“Gaza è sotto assedio solo virtualmente”: la giornalista italiana che ha intervistato il leader di Hamas non è credibile

MEMO e PalestineChronicle.com. Di Romana Rubeo. La giornalista italiana Francesca Borri sostiene di aver intervistato il leader di Hamas Yahya Sinwar a Gaza. Fonti vicine a Hamas, tuttavia, accusano Borri di aver mentito circa la natura dell’intervista e hanno riferito ad Al Jazeera che la giornalista italiana si sarebbe solo fatta ritrarre in alcune foto con Sinwar, ponendo poi le domande al suo ufficio stampa, via email.

Hamas ha anche accusato Borri di aver mentito sul giornale su cui sarebbe stata pubblicata: l’intervista, infatti, non è apparsa solo sul quotidiano La Repubblica e sull’inglese The Guardian, ma anche su uno dei più popolari giornali israeliani, lo Yediot Ahronot.

Borri sicuramente sapeva che la pubblicazione di un’intervista al leader di Hamas su un quotidiano israeliano di lingua ebraica, senza l’autorizzazione del movimento, non rappresenta solo una violazione del codice etico, ma anche un atto politico per eccellenza. Ovviamente, gli esponenti di Hamas hanno spiegato di essere stati vittime di un raggiro e hanno ribadito che Sinwar non avrebbe mai rilasciato un’intervista per i lettori israeliani.

Molti Palestinesi, tuttavia, anche quelli più vicini al movimento, lo hanno criticato per non aver condotto adeguate ricerche prima di rilasciare interviste a giornalisti stranieri, soprattutto in considerazione del fatto che Borri aveva già collaborato con lo stesso giornale israeliano in passato.

Il Palestine Chronicle ha pubblicato (e tradotto per il pubblico di lingua inglese) brani tratti da un articolo scritto da Francesca Borri dopo aver visitato Gaza nel 2015, e pubblicato da L’Internazionale. Oltre a dimostrare di non essere credibile, la giornalista sfoggia un approccio di tipo orientalista al Medio Oriente, con una serie di dichiarazioni infarcite di stereotipi infondati e provinciali.

Nel suo articolo del 2015, Borri sostiene che Gaza sia sotto assedio solo ‘virtualmente’. Dipinge i palestinesi come corrotti e scrive che a Gaza nessuno abbia voglia di fare attività politica. Come si spiegherebbe, allora, la cosiddetta “Grande Marcia del Ritorno”, con manifestazioni di massa che coinvolgono tutti gli strati sociali e decine di migliaia di donne e uomini che, dal 30 marzo, protestano contro il blocco imposto da Israele alla Striscia di Gaza?

I passaggi che seguono illustrano ancora meglio il concetto:

“A Gaza tutti sognano solo di andare via”

L’Internazionale, 15 luglio 2015

“Inutile dirgli che non sono musulmana. Non sono neppure palestinese. E che comunque ho avuto l’ennesima ricaduta di tifo, ho la febbre, e quindi il Corano mi autorizza a rompere il Ramadan.

“Ed è inutile, in realtà, dirgli qualsiasi cosa, perché il poliziotto di Hamas che mi ferma per tre ore – sono colpevole di avere con me una bottiglia d’acqua – non ha divisa né distintivo: so che è di Hamas solo perché sono a Gaza. Ed è inutile provare a discuterci: non discute. Impone.

“Alla fine intasca cento dollari sottobanco e mi lascia andare.

“Questa è Hamas, oggi. Stanno lì ai check-point a illuminarti con la torcia e ad accertarsi che il tizio al volante sia tuo padre o tuo marito. Controllano che non ti fumi una sigaretta, che non ti guardi la partita in televisione stappandoti una birra.

“Controllano che tu non scriva un rigo contro di loro.

[…]

“Hamas ha perso anche molti dei suoi generosi amici del Golfo, concentrati sulle emergenze di Siria e Iraq, e ha problemi con l’Iran, contrariato dal mancato sostegno al presidente siriano Assad. E quindi cerca di racimolare il possibile imponendo tasse. Perché Gaza, in realtà, ora è sotto assedio solo virtualmente. Si trova più o meno tutto, anche la Nutella: e tutto entra da Israele.

[…]

“Chiedo a Sharif cosa sogna dell’Europa, mi dice: farmi la doccia la mattina.

“Nessuno qui sostiene Hamas. Ma non si ha più alcuna attività politica: nessuno tenta di cambiare le cose”, dice M., uno dei fondatori del Movimento 15 marzo, che nel 2011, sulle orme di Tunisia ed Egitto, scese in piazza per chiedere riforme e democrazia. E che in un raro esempio di unità nazionale, finì manganellato da Hamas a Gaza e da Fatah a Ramallah”.

L’articolo pubblicato rispecchia l’opinione dell’autrice.