quest’anno 3,1 miliardi di dollari per Israele. Oltre a questo, il bilancio del dipartimento della Difesa statunitense per il 2013 comprende 99,8 milioni di dollari per il programma di sviluppo missilistico congiunto USA-Israele.

Grazie alla  generosità degli Stati Uniti, Israele, secondo il suo ufficio centrale di statistica, nel 2009, ha speso il 6,7 per cento del suo prodotto interno lordo (Pil) per la  “sicurezza”. Ciò era pari al 18,7 per cento del bilancio nazionale, superando quello che molti paesi industrializzati, compresa l’America, spendono. Mentre gli Usa hanno speso il 5 per cento del loro Pil per la difesa nel 2009, la Gran Bretagna ne ha speso il 2,8 e e la  Germania 1,2.
Significativamente, il presumibilmente molto pericoloso e minaccioso Iran ha speso appena il 2,3 per cento del suo Pil.

Visto che Ehud Barak ha annunciato il suo ritiro dalla politica, nel mese di novembre 2012, dopo l’umiliante offensiva contro Gaza, le sue frequenti visite a Washington sono piuttosto strane. Mentre i motivi politici restano oscuri, non vi è dubbio che queste incursioni hanno lo scopo di aumentare la capacità di sicurezza di Israele. Tutto questo sforzo è per le forze armate che, dice l’ex consigliere per la sicurezza, il deputato nazionale israeliano, Charles Freilich, “non hanno inequivocabilmente vinto un importante scontro militare dal 1967 e non sono riuscite a raggiungere gli obiettivi nella maggior parte dei grandi sforzi diplomatici che hanno intrapreso”.

Oggi, Israele rimane nettamente in contrasto con la comunità internazionale, e in misura crescente con l’Europa, a causa dell’occupazione e degli insediamenti sulla terra palestinese. Quindi, non sarebbe meglio per l’America investire una parte di questi fondi per una soluzione politica, invece di gettare sempre più soldi nel pozzo senza fondo che sono le spese militari di Israele? Dagli anni Cinquanta e Sessanta hanno cercato di porre fine al conflitto con mezzi militari e hanno fallito. Inoltre, dopo gli scontri recenti a Gaza, ogni speranza di imporre una soluzione ai Palestinesi è fuori luogo.

La strategia degli Stati Uniti di mantenere la superiorità militare di Israele nella regione ha danneggiato la causa della pace in modo sostanziale. Ha reso i leader israeliani meno inclini a percorrere la strada dell’onesta diplomazia. Nell’ultima visita di Barak, il nuovo segretario della difesa americano ,Chuck Hagel, gli ha assicurato che, nonostante i tagli  al  bilancio della difesa americano, l’assistenza militare di Washington a Israele, in particolare il sistema di difesa antimissile, non ne risentirà. I leader israeliani sperano di
avere, entro il 2015, il più grande sistema di difesa missilistica del suo genere al mondo, proteggendo lo spazio aereo del paese da attacchi. Il costo stimato è di 2,3 miliardi di dollari. Se questo è stato un ovvio tentativo di Hagel di ingraziarsi la lobby filo-israeliana di Washington, che si era opposta alla sua elezione al
Pentagono, comunque è in linea con la politica di lunga data degli Stati Uniti.

I funzionari americani sono rinomati per le loro candide lezioni sulla necessità di tenere l’esercito fuori dalla politica. Questo, tuttavia, non si applica a Israele. In realtà, pochi o nessuno, a Washington potrebbero discernere dove finisce il militarismo israeliano e dove inizia la sua politica. Di conseguenza, le successive amministrazioni statunitensi sono stati ostaggi virtuali dell’élite militare israeliana, che ha salvaguardato i propri interessi preservando il clima di guerra e di instabilità in Medio Oriente. Purtroppo per i cittadini americani di fronte ai gravi tagli della spesa pubblica, il loro predominio nella politica e nella
società israeliana non può finire in tempi brevi. Mentre il denaro per le spese interne statunitense viene ridotto, i soldi delle tasse continuano a fluire in Israele, dove è business come sempre per l’élite militare israeliana.

Traduzione per InfoPal a cura di Edy Meroli