Mohammad Tamimi, il ragazzo sopravvissuto a vari tentativi israeliani di assassinarlo… si rifiuta di morire

Imemc.org. Di Kathryn Shihadah – Palestine Home. Due settimane fa, un giovane palestinese è stato oggetto di un tentativo di assassinio (fallito) da parte dei soldati israeliani.

Si chiama Mohammad Fadel Tamimi e ha vent’anni. Mentre l’esercito israeliano spara – e spesso uccide – giovani Palestinesi ogni giorno, questo ragazzo in particolare ha una storia alquanto straziante.

Mohammad ha trascorso tutta la vita a Nabi Saleh, un villaggio che per anni ha guidato la resistenza non violenta dei Palestinesi contro l’occupazione israeliana. La famiglia Tamimi guida questa lotta, organizzando proteste, denunciando a livello internazionale e prendendo a modello l’attività di Martin Luther King Jr.

Queste battaglie hanno sempre infastidito Israele, che, di conseguenza, ha usato per anni il suo esercito per tormentare Nabi Saleh e il clan Tamimi.

La storia di Mohammad Tamimi con Israele è epica e straziante. L’incidente di due settimane fa è solo l’ultimo di una serie di eventi inquietanti.

Incidente: 9 giugno 2022.

Giovedì sera 1 settembre Mohammad stava passeggiando con suo fratello tredicenne Laith, quando i soldati israeliani hanno iniziato a sparare contro di loro (avevano già sparato contro Mohammad lo stesso giorno, ferendolo leggermente al braccio e all’addome).

Per dovere di cronaca: Mohammad non stava partecipando ad alcuna protesta, né stava minacciando in alcun modo i militari – stava solo camminando in compagnia di suo fratello più piccolo.

Mohammad è un volto noto – tutti i soldati lo conoscono. Quindi, il fatto che sia stato colpito alla fronte da un proiettile di acciaio rivestito di gomma e suo fratello al braccio (con frattura delle ossa), non è stato per puro caso.

Pensando che ormai Mohammad fosse morto, i soldati hanno iniziato a prenderlo a calci e stavano per portarlo via (una pratica frequente dell’esercito israeliano) quando sono prontamente intervenuti i vicini che avevano sentito gli spari.

Mohammad è stato trasportato d’urgenza in ospedale con il cranio fratturato e una grave emorragia (i proiettili rivestiti di gomma sono più pericolosi di quanto si possa pensare).

Il consiglio del villaggio di Nabi Saleh ha rilasciato una dichiarazione in cui si afferma che l’incidente è stato un “tentativo di assassinio“.

E’ dal giorno del ferimento che non parla, anche se ora è stabile e sembra in grado di riuscire a sentire e capire.

Ho parlato con una parente di Mohammad, mercoledì scorso, sei giorni dopo l’episodio. Mi ha riferito che Mohammad è in grado di fare qualche passo e di usare le mani, ma non ha ancora ripreso a parlare: non si sa ancora se ciò sia dovuto ai danni causati dal proiettile o al trauma psicologico.

Quando le è stato chiesto se qualcuno dell’esercito israeliano avesse contattato la famiglia per discutere di quanto accaduto, la signora ha risposto “No”.

No. E anche se ci provassero, la famiglia e tutti gli abitanti del villaggio si rifiuterebbero [di parlare con loro]. Non si può iniziare un dialogo con qualcuno che cercherà di ucciderti alla prima occasione, o con qualcuno che sta rubando le tue terre e, ovviamente, sta negando la tua esistenza.

Una piccola consolazione.

Una buona notizia in questa calamità è che l’Autorità Palestinese (ANP) coprirà le spese mediche di Mohammad.

I politici pro-Israele criticano spesso la cosiddetta politica Pay-To-Slay attuata dall’Autorità Palestinese, che, secondo loro, offre denaro anche a quei giovani che si offrono volontari per le missioni suicide.

In realtà, però, questa politica è un sistema messo in atto per la sicurezza sociale, necessaria ad una popolazione sottoposta ad una occupazione brutale. Quando le azioni di Israele portano un Palestinese in carcere, in ospedale o al cimitero, l’Autorità Palestinese può intervenire per evitare che la famiglia vada in rovina.

Resta da vedere quanto siano gravi le ferite di Mohammad e se la guarigione potrà essere possibile, ma almeno le spese mediche non obbligheranno la sua famiglia ad indebitarsi fino al collo.

La sparatoria della scorsa settimana è stata solo l’ultima di una serie di eventi sconcertanti che hanno colpito Mohammad in un periodo di sei mesi, tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018. Ognuno di essi ha cambiato la sua vita e, tutti insieme, sono stati devastanti.

Primo incidente: 15 dicembre 2017.

Un gruppo di militari si aggirava (illegalmente) in una villa vuota a Nabi Saleh. L’esercito israeliano, pesantemente armato, è una presenza costante nel villaggio – per ricordare ai residenti che sono sempre sotto costante controllo.

Quel giorno Mohammad Tamimi, 15 anni, e alcuni amici si sono incuriositi: Mohammad ha sbirciato oltre un muro per vedere cosa stessero facendo i soldati. Quando hanno visto la sua testa a pochi metri di distanza, gli hanno sparato.

Il proiettile è entrato vicino al naso di Mohammad e si è conficcato nella parte posteriore del cranio; il ragazzo perdeva molto sangue. Un’ambulanza della Mezzaluna Rossa è accorsa.

All’inizio i soldati hanno bloccato l’ambulanza (cosa che l’esercito israeliano fa spesso), ma alla fine Mohammad è riuscito a raggiungere l’ospedale.

I medici hanno dovuto rimuovere parte del cranio a causa di una grave infiammazione che aveva colpito il cervello, estraendo i frammenti di proiettile.

“Lo schiaffo che si è sentito in tutto il mondo”.

Pochi istanti dopo la sparatoria, sua cugina Ahed ha sentito la notizia. Furiosa, ha urlato contro un soldato israeliano (pesantemente armato, come al solito) che si aggirava nella sua proprietà e gli ha dato “lo schiaffo che è stato sentito in tutto il mondo” – uno schiaffo innocuo, ma che si è trasformato in un incubo per le pubbliche relazioni di Israele.

I politici israeliani (che non hanno commentato assolutamente a proposito del proiettile sparato direttamente al volto) hanno invece dichiarato che lo schiaffo di Ahed “danneggia l’onore dell’esercito e dello Stato di Israele”; e hanno pertanto suggerito che “trascorra il resto dei [suoi] giorni in prigione”, dichiarando che “avrebbe dovuto ricevere un proiettile, almeno uno nella rotula”.

In seguito, Ahed sarebbe stata colpita da cinque capi d’accusa per aggressione e avrebbe scontato una pena di otto mesi.

A quanto pare, il soldato israeliano che aveva sparato al volto di suo cugino, al contrario, non ha dovuto affrontare nessuna conseguenza.

Secondo incidente: 26 febbraio 2018.

Due mesi dopo, verso la mezzanotte, durante un raid nel villaggio di Nabi Saleh, Mohammad Tamimi e altri nove giovani Palestinesi (cinque dei quali, compreso Mohammad, minorenni) sono stati arrestati per presunto lancio di pietre.

I suoi genitori hanno pregato la polizia di rinviare l’arresto di qualche settimana, poiché avrebbe dovuto sottoporsi ad un intervento chirurgico per la ricostruzione del cranio. Ma i suoi inquisitori sono rimasti completamente indifferenti. A questo punto, i suoi genitori hanno chiesto ai militari di fargli almeno assumere i medicinali, altrimenti avrebbe rischiato morire, e loro hanno risposto che, se fosse morto, non sarebbe stato un problema.

