Normalizzazione: occupazione, colonizzazione e apartheid

saudi_israel_aipac_meetingPalestine Chronicle. Normalizzare l’oppressione è sempre stato uno degli strumenti usati dai colonizzatori contro la resistenza degli oppressi e dei colonizzati. E’ economico e funziona! Contrappone nativo a nativo, e tutto ciò che gli oppressori fanno è sedersi e stare a guardare.

Gran Bretagna, Francia, America, il Sud Africa dell’apartheid sono solo alcuni dei colonizzatori che hanno usato questo come uno strumento per dominare: hanno privilegiato una parte della popolazione colonizzata, offrendogli alcune briciole dal loro tavolo, il che gli ha resi zelanti propagatori che cantano inni giustificatori della colonizzazione e della sua missione civilizzatrice.

Il sistema di apartheid creato da Israele sta facendo esattamente lo stesso.

Con gli aiuti inesauribili degli Stati Uniti d’America, una potenza coloniale essi stessi, Israele è stato in grado di espropriare il popolo palestinese della propria terra, al contempo raffigurando sé stesso come un “moderno” stato occidentale circondato da selvaggi arabi musulmani che egli opprime per il fine di proteggere gli interessi occidentali in Medio Oriente. E non vi è mancanza di “civili” nativi palestinesi, giannizzeri, mercanti di schiavi pronti a comprendere e giustificare il ruolo di Israele. Sono solo questi nativi che possono apprezzarne la modernità, e, ancora più importante, la generosità nel vedere garantiti “alcuni dei loro diritti”.

Di conseguenza, la macchina della propaganda (hasbara) ha creato due categorie di palestinesi: quelli grati e quelli ingrati!

Vi sono gli “Uncle Tom”, i grati, bravi arabi, il cui obiettivo finale è quello di alleviare il maestro Israele, o coloro che lo supportano, cioè le potenze occidentali. Questi nativi, chiamati “venduti” dal loro popolo, non sono normalizzatori inerti, ma hanno iniziato a mostrarne i sintomi, mentre negano veementemente che sono i promulgatori dell’oppressione, del regime di apartheid e della colonizzazione.

Sto pensando qui ad Anwar Sadat, o agli ufficiali del Qatar che visitano Israele regolarmente, o agli emiri sauditi che non rifiutano incontri o persino selfie con i criminali di guerra israeliani.

Sto pensando anche agli ufficiali palestinesi che difendono la grottesca teoria della “sicurezza coordinata” con Israele, quelli cui credono che “la vita è tutta una negoziazione”, nonostante il fatto che il Sionismo è un’ideologia etno-religiosa radicata nell’esclusione aggressiva degli altri, inclusi i “bravi arabi”!

Ma questa lista include anche artisti, organizzazioni della società civile e accademici che normalizzano per ragioni estremamente egoistiche ed esplicite, per incrementare la propria posizione e di conseguenza godere di uno status più elevato.

Abbastanza ironicamente, vi è anche chi normalizza ma afferma di non sapere assolutamente cosa sia tale normalizzazione, né hanno alcuna conoscenza della definizione concordata di tale termine, nonostante sia presente nel linguaggio mediatico e online dal 2007.

“Normalizzazione” nel contesto arabo-palestinese é definita come “la partecipazione in qualunque progetto, iniziativa o attività, in Palestina o nel mondo, che aspiri (implicitamente o esplicitamente) a riavvicinare palestinesi (e/o gli arabi) e israeliani (persone o istituzioni), senza porre come obiettivo la resistenza e l’esposizione dell’occupazione israeliana e di ogni forma di discriminazione e oppressione contro il popolo palestinese”.

Nonostante il diffuso consenso tra arabi e palestinesi nel rigettare il trattamento di Israele come di uno stato “normale” con il quale poter fare affari, alcuni di loro sono ancora portati a sostenere il contrario! Vi sono alcuni modelli ripetitivi nelle argomentazioni utilizzate dai normalizzatori.

Sintomi della normalizzazione:

  1. Si comincia ad essere “stufi” del “conflitto” tra le “due parti”.
  2. Si comincia a credere che tutto sia nato nel 1967
  3. Si inizia a difendere l’idea del “dialogo tra le due parti”
  4. Si criticano gli “estremisti” di “entrambe le parti”, specialmente i “terroristi” palestinesi
  5. Si inizia a ripetere che “entrambe le parti devono essere condannate per la strage in atto”
  6. Si inizia a ripetere a pappagallo “entrambi i popoli stanno soffrendo e questo deve finire”
  7. Si diviene più pragmatici relativamente al diritto al ritorno che diventa “impossibile da attuare”
  8. Si comincia a pensare che il miglior modo per risolvere il problema dei rifugiati sia di trovare “una soluzione condivisa”
  9. La partizione diventa La soluzione, due stati per due popoli divisi in base al loro background etnico-religioso. Il 77 per cento della Palestina per gli ebrei israeliani, il resto é negoziabile
  10. Si comincia a prestare attenzione alla CNN, BBC, eventualmente Fox News, al New York Times e al Washington Post

Per quanto il regime sudafricano dell’apartheid abbia cercato di normalizzare e giustificare il razzismo, il mondo si mobilitò dalla parte dei nativi sudafricani e dei loro alleati.

Stiamo, lentamente ma inesorabilmente, avvicinandoci al momento in cui l’occupazione, la colonizzazione e l’apartheid israeliano in Palestina saranno trattate come anomalie da isolare, indipendentemente dai tentativi fatti dai pochi giannizzeri arabi.

Haidar Eid è professore associato presso il Dipartimento di Letteratura Inglese dell’Università di Al-Aqsa, Striscia di Gaza, Palestina. E’ inoltre un attivista per la soluzione di stato unico e membro del PACBI (Palestinian Campaign for the Academic and Cultural Boycott of Israel).

Traduzione di Marta Bettenzoli