Moschea di al-Aqsa, donne musulmane obbligate a pregare per strada dalle forze israeliane

460_0___10000000_0_0_0_0_0_women_entranceLa presunta riduzione alle restrizioni all’ingresso dei fedeli palestinesi alla moschea di al-Aqsa, per la preghiera settimanale del venerdì, annunciata dalle autorità di occupazione, si è rivelata l’ennesimo inganno sionista: a decine di donne non è stato permesso di entrare, e sono state obbligate a compiere la loro preghiera nei vicoli attorno alla moschea.

ImemcDopo la preghiera del venerdì, la moschea è stata chiusa nuovamente dai soldati israeliani dopo averla circondata, mentre, al sabato, un gruppo di coloni israeliani ha avuto il permesso di prenderla d’assalto.

Le donne sono state rimandate indietro dai check-point militari israeliani che circondano la moschea perché hanno rifiutato di mostrare ai soldati, per l’ennesima volta, le loro carte di identità emesse da Israele.

Secondo quanto hanno riferito le donne, e in base alle esperienze del passato, i soldati israeliani confiscano loro le carte di identità e poi si rifiutano di rendergliele, o obbligano le donne ad aspettare giorni o settimane per riaverle indietro.

Da quando tutti i Palestinesi sono obbligati a portare sempre con sé le carte di identità emesse da Israele, la confisca rende impossibile qualsiasi movimento: non possono viaggiare – neanche recarsi a una cittadina vicina o alla base militare israeliana nella quale la carta d’identità è trattenuta – a causa dei numerosi check-point israeliani lungo il percorso.

Inoltre, le forze israeliane sottopongono frequentemente le donne a duri interrogatori presso le stazioni di polizia prima che venga loro concesso di riavere la carta di identità.

Durante la prima Intifada palestinese, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, la resistenza palestinese non-violenta organizzava azioni nelle quali le carte di identità emesse da Israele venivano gettate e, quindi, rifiutando di accettare la loro legittimità. Questa azione non fu pubblicizzata ampiamente all’epoca, e coloro che vi parteciparono furono puniti, la città di Beit Sahour fu chiusa per 40 giorni, tutte le attività commerciali furono bloccate e alla gente fu impedito di uscire di casa.

Durante l’assalto più recente di Israele contro la moschea di al-Aqsa, le truppe israeliane hanno chiuso il luogo di culto e hanno permesso solo ai coloni estremisti di entrarvi – molti di loro con la dichiarata intenzione di distruggere la moschea per costruirvi un tempio ebraico al suo posto.

La moschea di al-Aqsa è considerata il terzo sito più sacro nell’Islam, e le sue ripetute chiusure da parte delle truppe israeliane ha provocato numerose proteste tra i residenti palestinesi della città di Gerusalemme, nella quale la moschea è situata, così come nelle città attorno e nei villaggi. Queste proteste sono state violentemente represse dalle forze israeliane, sia con armi letali che semi-letali – provocando molti feriti e la morte di un ragazzo quattordicenne palestino-americano, Orwa Hammad, durante una delle proteste.

Traduzione di Aisha Tiziana Bravi