Dopo essere stato sottoposto ad un duro interrogatorio (il ragazzo afferma di essere stato picchiato), Mohammad ha “confessato” di essersi procurato da solo la grave ferita alla testa, a causa di un incidente in bicicletta.

Il giorno dopo, un alto dirigente militare israeliano ha esultato su Facebook: “Meraviglia delle meraviglie. Oggi il ragazzo stesso ha confessato… che a dicembre si è ferito la testa mentre andava in bicicletta”.

I media israeliani e americani si sono accorti subito dell’inganno. Lo stesso giorno in cui è apparso il post su Facebook, il Washington Post ha pubblicato un articolo intitolato “Come la ferita al cervello di un adolescente palestinese, provocata da un proiettile di gomma, durante la notte si è trasformata in un incidente in bicicletta”; Ha’aretz ha pubblicato un pezzo intitolato “Come l’esercito israeliano è riuscito a far confessare ad un adolescente, a cui avevano sparato in testa, che era caduto da una bicicletta”.

In poco tempo, il medico di Mohammad ha reso pubblici dei documenti, tra cui una radiografia del cranio con il proiettile conficcato all’interno. Anche una trentina di testimoni oculari hanno confermato che gli avevano sparato.

Come mi ha detto un altro parente di Mohammad, l’esistenza stessa di Mohammad è una vergogna per Israele, un promemoria costante del fatto che i suoi militari sparano ai bambini.

I leader israeliani hanno inventato la storia della bicicletta per contrastare la verità e, anche se (quasi) nessuno ci crede, Israele è riuscito almeno a salvare la faccia.

Beh, non proprio del tutto.

Terzo incidente: 20 maggio 2018.

I soldati israeliani hanno rapito nuovamente Mohammad una mattina di maggio, circa cinque mesi dopo la sparatoria e tre mesi dopo la “confessione” della bicicletta.

Nessuno nel villaggio ha assistito al rapimento. Quando è scomparso, la famiglia ha temuto che fosse caduto e si fosse ferito. L’intero villaggio lo ha cercato, senza però trovarlo.

Intorno alle 23 – alcune ore dopo la rottura del digiuno di Ramadan che il giovane avrebbe dovuto trascorrere con la sua famiglia e per prendere le sue medicine – Mohammad è ricomparso.

L’intelligence israeliana, infatti, aveva informato uno dei medici di Mohammad che il ragazzo sarebbe stato nuovamente arrestato una volta guarito.

Gli anni “tranquilli”.

Sono passati poco più di quattro anni dall’episodio accaduto a Mohammad. La sua vita è cambiata per sempre. Come ha spiegato un parente, ha problemi di concentrazione e a volte perde la capacità di parlare. Non può andare avanti senza farmaci.

Un’associazione del Sudafrica ha raccolto fondi per consentire a Mohammad di sottoporsi ad un intervento di chirurgia ricostruttiva. L’intervento ha contribuito enormemente a migliorare il suo aspetto, ma continua ad avere difficoltà su molti fronti.

Mohammad ha provato a svolgere diversi lavori semplici, ma i suoi problemi di salute li hanno resi tutti impossibili.

Nonostante questo, partecipa regolarmente alle proteste di Nabi Saleh contro l’occupazione.

Si mette davanti a tutti, obbligando i soldati israeliani a guardarlo e a ricordare ciò che hanno fatto. Non permetterà mai loro di dimenticare che sparano ai bambini.

Per questo, a quanto pare, il suo nome (così come quello di Shireen Abu Aqleh) è entrato nella lista di Israele delle persone da eliminare.

Un paio di anni fa, un soldato aveva informato Mohammad che Israele lo avrebbe cercato per ucciderlo. All’inizio di giugno di quest’anno ci hanno riprovato.

Quarto incidente: 9 giugno 2022.

I soldati israeliani sparano a Mohammad Tamimi alla fronte.

Ma Mohammad Tamimi si rifiuta di morire.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi