La kefiah: simbolo della lotta palestinese, vittima della moda

The Guardian. Di Ellie Violet Bramley. (Da InvictaPalestina) stampa a scacchi  del tradizionale copricapo arabo è attualmente utilizzata da marchi di lusso come Cecilie Copenaghen, nella cui collezione autunno / inverno il motivo  è fortemente presente  , così come nei rivenditori di fast fashion Boohoo e Asos.

Si teme che i suoi collegamenti con la lotta palestinese vengano cancellati e sfruttati. Omar Joseph Nasser-Khoury, uno stilista palestinese, afferma che la kefiah simboleggia “espropriazione, sfollamenti sistematici, uccisioni extragiudiziali e oppressione”. Il suo uso da parte di designer  scollegati da quel contesto è, dice, irresponsabile. “È irrispettoso ed è una forma di sfruttamento.”

L’apparente proliferazione di disegni ispirati alla kefiah arriva in un momento di crescente dibattito sull’appropriazione culturale. Pratiche come indossare copricapi in stile nativo americano durante i festival sono state riesaminate e Kim Kardashian ha recentemente dovuto ritirare il nome Kimono dalla sua linea  di biancheria contentiva dopo diffuse critiche e una campagna online. Eppure il “grembiule tribale con stampa keffiyeh” da 10 sterline di Boohoo non sembra aver suscitato critiche così aperte.

Mentre alcuni capi con motivi in stile kefiah hanno suscitato proteste  così ampie da essere ritirati, come una tuta  di Topshop nel 2017 e una “sciarpa contro la guerra” di Urban Outfitters nel 2007, molti altri hanno trovato  il loro spazio nelle  classifiche degli abiti più venduti delle ultime estati, oltre ad essere indossati da influencer di Instagram come Lucy Williams e Camille Charrière. La prima collezione del marchio israeliano Dodo Bar Or, che ha  utilizzato il motivo su tute e camicette, è stata una delle preferite su Instagram da quando è stata lanciata  nel 2016. È un modello che si è prestato agli abiti in stile “prateria” delle passerelle delle ultime stagioni, riprendendo l’idea di “frontiera”.

I capi di Cecilie Copenhagen ispirati alla kefiah vanno da  90 a 240 Euro;  gli abiti di Dodo Bar Or possono costare più di 1.000 sterline.

Secondo Nasser-Khoury, “è quasi diventato un luogo comune” vedere il  motivo cooptato. Per Amani Hassan, Programme Director presso l’Arab British Centre, tale utilizzo fa “perdere il significato originale della kefiah” e, con ciò, “normalizza l’occupazione”.

L’attuale cooptazione coincide con periodi difficili della lotta palestinese – dall’ambasciata americana  trasferita a Gerusalemme alla persistente crisi umanitaria a Gaza e all’approvazione di migliaia di insediamenti israeliani illegali nella Cisgiordania occupata.

Sebbene   la kefiah non sia esclusiva della Palestina – colori diversi sono associati a diverse regioni – è però internazionalmente associata alla lotta  palestinese per  l’autodeterminazione. È stata a lungo indossata da coloro che desideravano esprimere solidarietà con la lotta palestinese ed è stata l’equivalente dell’immagine  di Che Guevara per gli adolescenti che volevano esternare  la loro ribellione. Ma ora la kefiah sembra essere passata dall’essere “attivista chic” a un semplice chic.

Per Nasser-Khoury c’è una dinamica specifica nell’uso della kefiah da parte di  un designer israeliano come Dorit Bar Or. Hassan concorda:  “Non dovrebbe accadere, ma per le circostanze in cui stiamo vivendo ora, questa è la triste realtà.

Il motivo della kefiah non è, sostiene Nasser-Khoury, un “disegno casuale… c’è un contesto, c’è uno squilibrio di potere … c’è un privilegio …  ci sono persone che sono state espropriate nel 1948, che sono diventate rifugiate  e che vivono ancora  nei campi in Libano e  tu usi questo indumento, che porta tutto quel dolore, per il  tuo successo personale”.  Dodo Bar O ha rifiutato di commentare.

(Immagine di copertina: l’abito con motivo kefiah è una parte importante della collezione autunno/inverno di Cecilie Copenhagen. Fotografia: Cecilie Copenhagen).

Traduzione per InvictaPalestina.org