Ossa in frantumi e sogni spezzati: la vita degli atleti di Gaza dopo essere sopravvissuti ai proiettili israeliani

Gaza-IMEMC. Di Maha Hussaini & Mohammed A Alhajjar. Quando Raed Jadallah cavalcava le onde del Mediterraneo con la sua tavola da surf, era capace di trascendere ogni limitazione imposta alla sua vita in quanto ragazzo palestinese che vive nella Striscia di Gaza assediata. 

Durante i brevi momenti rubati, il surfer ventiseienne lasciava dietro di sé, sulla spiaggia di Gaza, tutti i problemi.

“Quando facevo surf mi dimenticavo di ogni cosa”, afferma. “E’ come se ti trovassi in un’altra città dove non esistono guerre o assedi. Pensi soltanto a come riuscirai a catturare un’altra onda”, continua Jadallah.

La passione di Jadallah ha subito una brusca interruzione quando è stato colpito da un proiettile lungo la recinzione del confine orientale che separa Israele da Gaza, il 6 aprile scorso, mentre partecipava – soltanto come spettatore – alle proteste del secondo venerdì della Grande Marcia del Ritorno che era iniziata il 30 marzo. 

Le manifestazioni chiedono di porre fine all’assedio di Gaza che dura ormai da 11 anni, e rivendicano il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi alle loro terre dalle quali le famiglie furono obbligate ad andarsene durante la creazione dello stato di Israele, nel 1948. 

Un proiettile ha colpito Jadallah alla coscia sinistra mentre si trovava a circa 150 metri dalla recinzione. Ora riesce a camminare solo con l’aiuto delle stampelle. 

“Non stavo partecipando alle proteste. Stavo solo guardando i manifestanti che bruciavano pneumatici e tiravano sassi quando sono stato improvvisamente colpito alla coscia”, ricorda Jadallah, originario del campo di rifugiati di al-Shati che si trova nella zona occidentale della città di Gaza. 

“Sono certo che il cecchino poteva benissimo rendersi conto che io mi trovavo lì solo in modo pacifico. Non avevo neanche un sasso in mano”. 

Le tensioni a Gaza sono aumentate dal 30 marzo quando Israele ha affrontato le pacifiche proteste di massa con la forza letale, uccidendo almeno 171 Palestinesi, tra i quali medici e bambini. Un soldato israeliano è stato ucciso. 

Secondo Ashraf al-Qedra, uno dei portavoce del ministero della Sanità di Gaza, dei circa 18.000 Palestinesi che hanno subito ferite da quando sono iniziate le proteste della Grande Marcia del Ritorno, oltre 5.000 sono stati colpiti agli arti inferiori – compresi atleti che hanno subito disabilità permanenti o di lunga durata.

Jadallah ha affermato che i cecchini israeliani mirano agli arti inferiori dei manifestanti per impedire loro di poter camminare ancora. 

Le associazioni per i diritti umani hanno denunciato che Israele sta attuando un sistema per colpire deliberatamente i manifestanti, in gran parte pacifici, con proiettili veri ed utilizza “eccessiva forza letale”. Nel mese di aprile, Amnesty International ha documentato le testimonianze oculari e le prove che confermano il fatto che le forze israeliane stavano uccidendo e menomando i dimostranti pacifici che non costituivano alcun pericolo immediato per loro. 

“Attività a cui avevo dedicato me stesso”.

Jadallah ha iniziato a fare surf da quando aveva soltanto nove anni. Dato che la sua casa si trovava vicino alla spiaggia, nella zona settentrionale di Gaza, egli si è facilmente rifugiato nel Mediterraneo. 

“Il surf non era soltanto un passatempo da praticare nel mio tempo libero. Era piuttosto un’attività alla quale avevo dedicato la mia vita, l’unica che mi dava un motivo per alzarmi al mattino”, ha dichiarato Jadallah a Middle East Eye. 

Ben presto ha iniziato a partecipare alle gare locali organizzate dai surfer del posto nelle quali qualche volta ha anche vinto il primo premio. Nonostante avesse ancora “tanta strada da fare” Jadallah ha detto che si stava allenando intensamente per poter partecipare all’International Surf Festival che si terrà il prossimo anno. 

“Quando mi trovavo al lavoro e sapevo che il mare era mosso, prendevo un permesso, dimenticando ogni cosa, solo per andare a fare surf”, ha aggiunto Jadallah che lavora nell’edilizia. 

Dopo essere stato colpito, ha immediatamente avuto il terrore di non poter mai più fare surf. 

“Sono caduto a terra e tutto quel che riuscivo a vedere era il cielo. La gente stava urlando e mi parlava ma la sola cosa a cui pensavo era cosa avrei fatto se avessi perduto la mia gamba”, ha detto. “La prima cosa che ho fatto è muovere le dita dei piedi per assicurarmi di non aver perso il mio piede e le potevo sentire che si muovevano. Solo dopo mi sono sentito risollevato”. 

Il proiettile ha provocato una grave lesione all’osso ed ai muscoli. Secondo Jadallah, dovrebbe essere curato all’estero, ma il suo caso è in attesa di una decisione da parte del ministero della Sanità palestinese. E’ stato posticipato a causa del numero enorme di casi urgenti che attendono le cure mediche fuori da Gaza. 

“La mia vita si è completamente fermata. Sono cinque mesi che aspetto di essere trasferito per le cure mediche, ma vi sono un numero impressionante di casi urgenti che necessitano del permesso per uscire da Gaza”, ha affermato. 

Jadallah ha riferito quel che gli ha detto il medico e cioé che ha bisogno di un innesto osseo sintetico perché possa riuscire nuovamente a camminare. Il medico stima che il surf dovrà essere lasciato in sospeso per almeno alcuni anni, fino a quando Jadallah non si sarà completamente recuperato dall’intervento chirurgico. 

“Cosa fareste se l’unica cosa che vi offriva la vita vi fosse stata sottratta? Non sono preoccupato per la lesione, in qualche modo recupererò, prima o poi… ma sarò ancora in grado di fare surf?” ha aggiunto. 

Nel 2001 Jadallah perse il suo fratello più giovane, che aveva all’epoca 15 anni, quando venne ucciso durante le proteste della seconda Intifada, colpito da un proiettile al petto. Il suo fratello più grande, di 31 anni, venne ferito nel 2006 dai militari durante un attacco israeliano contro la Striscia di Gaza quando un proiettile lo colpì alla schiena. Da allora è costretto a muoversi su una sedia a rotelle. 

A causa di queste tragedie, Jadallah è il sostegno più importante della famiglia di 13 persone che vivono tutte nella stessa casa di 140 mq. Non ha potuto continuare il lavoro nell’edilizia a causa della ferita riportata, lasciando quindi la sua famiglia senza nessuna fonte di reddito. Jadallah aveva cominciato lavorando come pescatore all’età di 10 anni per aiutare in famiglia. 

“Sono stato un pescatore per molti anni, ma ho lasciato 10 anni fa dopo l’imposizione dell’assedio su Gaza ed ho iniziato a lavorare in edilizia. Le navi da guerra israeliane erano solite darci la caccia, sparavano contro le nostre imbarcazioni e danneggiavano regolarmente le nostre attrezzature. Da allora la pesca è diventata una fonte di guadagno insufficiente”. 

Con il blocco navale israeliano, che è stato applicato fin dal 2007, i pescatori di Gaza possono avventurarsi in mare soltanto tra le sei e le nove miglia nautiche (corrispondenti a 11-17 km) dalla riva. Le acque che si trovano all’interno di questa distanza sono contaminate dai liquami. I pescatori vengono spesso aggrediti ed uccisi dalla marina militare israeliana mentre stanno facendo sacrifici per portare a casa un po’ di pane. 

Un punto di svolta.

Ahmed Abumarahil ha sempre sognato di diventare un boxer professionista. Prima di essere ferito durante le proteste della Grande Marcia del Ritorno, il ventunenne era solito allenarsi per ore ogni giorno, senza mai fermarsi, saltellando davanti ad un sacco pieno di stoffa e segatura a causa della mancanza di risorse. 

Abumarahil, che ha iniziato a praticare la boxe a 16 anni, si è innamorato di questo sport dopo essere capitato in un club di pugilato del suo quartiere nel quale si stava svolgendo un campionato locale. 

“Quella sera ho continuato a pensare al campionato fino a quando mi sono addormentato e l’ho sognato. Quindi il giorno seguente ho messo da parte ogni dubbio e sono andato al club”, ha detto. “Ho chiesto come mi sarei potuto iscrivere alle lezioni di pugilato, ma mi hanno detto che erano state fermate fino a dopo la finale del campionato”. 

Abumarahil non aveva considerato questa risposta come un no. Ha quindi riunito 8 fra i suoi amici e vicini per registrarsi nel nuovo corso di allenamento assieme a lui. 

Nei cinque anni seguenti, Abumarahil ha praticato assiduamente il pugilato. Era prevista la sua partecipazione al Campionato Arabo Giovanile di Boxe come membro del team nazionale palestinese nel marzo del 2017, ma non ha potuto andarvi a causa della chiusura del valico di Rafah in quel periodo. 

“Volevo pagare di tasca mia le spese per il trasferimento, ma non è stato possibile, dato che il valico di Rafah è rimasto aperto solo parzialmente per i casi umanitari”. 

Abumarahil è stato ferito in tre episodi differenti durante le proteste della Grande Marcia del Ritorno. La prima volta è stata il 6 aprile quando è stato colpito all’addome con “un proiettile di acciaio ricoperto di gomma”. 

“Stavo cercando di aiutare un ragazzo ferito, ma sono finito anch’io per terra sdraiato accando a lui” ha aggiunto Abumarahil. 

Un mese dopo, il 4 maggio, Abumarahil ha subito gravi ustioni alla mano dopo aver afferrato un lacrimogeno cercando di allontanarlo da un gruppo di ragazze che si trovavano vicino alla recinzione, ma il contenitore del gas lacrimogeno si è attaccato alla mano senza più riuscire a staccarsi, secondo Abumarahil. Questo però non lo ha scoraggiato dal partecipare, la settimana successiva, alle proteste. 

La terza ferita, avvenuta l’8 di giugno, è stata quella che gli ha provocato la disabilità temporanea. E’ stato colpito da un proiettile alla coscia destra, e circa quattro secondi dopo un altro proiettile lo ha colpito alla gamba sinistra. 

“I miei piedi non toccano terra ormai da più di quattro mesi. Il pugilato mi aveva reso forte ed energico, ma ora mi trovo senza nessun aiuto e dipendente da tutti”. 

I medici hanno detto che non sarà più in grado di camminare a meno che non si sottoponga ad un intervento chirurgico all’estero, e Abumarahil sta ancora aspettando la referenza per un trattamento da parte di un ospedale turco. 

Abumarahil, che attualmente usa una sedia a rotelle, dice che farebbe di tutto per poter recuperare e praticare nuovamente la boxe. 

“Questa esperienza non mi ha insegnato ad evitare le manifestazioni”, ha aggiunto. “Ho soltanto imparato ad essere più resistente e ad impegnarmi maggiormente in quel che ho sempre voluto e desiderato”. 

“Un proiettile è stato sufficiente”.

Abdulhamid Fayyad, 25 anni, ha iniziato a giocare a pallavolo all’età di 12 anni. Utilizzando come rete una corda appesa tra due edifici di un vicolo, Fayyad ed i suoi amici erano soliti giocare per ore ed ore. 

Ha poi iniziato a giocare a scuola e sulla spiaggia prima di iscriversi in club sportivi locali e di partecipare ad alcune competizioni locali, nelle quali ha portato varie volte alla vittoria il suo team, al-Shati. 

Prima del suo ferimento, avvenuto il 14 maggio, Fayyad sognava di rappresentare un giorno la Palestina ai FIVB Volleyball Men’s World Championship e presso la Volleyball Nations League. E’ uno dei pochi fortunati ad avere ancora un lavoro come barbiere presso il negozio di suo zio, nel campo rifugiati di al-Shati, anche dopo la lesione subita. 

Fayyad racconta che stava cercando di trasportare un uomo ferito in un luogo più sicuro, vicino alla recinzione di confine, quando un proiettile è entrato nella sua gamba, provocandogli una grave lesione all’osso ed ai muscoli. I medici ritengono che la sua gamba abbia necessità di almeno tre anni per poter recuperare appieno, e Fayyad dubita che sarà nuovamente in grado di giocare a pallavolo. 

“Quando ho visto il foro provocato dal proiettile nella mia gamba sapevo che non sarei stato più in grado di camminare”. 

Fayyad ha subito immediatamente un intervento chirurgico. I medici hanno inserito un’asta di platino nella sua gamba sinistra per porre rimedio alla grave lesione causata dal proiettile. 

“Non penso che sarò di nuovo in grado di giocare a pallavolo. Un proiettile è stato sufficiente per trasformare un sogno in un incubo” dice. “Giocavo a pallavolo coi miei amici almeno due volte a settimana, ora non posso nemmeno uscire di casa senza le mie stampelle”.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi