IL CENTRO STUDI SERENO REGIS
VI INVITA A PARTECIPARE
AL CONVEGNO INTERNAZIONALE DI STUDI
GIORNALISMO DI PACE
15 E 16 DICEMBRE 2006
AUDITORIUM DELLA PROVINCIA DI TORINO
VIA VALEGGIO, 5 TORINO
VENERDI 15 DICEMBRE 2006
Ore 14.30 – Registrazione dei partecipanti
Ore 15.00 Apertura dei lavori
Ore 15.15 – Tavola rotonda: I giornalisti come operatori nei conflitti
Moderatore: Giovanni Salio (Centro Studi Sereno Regis)
Interventi di: Maso Notarianni (Peacereporter)
Silvia Pochettino (Volontari per lo sviluppo)
Lucia Vastano (Narcomafie)
Carolina Teza e Mario Pozzobon (superstiti e testimoni del Vajont e del dopoVajont)
Proiezione di un video sul Vajont (20)
Ore 18.15 – Dibattito
SABATO 16 DICEMBRE 2006
Ore 9.30 – Tavola rotonda: Il ruolo dei media nella trasformazione nonviolenta dei conflitti
Moderatore: Giovanni Salio (Centro Studi Sereno Regis)
Interventi di: Johan Galtung (Rete TRANSCEND)
Mimmo Candito (La Stampa)
Alberto Chiara (Famiglia Cristiana)
Ore 12.00 – Dibattito
Ore 15.00: Tavola rotonda: Lavorare in reti mediatiche e nella controinformazione
Moderatore: Giovanni Salio (Centro Studi Sereno Regis)
Interventi di: Rodrigo Vergara (ARCOIRIS TV)
Angela Lano (Infopal.it)
Proiezione del video News from the Holy Land di Jake Lynch e Annabel McGoldrick (50)
Proiezione di un video sulla Val di Susa (questione TAV) + intervento di Enzo Ferrara o altri/e
Ore 18.15 – Dibattito
Dal 12 al 22 dicembre 2006 si terrà presso il Centro Studi Sereno Regis, via Garibaldi, 13 -Torino, la mostra Oltre il velo, 21 fotografie di Giuliana Sgrena.
Giornalismo di pace. Perché?
Secondo Jake Lynch e Annabel McGoldrick (reporters della BBC e del londinese The Independent, nonché docenti di giornalismo e peace-studies in università inglesi, statunitensi e australiane) il giornalismo di pace è caratterizzato dalladottare esplicitamente una teoria del conflitto: il conflitto non è affatto sinonimo di guerra, bensì una relazione tra più parti (individui o gruppi) che hanno obiettivi e interessi incompatibili; inoltre, la mera presenza di un conflitto non porta necessariamente allo scoppio della violenza, perché i suoi sviluppi dipenderanno in primis dagli atteggiamenti e dai comportamenti delle parti direttamente coinvolte, e poi (ma in alcuni casi: soprattutto) da quelli delle parti esterne alla problematica in questione.
Da questo approccio discendono cinque linee guida spesso trascurate nelle analisi giornalistiche più correnti:
- un conflitto emerge in un contesto con specifiche caratteristiche strutturali e culturali, che non possono essere ignorate, pena una pesante distorsione degli eventi;
- nonostante i prevalenti schemi dualistici, in ogni conflitto vi sono sempre più di due parti: da ciò limportanza di unaccurata mappatura dei soggetti coinvolti;
- ogni parte ha una posta in gioco, dichiarata o celata, che deve essere evidenziata mediante ricerche adeguate;
- un conflitto è un processo, la cui punteggiatura (individuazione del momento dinizio, delle diverse fasi e dei punti di svolta) è unoperazione che implica la partecipazione dellosservatore e che mette pertanto in discussione la consolidata teoria della O maiuscola, secondo la quale i giornalisti devono solo riportare i fatti così come sono;
- si dà sempre più di un modo di rapportarsi a un conflitto, per cui è doveroso segnalare loperato di coloro che, in ogni parte del mondo, cercano di elaborare e applicare modalità alternative alla violenza.
Questi punti costituiscono una base per riflettere su alcune domande: in che modo il giornalismo influisce sulla nostra vita?
Le strategie mediatiche adottate dalle parti in un dato conflitto hanno un qualche effetto sul suo stesso svolgimento?
In che cosa consiste la responsabilità dei giornalisti e fino a che punto essi sono influenzati dalle loro teorie circa il loro ruolo e circa i margini di libertà di cui dispongono?
E ancora: chi decide quali (serie di) eventi riferire e quali dimenticare?
Il mondo dellinformazione è pluralistico oppure oligopolistico?
Coloro che promuovono il giornalismo di pace pongono questi interrogativi al centro della loro pratica professionale, talvolta pagando di persona, e ricordano così la figura dellintellettuale specifico auspicata da Michel Foucault sin dagli anni settanta del XX secolo.
IL CENTRO STUDI SERENO REGIS
VI INVITA A PARTECIPARE
AL CONVEGNO INTERNAZIONALE DI STUDI
GIORNALISMO DI PACE
15 E 16 DICEMBRE 2006
AUDITORIUM DELLA PROVINCIA DI TORINO
VIA VALEGGIO, 5 TORINO
VENERDI 15 DICEMBRE 2006
Ore 14.30 – Registrazione dei partecipanti
Ore 15.00 Apertura dei lavori
Ore 15.15 – Tavola rotonda: I giornalisti come operatori nei conflitti
Moderatore: Giovanni Salio (Centro Studi Sereno Regis)
Interventi di: Maso Notarianni (Peacereporter)
Silvia Pochettino (Volontari per lo sviluppo)
Lucia Vastano (Narcomafie)
Carolina Teza e Mario Pozzobon (superstiti e testimoni del Vajont e del dopoVajont)
Proiezione di un video sul Vajont (20)
Ore 18.15 – Dibattito
SABATO 16 DICEMBRE 2006
Ore 9.30 – Tavola rotonda: Il ruolo dei media nella trasformazione nonviolenta dei conflitti
Moderatore: Giovanni Salio (Centro Studi Sereno Regis)
Interventi di: Johan Galtung (Rete TRANSCEND)
Mimmo Candito (La Stampa)
Alberto Chiara (Famiglia Cristiana)
Ore 12.00 – Dibattito
Ore 15.00: Tavola rotonda: Lavorare in reti mediatiche e nella controinformazione
Moderatore: Giovanni Salio (Centro Studi Sereno Regis)
Interventi di: Rodrigo Vergara (ARCOIRIS TV)
Angela Lano (Infopal.it)
Proiezione del video News from the Holy Land di Jake Lynch e Annabel McGoldrick (50)
Proiezione di un video sulla Val di Susa (questione TAV) + intervento di Enzo Ferrara o altri/e
Ore 18.15 – Dibattito
Dal 12 al 22 dicembre 2006 si terrà presso il Centro Studi Sereno Regis, via Garibaldi, 13 -Torino, la mostra Oltre il velo, 21 fotografie di Giuliana Sgrena.
Giornalismo di pace. Perché?
Secondo Jake Lynch e Annabel McGoldrick (reporters della BBC e del londinese The Independent, nonché docenti di giornalismo e peace-studies in università inglesi, statunitensi e australiane) il giornalismo di pace è caratterizzato dalladottare esplicitamente una teoria del conflitto: il conflitto non è affatto sinonimo di guerra, bensì una relazione tra più parti (individui o gruppi) che hanno obiettivi e interessi incompatibili; inoltre, la mera presenza di un conflitto non porta necessariamente allo scoppio della violenza, perché i suoi sviluppi dipenderanno in primis dagli atteggiamenti e dai comportamenti delle parti direttamente coinvolte, e poi (ma in alcuni casi: soprattutto) da quelli delle parti esterne alla problematica in questione.
Da questo approccio discendono cinque linee guida spesso trascurate nelle analisi giornalistiche più correnti:
- un conflitto emerge in un contesto con specifiche caratteristiche strutturali e culturali, che non possono essere ignorate, pena una pesante distorsione degli eventi;
- nonostante i prevalenti schemi dualistici, in ogni conflitto vi sono sempre più di due parti: da ciò limportanza di unaccurata mappatura dei soggetti coinvolti;
- ogni parte ha una posta in gioco, dichiarata o celata, che deve essere evidenziata mediante ricerche adeguate;
- un conflitto è un processo, la cui punteggiatura (individuazione del momento dinizio, delle diverse fasi e dei punti di svolta) è unoperazione che implica la partecipazione dellosservatore e che mette pertanto in discussione la consolidata teoria della O maiuscola, secondo la quale i giornalisti devono solo riportare i fatti così come sono;
- si dà sempre più di un modo di rapportarsi a un conflitto, per cui è doveroso segnalare loperato di coloro che, in ogni parte del mondo, cercano di elaborare e applicare modalità alternative alla violenza.
