Rapporto israeliano segreto rivela che un drone armato uccise nel 2014 quattro bambini che giocavano sulla spiaggia di Gaza

Znetitaly.altervista.org. Di Robert Mackey. Un rapporto confidenziale di investigatori della polizia militare israeliana esaminato da The Intercept spiega come una tragica serie di errori dell’aviazione, di ufficiali della marina e dello spionaggio condusse a un attacco aereo nel quale quattro bambini palestinesi che giocavano su una spiaggia a Gaza nel 2014 furono uccisi da missili lanciati da un drone armato.

Testimonianze degli ufficiali coinvolti nell’attacco, che sono stata celate al pubblico fino a oggi, confermano per la prima volta che i bambini – quattro cugini tra i 10 e gli 11 anni – furono inseguiti e uccisi da operatori di droni che in qualche modo li scambiarono, in piena luce del sole, per militanti di Hamas.

Le testimonianze suscitano nuove domande circa se l’attacco, che si svolse di fronte a dozzine di giornalisti e scatenò un’indignazione globale, fu attuato con sconsiderato disprezzo per la vita dei civili e senza dovuta autorizzazione. Dopo aver ucciso il primo bambino, hanno dichiarato agli investigatori gli operatori del drone, avevano chiesto chiarimenti ai loro superiori su quanto in là sulla spiaggia, usata da civili, potevano inseguire i sopravvissuti in fuga. Meno di un minuto dopo, mentre i bambini correvano per salvarsi la vita, gli operatori del drone decisero di lanciare un secondo missile, uccidendo tre altri bambini, pur non avendo ricevuto una risposta alla loro domanda.

Suhad Bishara, un avvocato che rappresenta le famiglie delle vittime, ha dichiarato a The Intercept che l’uso da parte di Israele di droni armati per uccidere palestinesi pone “molte domande a proposito del giudizio umano, dell’etica e del rispetto della legge umanitaria internazionale”.

Bombardieri pilotati da distanza “alterano il processo decisionale umano”, ha detto Bishara, e l’uso della tecnologia nell’attacco del 2014 alla spiaggia “amplia il cerchio delle persone responsabili dell’uccisione dei bambini Bakr”.

Solo ore prima dell’attacco, la mattina del 16 luglio 2014, l’unità di propaganda delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) avevano pubblicizzato l’idea che i flussi video dal vivo forniti dai droni consentivano all’aviazione di evitare di uccidere civili palestinesi.

L’unità di PR diffuse video operativi, apparentemente ripresi dagli schermi di operatori israeliani di droni, che documentavano come tre attacchi aerei israeliani fossero stati annullati quella settimana perché persone, identificate come civili, era comparse in prossimità di bersagli nella Striscia di Gaza densamente popolata.

Tali immagini furono diffuse a una settimana dall’inizio dell’Operazione israeliana Margine Protettivo, un’offensiva di 50 giorni contro militanti di Hamas a Gaza nella quale Israele alla fine avrebbe ucciso 1.391 civili, tra cui 526 bambini.

Successivamente, quello stesso giorno, circa alle tre e trenta del pomeriggio, un drone israeliano di sorveglianza Hermes 450 in volo sopra una spiaggia di Gaza City trasmise immagini di sei figure che si arrampicavano dalla spiaggia in un molo.

Il giorno prima un piccolo container sul molo era stato distrutto da un missile israeliano in base a informazioni che indicavano che avrebbe potuto essere usato da commando marittimi di Hamas per immagazzinare armi. Alcuni analisti hanno messo in discussione tale informazione, tuttavia, poiché non ci furono esplosioni secondarie dopo che la struttura era stata colpita e giornalisti che si trovavano in alberghi delle vicinanze non avevano visto militanti intorno al molo quella settimana.

Il rapporto della polizia militare israeliana esaminato da The Intercept documenta che cosa successe dopo. Dopo che una delle figure sul molo era entrata nel container che era stato distrutto il giorno precedente, un comandante dell’aviazione israeliana presso la base dell’aviazione di Palmachim, a sud di Tel Aviv, ordinò agli operatori di un secondo drone, che era armato, di lanciare un missile contro il container.

Come hanno scritto nel 2016 i miei colleghi Cora Currier e Henrik Moltke, anche se il governo israeliano mantiene una posizione ufficiale di segretezza riguardo al suo uso di droni per condurre attacchi aerei, immagini trafugate della sorveglianza israeliana fornite a The Intercept dall’ex collaboratore esterno dell’Agenzia della Sicurezza Nazionale, Edward Snowden, mostravano nel 2010 un drone israeliano armato di missili.

Parlando privatamente con un diplomatico statunitense in visita dopo l’offensiva israeliana del 2009 contro Gaza, Avichai Mandelblit, che era il pubblico ministero capo del paese all’epoca e oggi è suo procuratore generale, riconobbe che due missili che avevano ferito civili in una moschea erano stati lanciati da un velivolo telecomandato, secondo un dispaccio fatto trapelare del Dipartimento di Stato.

Un motivo per cui Israele potrebbe rifiutare di riconoscere che i suoi droni sono stati usati per uccidere bambini palestinesi è che tale informazione potrebbe complicare le vendite dei suoi droni a governi stranieri. A giugno la società statale Israel Aerospace Industries ha firmato un contratto da 600 milioni di dollari per cedere in leasing droni Heron al ministero della difesa tedesco. Tale contratto era stato inizialmente rimandato per la preoccupazione di politici tedeschi che i droni, da usare per la sorveglianza, potessero anche essere armati. La stessa società statale ha venduto anche droni alla Turchia, una nazione fortemente filopalestinese, che ciò nonostante ha usato la tecnologia israeliana per bombardare curdi in Iraq.

Il rapporto della polizia militare israeliano, esaminato da The Intercept, riguardante l’attacco del 2014 offre la prova più diretta a oggi che Israele ha usato droni armati per lanciare attacchi contro Gaza. Testimonianze di operatori dei droni, comandanti e funzionari dello spionaggio che presero parte all’attacco confermano che usarono un drone armato per lanciare il missile penetrato nel molo, uccidendo la persona che era entrata nel container, e anche per lanciare un secondo attacco, che uccise tre dei sopravvissuti mentre fuggivano attraverso la spiaggia.

Secondo la testimonianza di un ufficiale della marina coinvolto negli attacchi, la missione fu considerata inizialmente “un grande successo”, poiché la squadra dell’attacco riteneva, erroneamente, di aver ucciso quattro militanti di Hamas che preparavano un attacco contro forze israeliane.

Nel giro di minuti dai due attacchi, tuttavia, un gruppo di giornalisti internazionali che avevano assistito all’attacco da alberghi nelle vicinanze riferì che le vittime fatte a pezzi dai missili non erano militanti adulti, bensì quattro bambini piccoli, cugini tra i 10 e gli 11 anni. Altri quattro bambini della stessa famiglia sopravvissero all’attacco ma rimasero con ferite di schegge e profonde cicatrici emotive.

Immagini strazianti dei bambini in corsa disperata attraverso la spiaggia dopo che il primo missile aveva ucciso loro cugino furono rapidamente condivise da un fotografo palestineseun giornalista di Al Jazeera e da una squadra di ripresa della televisione francese.

Un’immagine brutale del seguito immediata, ripresa da Tyler Hicks del New York Times, uno dei giornalisti spettatori dell’attacco, fece riecheggiare in tutto il mondo l’uccisione dei quattro bambini, tutti figli di pescatori di Gaza della famiglia Bakr.

La corrispondente della televisione francese Liseron Boudoul, il cui servizio quel giorno incluse un video angosciante dei bambini in corsa lungo la spiaggia prima del secondo attacco, indicò che lei  e altri testimoni dell’attacco non avevano capito da dove, esattamente, erano arrivati i missili, anche l’ipotesi inziale era incentrata su navi israeliane viste appena al largo.

 

LA TESTIMONIANZA SEGRETA del personale militare israeliano coinvolto nell’attacco stabilisce per la prima volta che gli operatori del drone trattarono il molo come una zona di fuoco libero sul presupposto errato che fosse interdetto a chiunque, salvo che ai militanti.

Dopo che immagini dell’attacco ebbero scatenato una diffusa indignazione, l’esercito di Israele condusse un’analisi della missione e raccomandò che fosse condotta un’inchiesta della polizia militare su possibile negligenza penale. Le testimonianze raccolte dalla polizia militare presso la squadra dell’attacco furono incluse in un rapporto presentato al procuratore generale dell’esercito israeliano, maggior generale Danny Efroni, undici mesi dopo che i bambini erano stati uccisi.

Efroni non diffuse le testimonianze ma rese pubblica una sintesi delle conclusioni del rapportol’11 giugno 2015, quando chiuse l’inchiesta senza muovere alcuna accusa. Il procuratore militare capo di Israele decise che non sarebbero state adottate misure penali o disciplinari, poiché l’inchiesta aveva concluso che “non sarebbe stato possibile per le entità operative coinvolte identificare tali figure, attraverso la sorveglianza aerea, come bambini”.

Efroni non spiegò perché era impossibile. Due giorni prima dell’attacco in questione, l’unità di PR dell’esercito israeliano aveva diffuso un altro spezzone video nel quale operatori di droni potevano essere sentiti decidere di fermare attacchi perché nei flussi dal vivo avevano identificato figure come bambini.

Adalah, noto anche come il Centro Legale per i Diritti della Minoranza Araba con sede a Haifa, ha dedicato gli ultimi tre anni a battersi per conto delle famiglie dei bambini – Ismail Bakr, 10 anni; Ahed Bakr, 10 anni; Zakaria Bakr, 10 anni e Mohammed Bakr, 11 anni – per ottenere da un tribunale israeliano la revoca della decisione di non processare i soldati.

Gran parte di tale tempo è stato trascorso nell’attesa che il procuratore generale israeliano,Mandelblit, semplicemente rispondesse agli appelli presentati da Adalah e da due gruppi di Gaza per i diritti, il Centro Palestinese per i Diritti Umani e il Centro Al Mezan per i Diritti Umani.

A febbraio Adalah ha affermato in una dichiarazione che la stessa inchiesta di Israele “ha rivelato che l’esercito israeliano non ha adottato alcuna misura per accertare se i bersagli sul terreno erano civili, per non dire bambini, prima di dirigere intenzionalmente gli attacchi contro di essi”.

Bishara, uno degli avvocati di Adalah che rappresentano le famiglie dei bambini, ha dichiarato a The Intercept in un’intervista telefonica che l’inchiesta israeliana sulle uccisioni, nella quale l’esercito si è assolto da qualsiasi malefatta, fu difettosa in molti modi. Tanto per cominciare, le testimonianze furono raccolte dalla polizia militare solo quattro mesi dopo l’incidente e presero in considerazione solo ciò che della spiaggia si poteva vedere attraverso le telecamere del drone. Nessuna testimonianza fu raccolta dai giornalisti internazionali che assistettero all’attacco e i racconti di testimoni palestinesi, tra cui affidavit scritti dei bambini feriti negli attacchi, furono ignorati.

Un servizio video del Wall Street Journal trasmesso il giorno dell’attacco da Nick Casey, un corrispondente che risiedeva in un albergo prossimo al molo, getta dubbi sull’informazione dello spionaggio israeliano che indicava il sito come una zona di Hamas. Il servizio di Casey, contenente immagini del corpo maciullato della prima giovane vittima trasportato via dal molo, spiegava che “nessuno sapeva perché questo posto era stato bombardato; non ci sono stati attacchi di Hamas da qui e nessun razzo visto da noi”.

Quando le autorità israeliane hanno chiuso il caso nel 2015, Alexander Marquardt, un ex corrispondente da Gerusalemme della ABC che aveva anche assistito all’attacco, ha contestato la conclusione che il molo fosse interdetto dalla spiaggia, sostenendo che era aperto ai civili.

 

SECONDO LA TESTIMONIANZA esaminata da The Intercept uno degli ufficiali coinvolti negli attacchi missilistici ha dichiarato agli investigatori che quando vide una delle figure entrare nel container distrutto controllò con un ufficiale dello spionaggio, prima di aprire il fuoco, per essere certo che solo militanti potessero entrare nell’area.

Tuttavia l’ufficiale capo dello spionaggio della marina, una donna identificata solo come “Colonnello N.” nel rapporto, ha testimoniato che poiché l’ingresso dell’area non era sorvegliato il giorno dell’attacco, non era chiuso a civili.

Anche se la copia del rapporto esaminata da The Intercept include obliterazioni, non c’è alcuna indicazione del perché questa evidente discrepanza tra le due testimonianze sia stata ignorata quando è stata presa la decisione di chiudere l’inchiesta.

Uno degli ufficiali ha anche testimoniato che sebbene il sito fosse circondato da un recinto quando fu condotta la valutazione dello spionaggio prima dell’inizio dell’Operazione Margine Protettivo, il recinto poteva essere stato distrutto nell’attacco del giorno precedente, lasciando il molo aperto al pubblico.

Un soldato ha dichiarato agli investigatori che secondo “dozzine” di dichiarazioni di pescatori di Gaza, la popolazione locale era al corrente che il molo era un’are di Hamas. Tuttavia la fonte di tale affermazione è ignota e un avvocato che ha lavorato all’appello di Adalah ha dichiarato a The Intercept che non c’era alcuna prova a sostegno di ciò nelle parti del rapporto che l’esercito era obbligato a condividere con le famiglie delle vittime.

Tutti i coinvolti nell’attacco, compreso l’ufficiale dell’aviazione che coordinava l’attacco dalla base dell’aviazione di Palmachim, hanno dichiarato agli investigatori che anche se avevano un flusso video dal vivo nel corso dell’attacco, “non eravamo in grado di dire che erano bambini”.

Le testimonianze rivelano anche un momento cruciale nel quale l’attacco avrebbe potuto essere fermato, ma non lo fu. Dopo che il primo missile era stato lanciato contro la baracca, uccidendo uno dei bambini, e gli altri bambini erano fuggiti sulla spiaggia, la squadra dell’attacco chiese chiarimenti su quanto in là sulla spiaggia le era permesso sparare.

La squadra dell’attacco contattò via radio un ufficiale superiore, chiedendo dove, esattamente, terminava l’area individuata come zona militare chiusa. Volevano sapere se c’era un punto nel quale non potevano più sparare alle figure in fuga, mentre si avvicinavano a un’area di ombrelloni e tende da spiaggia usata da civili.

Quando non ricevette alcuna risposta a tale domanda, la squadra dell’attacco lanciò un secondo missile contro i bambini in fuga, circa 30 secondi dopo il primo attacco, uccidendo tre dei bambini e ferendo almeno un altro dei loro cugini.

Un ufficiale della marina, che prese parte alle decisioni di vita e di morte, ha testimoniato che, al meglio di quanto ricordava, il secondo missile era stato lanciato mentre le figure in fuga erano ancora all’interno della zona che ritenevano una zona militare chiusa, ma che il missile era caduto dopo che le figure in fuga era già fuori da essa, sulla spiaggia.

L’ufficiale dell’aviazione che coordinava gli attacchi ha dichiarato agli investigatori che in precedenza aveva diretto “centinaia di attacchi” ma che questo incidente restava “scolpito” nella sua memoria perché le informazioni fornite alla squadra dell’attacco dallo spionaggio erano all’opposto dei fatti sul terreno.

Adalah, che ha depositato a maggio un appello aggiornato sulla causa e stata tuttora attendendo una risposta, ha anche segnalato che le autorità israeliane hanno rifiutato di consentire agli avvocati delle famiglie di vedere qualsiasi video registrato dai due droni durante l’attacco.

Senza esaminare tale video è impossibile dire se gli operatori del drone fossero in grado o no di dire che i loro bersagli erano bambini, ma Eyal Weizman, un architetto israeliano che ha indagato attacchi di droni, ha sostenuto in passato che la risoluzione ottica delle telecamere dei droni potrebbe non essere nemmeno lontanamente così elevata come affermano i comandanti militari.

Dopo aver analizzato in precedenza video di sorveglianza dei droni di sospetti militanti dello Stato Islamico in Iraq, Weizman ha affermato che era possibile solo dire che le figure portavano armi e che una di essere era un bambino studiando le loro ombre. Tale identificazione era possibile solo, ha detto, perché il video era stato “ripeso o molto presto o molto tardi nella giornata”.

Poiché non ci sarebbero ombre lunghe in immagini aeree registrate agli inizi del pomeriggio – come quelle dei bambini che giocavano sulla spiaggia di Gaza quel giorno di luglio alle tre e trenta del pomeriggio – Weizman ha osservato che le immagini ad alta risoluzione selettivamente diffuse dai comandanti dell’esercito per giustificare i loro attacchi aerei “potrebbero distorcere la nostra comprensione di quanto può essere visto dai droni e quanto chiaro sia quel che vediamo”. La maggior parte delle riprese “continuamente raccolte da droni”, ha detto Weizman, è “molto più ambigua”.

Hagai El-Ad, il direttore del gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem, ha dichiarato a The Intercept che l’uso israeliano di droni armati era una specie di segreto di Pulcinella, ma poiché la tecnologia non ha ancora tagliato fuori gli esseri umano dal processo decisionale, i comandanti militari che hanno ordinato gli attacchi e i piloti dei droni che li hanno attuati non sono stati meno responsabili dell’uccisione dei bambini che se all’epoca avessero sorvolato la spiaggia su un caccia o su un elicottero.

El-Ad ha anche indicato un rapporto del 2016 prodotto dal suo gruppo sulla mancata conduzione da parte dell’esercito israeliano di indagini approfondite sull’uccisione di civili a Gaza: “Protocollo copertura: la cosiddetta inchiesta sull’operazione Margine Protettivo”.

“I vari ritardi, vuoti e carenze specifici nella cosiddetta inchiesta fanno tutti parte di quel vasto modo sistematico di chiudere le pratiche, producendo contemporaneamente tutti questi fascicoli di carte che dall’esterno possono sembrare uno sforzo sincero”, ha detto El-Ad. “E’ tutta totale routine”.

Un portavoce dell’esercito israeliano non ha riposto a richieste di commenti. 

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Originale: https://theintercept.com/2018/08/11/israel-palestine-drone-strike-operation-protective-edge/

traduzione di Giuseppe Volpe