Questi punti costituiscono una base per riflettere su alcune domande: in che modo il giornalismo influisce sulla nostra vita?
Le strategie mediatiche adottate dalle parti in un dato conflitto hanno un qualche effetto sul suo stesso svolgimento?
In che cosa consiste la responsabilità dei giornalisti e fino a che punto essi sono influenzati dalle loro teorie circa il loro ruolo e circa i margini di libertà di cui dispongono?
E ancora: chi decide quali (serie di) eventi riferire e quali dimenticare?
Il mondo dellinformazione è pluralistico oppure oligopolistico?
Coloro che promuovono il giornalismo di pace pongono questi interrogativi al centro della loro pratica professionale, talvolta pagando di persona, e ricordano così la figura dellintellettuale specifico auspicata da Michel Foucault sin dagli anni settanta del XX secolo.
15 E 16 DICEMBRE 2006
AUDITORIUM DELLA PROVINCIA DI TORINO
VIA VALEGGIO, 5 TORINO
VENERDI 15 DICEMBRE 2006
Ore 14.30 – Registrazione dei partecipanti
Ore 15.00 Apertura dei lavori
Ore 15.15 – Tavola rotonda: I giornalisti come operatori nei conflitti
Moderatore: Giovanni Salio (Centro Studi Sereno Regis)
Interventi di: Maso Notarianni (Peacereporter)
Silvia Pochettino (Volontari per lo sviluppo)
Lucia Vastano (Narcomafie)
Carolina Teza e Mario Pozzobon (superstiti e testimoni del Vajont e del dopoVajont)
Proiezione di un video sul Vajont (20)
Ore 18.15 – Dibattito
SABATO 16 DICEMBRE 2006
Ore 9.30 – Tavola rotonda: Il ruolo dei media nella trasformazione nonviolenta dei conflitti
Moderatore: Giovanni Salio (Centro Studi Sereno Regis)
Interventi di: Johan Galtung (Rete TRANSCEND)
Mimmo Candito (La Stampa)
Alberto Chiara (Famiglia Cristiana)
Ore 12.00 – Dibattito
Ore 15.00: Tavola rotonda: Lavorare in reti mediatiche e nella controinformazione
Moderatore: Giovanni Salio (Centro Studi Sereno Regis)
Interventi di: Rodrigo Vergara (ARCOIRIS TV)
Angela Lano (Infopal.it)
Proiezione del video News from the Holy Land di Jake Lynch e Annabel McGoldrick (50)
Proiezione di un video sulla Val di Susa (questione TAV) + intervento di Enzo Ferrara o altri/e
Ore 18.15 – Dibattito
Dal 12 al 22 dicembre 2006 si terrà presso il Centro Studi Sereno Regis, via Garibaldi, 13 -Torino, la mostra Oltre il velo, 21 fotografie di Giuliana Sgrena.
Giornalismo di pace. Perché?
Secondo Jake Lynch e Annabel McGoldrick (reporters della BBC e del londinese The Independent, nonché docenti di giornalismo e peace-studies in università inglesi, statunitensi e australiane) il giornalismo di pace è caratterizzato dalladottare esplicitamente una teoria del conflitto: il conflitto non è affatto sinonimo di guerra, bensì una relazione tra più parti (individui o gruppi) che hanno obiettivi e interessi incompatibili; inoltre, la mera presenza di un conflitto non porta necessariamente allo scoppio della violenza, perché i suoi sviluppi dipenderanno in primis dagli atteggiamenti e dai comportamenti delle parti direttamente coinvolte, e poi (ma in alcuni casi: soprattutto) da quelli delle parti esterne alla problematica in questione.
Da questo approccio discendono cinque linee guida spesso trascurate nelle analisi giornalistiche più correnti:
- un conflitto emerge in un contesto con specifiche caratteristiche strutturali e culturali, che non possono essere ignorate, pena una pesante distorsione degli eventi;
- nonostante i prevalenti schemi dualistici, in ogni conflitto vi sono sempre più di due parti: da ciò limportanza di unaccurata mappatura dei soggetti coinvolti;
- ogni parte ha una posta in gioco, dichiarata o celata, che deve essere evidenziata mediante ricerche adeguate;
- un conflitto è un processo, la cui punteggiatura (individuazione del momento dinizio, delle diverse fasi e dei punti di svolta) è unoperazione che implica la partecipazione dellosservatore e che mette pertanto in discussione la consolidata teoria della O maiuscola, secondo la quale i giornalisti devono solo riportare i fatti così come sono;
- si dà sempre più di un modo di rapportarsi a un conflitto, per cui è doveroso segnalare loperato di coloro che, in ogni parte del mondo, cercano di elaborare e applicare modalità alternative alla violenza.
Questi punti costituiscono una base per riflettere su alcune domande: in che modo il giornalismo influisce sulla nostra vita?
Le strategie mediatiche adottate dalle parti in un dato conflitto hanno un qualche effetto sul suo stesso svolgimento?
In che cosa consiste la responsabilità dei giornalisti e fino a che punto essi sono influenzati dalle loro teorie circa il loro ruolo e circa i margini di libertà di cui dispongono?
E ancora: chi decide quali (serie di) eventi riferire e quali dimenticare?
Il mondo dellinformazione è pluralistico oppure oligopolistico?
Coloro che promuovono il giornalismo di pace pongono questi interrogativi al centro della loro pratica professionale, talvolta pagando di persona, e ricordano così la figura dellintellettuale specifico auspicata da Michel Foucault sin dagli anni settanta del XX secolo.
Ore 9.30 – Tavola rotonda: Il ruolo dei media nella trasformazione nonviolenta dei conflitti
Moderatore: Giovanni Salio (Centro Studi Sereno Regis)
Interventi di: Johan Galtung (Rete TRANSCEND)
Mimmo Candito (La Stampa)
Alberto Chiara (Famiglia Cristiana)
Ore 12.00 – Dibattito
Ore 15.00: Tavola rotonda: Lavorare in reti mediatiche e nella controinformazione
Moderatore: Giovanni Salio (Centro Studi Sereno Regis)
Interventi di: Rodrigo Vergara (ARCOIRIS TV)
Angela Lano (Infopal.it)
Proiezione del video News from the Holy Land di Jake Lynch e Annabel McGoldrick (50)
Proiezione di un video sulla Val di Susa (questione TAV) + intervento di Enzo Ferrara o altri/e
Ore 18.15 – Dibattito
Dal 12 al 22 dicembre 2006 si terrà presso il Centro Studi Sereno Regis, via Garibaldi, 13 -Torino, la mostra Oltre il velo, 21 fotografie di Giuliana Sgrena.
Giornalismo di pace. Perché?
Secondo Jake Lynch e Annabel McGoldrick (reporters della BBC e del londinese The Independent, nonché docenti di giornalismo e peace-studies in università inglesi, statunitensi e australiane) il giornalismo di pace è caratterizzato dalladottare esplicitamente una teoria del conflitto: il conflitto non è affatto sinonimo di guerra, bensì una relazione tra più parti (individui o gruppi) che hanno obiettivi e interessi incompatibili; inoltre, la mera presenza di un conflitto non porta necessariamente allo scoppio della violenza, perché i suoi sviluppi dipenderanno in primis dagli atteggiamenti e dai comportamenti delle parti direttamente coinvolte, e poi (ma in alcuni casi: soprattutto) da quelli delle parti esterne alla problematica in questione.
Da questo approccio discendono cinque linee guida spesso trascurate nelle analisi giornalistiche più correnti:
- un conflitto emerge in un contesto con specifiche caratteristiche strutturali e culturali, che non possono essere ignorate, pena una pesante distorsione degli eventi;
- nonostante i prevalenti schemi dualistici, in ogni conflitto vi sono sempre più di due parti: da ciò limportanza di unaccurata mappatura dei soggetti coinvolti;
- ogni parte ha una posta in gioco, dichiarata o celata, che deve essere evidenziata mediante ricerche adeguate;
- un conflitto è un processo, la cui punteggiatura (individuazione del momento dinizio, delle diverse fasi e dei punti di svolta) è unoperazione che implica la partecipazione dellosservatore e che mette pertanto in discussione la consolidata teoria della O maiuscola, secondo la quale i giornalisti devono solo riportare i fatti così come sono;
- si dà sempre più di un modo di rapportarsi a un conflitto, per cui è doveroso segnalare loperato di coloro che, in ogni parte del mondo, cercano di elaborare e applicare modalità alternative alla violenza.
Questi punti costituiscono una base per riflettere su alcune domande: in che modo il giornalismo influisce sulla nostra vita?
Le strategie mediatiche adottate dalle parti in un dato conflitto hanno un qualche effetto sul suo stesso svolgimento?
In che cosa consiste la responsabilità dei giornalisti e fino a che punto essi sono influenzati dalle loro teorie circa il loro ruolo e circa i margini di libertà di cui dispongono?
E ancora: chi decide quali (serie di) eventi riferire e quali dimenticare?
Il mondo dellinformazione è pluralistico oppure oligopolistico?
Coloro che promuovono il giornalismo di pace pongono questi interrogativi al centro della loro pratica professionale, talvolta pagando di persona, e ricordano così la figura dellintellettuale specifico auspicata da Michel Foucault sin dagli anni settanta del XX secolo.
Ore 15.00: Tavola rotonda: Lavorare in reti mediatiche e nella controinformazione
Moderatore: Giovanni Salio (Centro Studi Sereno Regis)
Interventi di: Rodrigo Vergara (ARCOIRIS TV)
Angela Lano (Infopal.it)
Proiezione del video News from the Holy Land di Jake Lynch e Annabel McGoldrick (50)
Proiezione di un video sulla Val di Susa (questione TAV) + intervento di Enzo Ferrara o altri/e
Ore 18.15 – Dibattito
Dal 12 al 22 dicembre 2006 si terrà presso il Centro Studi Sereno Regis, via Garibaldi, 13 -Torino, la mostra Oltre il velo, 21 fotografie di Giuliana Sgrena.
Giornalismo di pace. Perché?
Secondo Jake Lynch e Annabel McGoldrick (reporters della BBC e del londinese The Independent, nonché docenti di giornalismo e peace-studies in università inglesi, statunitensi e australiane) il giornalismo di pace è caratterizzato dalladottare esplicitamente una teoria del conflitto: il conflitto non è affatto sinonimo di guerra, bensì una relazione tra più parti (individui o gruppi) che hanno obiettivi e interessi incompatibili; inoltre, la mera presenza di un conflitto non porta necessariamente allo scoppio della violenza, perché i suoi sviluppi dipenderanno in primis dagli atteggiamenti e dai comportamenti delle parti direttamente coinvolte, e poi (ma in alcuni casi: soprattutto) da quelli delle parti esterne alla problematica in questione.
Da questo approccio discendono cinque linee guida spesso trascurate nelle analisi giornalistiche più correnti:
- un conflitto emerge in un contesto con specifiche caratteristiche strutturali e culturali, che non possono essere ignorate, pena una pesante distorsione degli eventi;
- nonostante i prevalenti schemi dualistici, in ogni conflitto vi sono sempre più di due parti: da ciò limportanza di unaccurata mappatura dei soggetti coinvolti;
- ogni parte ha una posta in gioco, dichiarata o celata, che deve essere evidenziata mediante ricerche adeguate;
- un conflitto è un processo, la cui punteggiatura (individuazione del momento dinizio, delle diverse fasi e dei punti di svolta) è unoperazione che implica la partecipazione dellosservatore e che mette pertanto in discussione la consolidata teoria della O maiuscola, secondo la quale i giornalisti devono solo riportare i fatti così come sono;
- si dà sempre più di un modo di rapportarsi a un conflitto, per cui è doveroso segnalare loperato di coloro che, in ogni parte del mondo, cercano di elaborare e applicare modalità alternative alla violenza.
Questi punti costituiscono una base per riflettere su alcune domande: in che modo il giornalismo influisce sulla nostra vita?
Le strategie mediatiche adottate dalle parti in un dato conflitto hanno un qualche effetto sul suo stesso svolgimento?
In che cosa consiste la responsabilità dei giornalisti e fino a che punto essi sono influenzati dalle loro teorie circa il loro ruolo e circa i margini di libertà di cui dispongono?
E ancora: chi decide quali (serie di) eventi riferire e quali dimenticare?
Il mondo dellinformazione è pluralistico oppure oligopolistico?
Coloro che promuovono il giornalismo di pace pongono questi interrogativi al centro della loro pratica professionale, talvolta pagando di persona, e ricordano così la figura dellintellettuale specifico auspicata da Michel Foucault sin dagli anni settanta del XX secolo.